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Poor, purple flower,
piegata ma ormai doma,
nella sua smorfia
da rivoluzione da vaso.
Guardatemi
– urlava alle margherite –
sono l’iride del caos,
il pigmento dei sogni interrotti,
il dramma cromatico
che non meritate.
Ridevano i tulipani
con la bocca
spalancata di sole.
Le rose si pettinavano spine,
i papaveri facevano jogging
nei campi di guerra,
mentre lei,
il fiore di nessuno,
puntava petali
come baionette.
Umani ingrati
– sibilava tra i filamenti –
se provate a strapparmi,
mi reincarno in parrucca,
in tappeto persiano,
in macchia indelebile
sul vestito della vostra
prima comunione.
E i bimbi scappavano,
con le mani sporche
di margherite.
Il vento la corteggiava,
ma lei diceva
– troppo trasparente –.
Il sole le scriveva
lettere in fotoni,
ma sempre le rifiutava
per insufficienza
di dramma.
Alla fine,
nessuno la colse.
Nessuno la pianse.
Nessuno la citò
nei sonetti di giugno.
Restò lì,
fiore cupo e immenso
nella sua invisibilità,
a minacciare nuvole,
a spaventare le api,
a lamentarsi con i lombrichi.
E nel momento in cui sfiorì,
gridò – ve l’avevo detto –.
Ma nessuno ascoltava più.