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Oh giovane ombra, che il destino acerbo
prese alle soglie del mattino,
tu che nel silenzio sospendesti
il filo breve e fragile del giorno,
ora ti cerco tra le stelle,
ora t’invoco tra i venti che cadono
sul deserto cuore mio.
Che resta di te, se non l’eco
di un sorriso fuggito,
di uno sguardo che sapeva
accendere le notti?
E pur così, nell’assenza,
sei più presente che mai:
sei ferita che pulsa,
sei memoria che non svanisce,
sei canto che mi segue nel buio.
O dolce amico,
se la vita non ti fu culla
ma catena,
se il peso dell’essere
soffocò il tuo respiro,
che almeno l’eterno ti sia lieve,
che almeno le stelle
ti custodiscano nell’infinito grembo.
Ed io, che resto su questa riva,
non smetterò di chiamarti,
ché il dolore si fa preghiera,
ché l’amore, seppur trafitto,
non muore.
E se ogni notte si fa più muta,
io porrò il tuo nome sulle labbra
come lampada che non si spegne,
come voce che risale
dove il cielo incontra l’anima,
e l’anima, infine, riposa.