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Era una di quelle serate romane in cui l’aria sa di attesa e la notte promette più di quanto dovrebbe. Il Piper, con le sue luci psichedeliche e il suo passato leggendario, pulsava di musica e vibrazioni elettriche. Io e le mie due amiche, compagne di danza classica, ci eravamo concessi una pausa dal teatro per una notte diversa.
Ballavamo tra la folla, sciolti, leggeri, ma con dentro la disciplina e l’eleganza che anni di danza lasciano impressa nel corpo. Poi, in un gesto istintivo e perfettamente coordinato, ci siamo arrampicate su dei cubi ai lati della pista. Nessuno ci aveva invitato. Ma nessuno ha osato fermarci.
Abbiamo cominciato a muoverci come se il club fosse un palcoscenico, trasformando quei cubi in pedane improvvisate. Tra arabesque, jeté, e torsioni acrobatiche, la pista si è congelata. La gente mentre ballava ci guardava come se non credesse a ciò che vedeva: un ballerino e due ballerine classiche a dominare il cuore della notte romana, con una grazia che sfidava la musica disco e l’ambiente selvaggio intorno.
A fine nottata, scesi dai cubi, ancora col fiato corto e l’adrenalina a mille, ci stavamo dirigendo verso l’uscita quando uno dei buttafuori ci ha fermati. Serio, ma con un sorriso negli occhi. “Il capo vuole parlarvi.”
Lo abbiamo seguito, senza dire una parola, in un corridoio stretto fino a un ufficio che odorava di sigarette e velluto stanco. Il proprietario del locale ci aspettava, appoggiato alla scrivania, con l’aria di chi ha appena assistito a qualcosa di inaspettato. Ci ha fatto sedere, ci ha offerto da bere e ci ha detto, con tono deciso:
“Vi voglio qui ogni sabato. Stasera avete rubato la scena.”
Ci siamo guardati. Era lusinghiero, quasi surreale. Ma abbiamo dovuto dirgli di no.
Eravamo già impegnati con le prove di un nuovo spettacolo, uno di quelli che ti mangiano il tempo, le forze e le ossa. Il teatro ci aspettava, e non potevamo mancare. Gli abbiamo sorriso, ringraziato, promesso che magari, una sera, saremmo tornati a ballare per gioco.
Ma quella notte, al Piper, era stata nostra. E bastava così.