Lo sfigato

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Sottofondo: 'Ironic' di Alanis Morrisette
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Testo: Lo sfigato
di Dyler

La sfiga è come la cacca che calpesti per strada quando hai le carrarmato: non importa quanto le sfreghi sul bordo del marciapiede, quanto le strusci nell’erba, quanto le trascini sulla sabbia o quanto le immerga in una pozzanghera, ne rimarrà sempre un po’ attaccata.

Luca non aveva sfiorato una cacchina con il tacco, no, lui era atterrato a piè pari sulla pizza fumante di una vacca. La sfortuna lo avvolgeva come un involucro impenetrabile che, come l’odore del letame, era tangibile e teneva lontane le persone. Non per niente era lo sfigato.

La sfortuna gli si era insinuata dentro come una doppia spina dorsale e Luca, sapendo che fosse sempre in agguato, in qualche modo la evocava. Il suo pensiero era causativo; lo era come pochi, ma in negativo.

Luca era la schedina del Superenalotto giocata tutte le settimane tranne in quella vincente, era l’assunzione in nuova società che fallisce per bancarotta fraudolenta dopo aver lasciato il posto fisso statale, era l’amore della sua vita che doveva partire. Era “Vengo con te, anche in capo al mondo”. “No, meglio che finisca qua”.

Luca era Ironic di Alanis Morrisette, tanto per capirci.

 

Quel giorno, però, Luca era felice e ottimista. Si sentiva diverso, si sentiva leggero. Gli pareva di essersi liberato della zavorra.

“Buongiorno, Luca”, disse Elisa, lasciandogli il caffè sul tavolino. “Ti trovo bene. Diverso”.

“Già”, disse raggiante. “Sento che questa sarà la giornata della svolta”.

Aprì le consuete tre bustine di zucchero e si trattenne persino dal dire la solita battuta scontata su quanto fosse già amara di suo la vita. Il sorriso, però, venne spento da una cascata rossastra che non fece in tempo a evitare.

Lo sapevo, pensò guardandosi la polo bianca con la quale sembrava avesse partecipato a un massacro.

“Scusa scusa scusa!”, disse una ragazza inchinata a raccogliere il bicchiere che fino a poco prima aveva contenuto la spremuta di arance più rossa che avesse mai visto.

“Non… non preoccuparti”, sospirò. Non era la prima volta che veniva utilizzato come campo di atterraggio.

“Ero sovrappensiero e sono inciampata”, disse la ragazza, tamponandogli la maglietta con un fazzolettino di carta del bar, uno di quelli che si direbbero idrorepellenti. Era come cercare di curare il morso di uno squalo con un cerotto.

“Posso fare qualcosa per farmi perdonare?”

“Lascia per…”, iniziò a dire Luca, quando si ricordò che quello era un giorno diverso.

“Sì, una cosa la puoi fare: ti invito a cena una di queste sere”, si sentì uscirgli da bocca con suo immenso stupore. In fondo, cosa aveva da perderci?

“Va bene”, rispose la ragazza senza pensarci tanto. “Facciamo per domani?”.

Sempre più stupito, Luca accettò. La ragazza si fece dare il suo telefono, digitò il proprio numero e lo registrò come Dalila.

Dalila, che bel nome, pensò Luca, sembra falso.

“Ti faccio uno squillo così ti rimane il mio”, disse Luca.

“Ah, okay. Però non l’ho qui con me”.

E ti pareva… mi ha dato un numero sbagliato.

Luca chiamò il numero che squillò a vuoto e porse la mano a Dalila, presentandosi.

“A domani, allora”. Si congedò Dalila.

Certo, come no?, pensò. “A domani”, rispose.

 

Fu con grande sorpresa che, però, dopo pranzo il telefono squillò. Dalila Spremuta, apparve sul display. Aveva cambiato il nome a futura memoria. Dopo qualche secondo di indecisione, rispose, sicuro che avrebbe sentito la voce di qualcuno che si era ritrovato una chiamata persa. Stupito, riconobbe invece la voce di Dalila.

“Ciao, Luca”, disse. “Senti, domani non posso venire a cena. Mi dispiace tanto”.

E figurati!, pensò Luca. Capirai la novità…

“Non fa niente”, disse, cercando di mascherare la delusione piombatagli addosso dopo la gioia di aver sentito la sua voce.

“Senti”, disse Dalila imbarazzata. “Non è che potremmo anticipare a stasera?”.

Come? Luca non credeva alle proprie orecchie.

 

Beh, inutile dire che accettò. Accettò, si misero d’accordo, si diedero appuntamento e passò persino a prenderla sotto casa sua.

La cena fu fantastica. Mangiarono da Dio, si divertirono, si conobbero. Si piacquero.

“Ti va di salire da me?”, chiese Dalila.

Seduto sul divano, con un bicchiere di rum in mano, nella luce soffusa, Luca rifletteva. Non poteva crederci, essere positivi aveva capovolto la sua vita. La sfortuna di un bicchiere rovesciatogli addosso si era trasformata in uno dei giorni più belli della sua vita.

Dalila arrivò dal bagno con indosso una sola canottierina bianca e gli slip. Con un pollice sfilò prima una bretellina, poi l’altra, facendo scivolare la canottiera ai suoi piedi. Si fermò davanti a lui, gli prese il bicchiere di mano, si inumidì le labbra col rum e dopo essersi seduta sulle sue ginocchia, lo baciò. Poggiato il bicchiere, iniziò a sbottonargli la cami…

“Prossima fermata: Moscova”, sentì dagli altoparlanti.

“Cazzo!”, disse, accorgendosi di essersi addormentato.

In mezzo a una moltitudine di sconosciuti, una signora gli disse: “Capita, giovanotto. Quando doveva scendere?”.

“Cadorna”, rispose. “Ho appuntamento con l’assicurazione, mi hanno tamponato e distrutto la macchina”. Non sapeva perché le stesse raccontando i fatti suoi.

“Che sfortuna!”, disse la signora. “L’importante è che non si sia fatto niente”.

“Che sfortuna, già”, disse Luca a labbra strette, ripensando a uno dei sogni più belli che avesse mai fatto e che non era neanche riuscito a terminare.

 

Per quanto sfreghi, strofini, gratti o sciacqui, ne rimane sempre un po’ attaccata.

Lo sfigato testo di Dyler
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