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Siamo a poche miglia dall'occhio del ciclone. Il vento tortura le vele, ed il vascello si dimena come un animale pieno di dolore. Una pioggia incessante ci fa marcire le ossa da giorni. A malapena riesco a tenere fra le mani escoriate il mio timone. Tra l'oscurità, i lampi a volte illuminano le sagome nere dei miei compagni, traballanti come ombre dietro ad un lume, indaffarate come me a sopravvivere.
Come mi ribolle il sangue! Affrontare ad armi impari la tempesta è il mio unico passatempo, e spero che ne morirò, un giorno. Ma non oggi. Oggi desidero solo...vincere.
Solo uno riesce a starsene dritto in piedi. La sua livrea da ufficiale, logora e lercia, gli casca con un fascino decadente anche nel mezzo del macello. È alto, imperturbabile, e cammina (fatto miracoloso: Egli non arranca) proprio verso di me.
Inaspettatamente, mi posa una mano sulla spalla. Si avvicina col mento irsuto al mio orecchio, e urla affinché io possa sentire la sua voce pastosa al di sopra del rombo dei tuoni.
"Amico mio-così mi chiama-"Dobbiamo virare a Ovest!"
Sento freddo, all'improvviso. Ovest evoca scenari da incubo. La fascia delle bonacce, dove non spira mai alcun vento e corrente, è proprio affianco alla nostra rotta. L'ufficiale mi vede tentennare. Mi incalza.
"Credimi, non possiamo sopravvivere a questa tempesta".
"E possiamo sopravvivere senza un alito di vento?"
La mia domanda casca ironica, mentre fischiano a velocità folle i sifoni di tutti i tropici sui nostri poveri corpi.
"Si." È inamovibile.
Poi, mi sorprende.
Afferra anche lui il timone, lo manovra insieme a me. In due lo dominiamo una volta per tutte, lontano dalla furia della tempesta.
Lottiamo per ore, insieme, e pian piano il mio sangue sbollisce insieme col diradarsi della pioggia.
Giorno 2
Nemmeno un'anima è andata perduta fra le onde. Sotto questo sole impietoso ma allegro, fermi immobili tra il blu del mare piatto e l'azzurro incontaminato del cielo, ci crogioliamo in questa semplice realtà. Siamo tutti vivi. Talvolta, lontanissimo da dove ci troviamo noi, possiamo scorgere col cannocchiale qualche relitto di imbarcazioni meno fortunate della nostra. L'ufficiale aveva ragione, non saremmo mai sopravvissuti. A volte mi viene da ridere, se penso a quanto sono stato ingenuo. Vorrei avere un briciolo della sua saggezza, ed un'oncia del suo savoir-faire.
Passiamo le ore a riparare i danni che la natura ha inflitto alla nostra casa. Sappiamo che quando la fortuna ci incalzerà di nuovo, sotto forma di un rarissimo, prezioso alito di vento, dovremo essere pronti a coglierla. Indaffarati, seminudi, rattoppiamo e ripariamo di buona lena.
L'ufficiale si fa vedere tra noi solo per brevi istanti; impartisce ordini per poi sparire sottocoperta.
Uno dei suoi luogotenenti mi ha fatto recapitare un biglietto. È un privilegio molto raro, ed infatti lo conservo come un piccolo tesoro. A volte mi sorprendo a rigirarmi tra le dita quel piccolo pezzo di pergamena. Mi aiuta a fantasticare.
"Amico mio, tieni d'occhio gli uomini anche per me. So che di te si fidano. Lavoriamo per bene e lasciamoci questa storia alle spalle. Sto studiando le carte: sii pronto a tracciare nuove rotte coraggiose, appena possibile, come sempre hai fatto in passato.
Non badare alla mia assenza. Sono sempre in mezzo a voi. Credimi, quando tutto questo sarà finito, avranno bisogno di vedere almeno un uomo con la pelle ancora pallida, da prendere a riferimento. A presto".
Giorno Sesto:
Non c'è un singolo marinaio sobrio su tutto il vascello. Non li biasimo, giacché sono ubriaco anche io. L'inattività ci uccide. La nave è tirata a lucido, pronta a salpare, ma il vento ancora si fa pregare. Il malumore si insinua in ogni angolo della nostra vita. Pensieri violenti sembrano aleggiare su tutti noi come una cappa di nuvole, quasi a volerci dare riparo dal sole maledetto, immobile, che ci attanaglia.
L'ufficiale non si è più fatto vedere, e c'è chi già comincia a parlarne con disprezzo. Le razioni si fanno man mano più scarse, e gli scenari futuri appaiono via via più lugubri mentre il tempo, lento come la melassa, scorre.
Sto ciondolando sul ponte mentre il secondo ammiraglio mi chiama, ridestandomi dalle mie fantasie nere. Ha un'aria strana: gli occhi arrossati, la carnagione più biancastra della nostra; ed una strana forma di frenesia gli anima le membra. Mi bercia in maniera sbrigativa che l'ufficiale mi vuole sottocoperta.
Trasalgo.
Lo seguo, al riparo verso il cuore pulsante della nave. Ci sarò stato un paio di volte al massimo. Incasso qualche sparuto sguardo di invidia dai mozzi, simili a condor senza carogne da straziare. Un altro privilegio, solo per me.
Sottocoperta è buio, più fresco; ma l'alone di negatività che pervade tutto non accenna a scomparire, solo a mutare forma. Improvvisamente, mi rendo conto che i dieci fedelissimi dell'ufficiale si sono rintanati in ogni piccola nicchia attorno alla cabina di comando. Sono armati fino ai denti, e tutti hanno in viso la stessa frenesia un po' malaticcia del loro compare. Come cani da guardia, mi osservano.
Vengo lasciato solo con l'ufficiale. È chino su un mucchio di carte nautiche, proprio come mi aspettavo di trovarlo. Tira rumorosamente su col naso. Occhiaie profonde gli solcano il viso, ed un lieve tremore gli fa perdere un po'della sua compostezza naturale. Sul grande scrittoio di mogano, in un angolo, trovo la risposta a tutte queste bizzarrie. Un'enorme giara di Polvere Amerinda, bianca come avorio, tentatrice. Si dice che i selvaggi del centro America la utilizzino per trarne forza sovrumana, concentrazione e resistenza. Si dice anche che possa condurre alla follia. È evidente che qua sotto ne hanno fatto incetta. Mi chiedo che effetti portentosi possa avere sulla mente e sul corpo già prodigiosi del nostro ufficiale. Senza alzare gli occhi dalle carte, mi domanda:
"Ne vuoi un po'?"
Sono tentato, ma qualcosa mi frena. Un barlume di istinto, forse. Declino gentilmente.
Poi, come se il gesto gli costasse una grande fatica, finalmente mi osserva. Prende un respiro roco.
"Mio caro, dobbiamo cominciare a designare una decina di uomini tra i marinai, per le esecuzioni".
"Le...esecuzioni?". Credo che abbia percepito il tremito nella mia voce.
"Ma si, le impiccagioni. Le scorte finiranno presto, l' insubordinazione si fa strada tra quelle stupide teste calde. Pensi che non me ne sia accorto?"
Stringe il pugni poggiati sul tavolo finché le nocche non so fanno bianche. Non percepisco tanto rabbia in lui, quanto più una stanchezza indicibile.
"Si...però…Ufficiale, nessuno ha fatto niente per meritarsi tanto".
"Quando faranno qualcosa per meritarselo sarà già troppo tardi per loro, fidati. Che vengano, quei cani! Che vengano a reclamare questo scranno maledetto! I miei luogotenenti non aspettano altro..."
Un sorriso inquietante gli danza in mezzo alla barba folta. Poi, pare calmarsi.
"Credimi, amico mio, non fa piacere nemmeno a me, ma dobbiamo sfoltire i ranghi. Siamo semplicemente in troppi. Le circostanze ce lo richiedono. Una volta eliminate le mele marce, i pesi morti, noialtri potremo veleggiare via, terminare la Missione e portare gloria alla patria".
La Missione. Un'idea così grande, nobile e scaturita da tempi e luoghi lontani da questo dannato deserto azzurro. Quando siamo partiti, non si parlava d'altro.
"E poi"-mi incalza-"non dirmi che non ci hai pensato spesso anche tu".
"Pensato a cosa?"
"Senza la Missione, metà della gente su questa bagnarola sarebbe priva di uno scopo nella vita. Sarebbero tagliagole, sbandati, pirati. Uomini da nulla. Per tanti una morte rapida sarebbe un favore, rispetto ad una vita del genere."
Non posso dire di non aver mai accarezzato l'idea. Ma esprimere ad alta voce un concetto del genere è cosa che appartiene solo ai Grandi, a chi guarda a queste miserie senza l'ombra del dubbio di poterne essere afflitti. Discorsi da veri Ufficiali.
"Tuttavia, io non ho nessun uomo da indicarle, mi dispiace." Un po'mi vergogno, ma è la verità. Lui sembra deluso, si affloscia sulla sedia. Mi guarda enigmatico. Poi, all'improvviso, un'idea mi saetta nel cervello. Se ne accorge, e sfodera di nuovo quel suo sorriso da lupo.
"Parla, avanti."
"Abbiamo a disposizione le scialuppe. Uno di noi, o forse un gruppo, potrebbe mettersi a remi verso est. Forse ci sono delle isole a portata di braccia, se ci si mette di buona lena. Potremmo trovare cibo, per resistere più a lungo in attesa del vento. Oppure, potremmo persino migrare in piccoli gruppi lontano da qui, costruire una nuova imbarcazione pronta a riprendere il largo lungo la vecchia rotta. Senza sprecare una sola anima. Anzi, in tal caso ci serviranno tutte quante le braccia possibili".
Lo sguardo dell'ufficiale vaga alle mie spalle, come se stesse valutando quello scenario. In cuor mio so che ci ha già pensato, che ha soppesato tempo fa i pro e i contro di una simile scelta. Persino, credo sapesse prima di me che sarei giunto a questa proposta.
"Lo sai, Timoniere, se non fossi abbastanza intelligente da meritare il mio rispetto, saresti un uomo pericoloso. Un uomo di quelli in grado di prendere un semplice, banale ordine diretto dal suo superiore ed uscirsene con una soluzione non richiesta anziché ubbidire. Un uomo da eliminare."
Come mi si ghiaccia il sangue...
"Ma non lo sei. Tu ed io siamo di una razza diversa, siamo uomini utili. Disposti al rischio."
Prende una pausa. Dalla cintura estrae un pugnale, e con la punta disegna distrattamente dei cerchi concentrici nella polvere dentro alla giara. Poi, si porta la lama sporca alla narice, e inala.
"Quando la missione sarà conclusa io sarò Generale della Marina." Impossibile non sentire l'enfasi nella sua voce. "Il mio posto sarà vacante. Ci sono molti della ciurma che pensano che tu possa fare un ottimo lavoro, nella mia stessa posizione. Odio dubitare degli uomini di talento."
Il cuore prende a galopparmi nel petto. Non ne avevo idea.
"Se vuoi, vedilo come il tuo rito di passaggio. Parti pure, se lo desideri, e cerca di tornare tutto intero. Ti posso aspettare per dodici lune. Sei disposto a correre il rischio?"
"Si, Ufficiale."
"Che strano, è la risposta che volevo sentire ben tre domande fa. L'unica che sei autorizzato a darmi, in teoria. Partirai domani all'alba."
"Si, Ufficiale."
"Questa non era una domanda, timoniere. Ora va".
Giorno Diciassettesimo:
Mi manca il vociare dei miei compagni. Mi manca la loro, seppur fetida, compagnia. Mi manca la certezza del grande scafo di legno del nostro vascello, ed il vessillo glorioso che la sovrasta. La speranza è l'unica cosa che non mi ha abbandonato. Io, l'umile timoniere, avevo ragione! A pochi giorni di remate massacranti da dove ci eravamo arenati sorgevano dalla bella pelle azzurra del mondo delle piccole, sparute rocce nerastre. Poca cosa, sì, inadatte a formare un nuovo avamposto. Ma su quelle isolacce simili a brufoli sul volto del mare ho trovato arbusti carichi di frutta, nidi d'uccello, covi di vipere! Porto carne, porto vitamine e persino un poco di legname sulla mia scialuppa. Abbastanza da restare aggrappati alla vita quel tanto che basta da resistere, tutti insieme, a questa dannata sciagura. Io ho mangiato il meno possibile. Me ne rendo conto: sono debole, smunto,pallido come se avessi trascorso anche io gli ultimi giorni sottocoperta. Ma non volevo intaccare le scorte per i miei uomini. È troppo presto per chiamarli così? Oh, poco importa: io SO che ne usciremo vivi, SO che salperemo e completeremo la Missione. Alla fine, avrò la mia ricompensa e sarò Ufficiale, come mi è stato promesso.
L'immagine del mio predecessore mi appare spesso in sogno, e nelle fantasticherie. Così colto, così retto, così alieno al resto della marmaglia. Spietato, a volte. Mi chiedo se abbia fatto abbastanza da potermi dire suo pari.
Cala la sera. Ho remato per tutto questo tempo. Il vantaggio di vivere tra queste acque immobili è che ritrovare la via di casa è piuttosto semplice: segui qualsiasi tipo di forma che emerga dall'azzurro. Sul pelo dell'acqua vedo galleggiare qualcosa, forse qualche cassa superflua di cui ci siamo liberati. Più mi avvicino, più è evidente che mi sbagli.
Sono corpi, tanti corpi.
Alcuni portano i segni della corda che ha spezzato loro il collo, altri sono straziati dai proiettili. Altri sembrano illesi, paralizzati in una maschera funebre che è colma di sorpresa, oltre che di dolore. Di ognuno di loro ricordo i nomi. Mentre ci navigo accanto, li chiamo. Li conto ad uno ad uno, i miei compagni caduti, la ciurma che mi è stata sottratta dal fato. Non ho la forza di stupirmene, lo constato e basta. Li conto tutti, e me ne mancano undici.
Dieci luogotenenti ed un ufficiale.
Infine, si staglia la sagoma spettrale del vascello. Hanno provato a dargli fuoco, ma nessun vento è venuto ad alimentarlo. Arranco per salire sul relitto. È deserto. Nessuna traccia degli undici mancanti. Oltre alla mia, è scomparsa un'altra scialuppa.
Mi aggiro per quei luoghi così familiari e non vi trovo altro che morte.
Alzo lo sguardo verso l'albero maestro. La bandiera della sacra patria è stata tolta. Forse ora oscilla al vento di qualche rotta più fortunata, chissà.
Mi hanno abbandonato. Quello a cui sto assistendo forse è il frutto di un ammutinamento sedato nel sangue, o forse di un attacco di una qualche forza demoniaca. Mi accarezza l'idea che l'ufficiale, con quel suo ultimo sorriso da lupo, avesse presagito che in mia assenza sarebbe successo tutto questo. Pezzi di un puzzle impossibile da ricomporre mi affollano la mente.
Poi, nella stanchezza più nera, capisco. Emerge il meccanismo in tutta la sua crudele, diabolica semplicità. E non posso fare a meno di ammirarLo.
Mi aggiro ancora un po'alla ricerca di proiettili per uccidermi o di Polvere Amerinda per tirarmi su lo spirito. Naturalmente, non vi è traccia di nulla di ciò. Allora mi stendo sul ponte, con lo sguardo verso un cielo che non mi parla più.
La diciassettesima luna è tramontata. La notte è al suo mezzo, ogni Autorità è oramai salpata, ed io dormo solo.