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Pochi giorni fa è stato proposto l'ergastolo per Filippo Turetta, colpevole dell'omicidio della sua ex fidanzata, Giulia. Una dichiarazione della sorella della vittima, Elena, mi ha particolarmente colpito: "Filippo Turetta non è pazzo, è figlio sano del patriarcato". Concordo in parte, ma, con tutto il rispetto per Elena, aggiungerei che anche Giulia era una "figlia sana del patriarcato". Questa riflessione nasce dopo aver letto i messaggi che Giulia aveva inviato alle sue amiche, in cui raccontava della morbosità di Filippo, che arrivava a minacciare il suicidio se lei lo avesse lasciato. Nonostante ciò, Giulia, invece di bloccare ogni contatto con lui, gli è rimasta accanto per assicurarsi che non si facesse del male, anche quando Filippo iniziava già a manifestare segni di violenza attraverso manipolazioni e minacce.
L'atteggiamento di Giulia riflette uno dei risultati di una cultura sessista che spinge le donne a sentirsi obbligate a prendersi cura del partner, del marito o di un uomo, anche quando questo non lo merita affatto. Ho conosciuto molte ragazze simili a Giulia: gentili, disponibili, empatiche con tutti e che si comportano come fossero madri, psicologhe, educatrici o infermiere per il prossimo. Purtroppo, alcune di queste ragazze si sono trovate coinvolte in relazioni tossiche e cercavano scuse per non lasciare partner violenti. A differenza di Giulia, però, sono state più fortunate e oggi vivono sposate o fidanzate con uomini rispettosi. Durante l’adolescenza ho avuto anche io discussioni con ragazze simili, perché rifiutavo ragazzi che non mi rispettavano e non esitavo a rispondere a comportamenti scorretti, anche se queste ragazze tendevano a giustificare certi atteggiamenti di quei giovani. Ho utilizzato questo mio aneddoto come esempio per evidenziare quanto sia purtroppo diffuso l'atteggiamento di molte donne che le porta a tollerare e giustificare azioni dannose e pericolose.
Il patriarcato non solo minimizza la violenza maschile, ma promuove anche atteggiamenti e comportamenti femminili che possono esporre le donne a situazioni di pericolo. Giulia, come molte altre donne, potrebbe essere stata influenzata da una narrazione culturale che insegna a sacrificarsi e a prendersi cura degli uomini, anche a scapito del proprio benessere e della propria sicurezza. Questo schema comportamentale è profondamente radicato in una cultura patriarcale che, in alcune donne, alimenta la cosiddetta "sindrome della crocerossina". Il patriarcato agisce non solo attraverso la violenza fisica o psicologica degli uomini, ma anche attraverso aspettative e norme che condizionano i ruoli di genere e le relazioni. Inconsapevolmente, Giulia è stata vittima di questa società sessista, che l'ha portata a sentirsi in dovere di proteggere il suo ex fidanzato, quando invece era lei ad avere bisogno di protezione e, soprattutto, di essere salvata.
In conclusione, credo che Giulia e Filippo rappresentino due facce della stessa medaglia: da una parte, c’è la convinzione che la donna sia qualcosa da possedere e controllare; dall’altra, la donna è spinta a prendersi cura dell’uomo e, sotto il peso della manipolazione, a "obbedire" agli "ordini".