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Il dragare nell'anima mi aveva portato in un albergo. Si trovava in una zona inusuale, un edificio fatiscente. Dei cornicioni floreali che osavano un drappeggio di troppo e quella che era ormai una congerie di immagini sopra l'entrata principale rendevano ancora più triste la sua decomposizione.
La porta si aprì, davanti a me un uomo dalla carnagione butterata dalla notte e dalle proporzioni sbagliate, una lunga e spaventosa linea che doveva essere capace di infilarsi ovunque. Con la voce di chi ha scorto il segreto dell'esistenza e ne è rimasto annoiato mi invita ad un banco dove pago e ricevo una chiave per la stanza. L'albergo era deserto. Il mobilio era vetuso e cozzava con gli infissi che invece erano moderni, il color seppia dominava le stanze, un colore affaticava gli occhi, mi sembrava di guardare una vecchia foto, una realtà diversa.
Sprofondo nel letto. Sprofondo nell'anima. E poi una sensazione terribile, una perversione resa angosciosa dalla sua subitaneità e incertezza, qualcosa che non doveva essere visto, un buco che purtroppo non era nero, ma che proprio per questo aveva una forza di attrazione ancora più terribile, il male dell'uomo. Avevo già toccato prima di allora il fondo della paura, avevo già toccato il fondo della carne, ma le due cose insieme si presentavano con un'intensità impareggiabile. Il panico fece girare la stanza con una forza tale da lacerare le pareti, le croste incoraggiate dal vento decisero di tramutarsi in petali e ora radici artigliate emergevano dai muri, avevano un colore porporino, ora rosso, ora viola, a seconda di cosa comandavano ai miei sensi. Mi alzai e presi a scappare, aprii una porta nella stanza e davanti avevo un corridoio troppo stretto per una geometria complessa, ma lo imboccai lo stesso. Sembrava stringersi man mano che lo attraversavo, una deizione di cui io ero lo scarto. Ad un tratto, senza nemmeno accorgermene, caddi in una pozza d'acqua. Ero in un acquedotto sotterraneo, con archi così alti che sembravano tendere nella vana ricerca della sanità dell'architetto. Con il cappotto infradiciato rimasi immobile a ghignare.