Romanzo a puntate: V puntata

scritto da tellina
Scritto 18 anni fa • Pubblicato 18 anni fa • Revisionato 18 anni fa
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dove si narra di una gatta e dei suoi gattini
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Testo: Romanzo a puntate: V puntata
di tellina

Sulla famiglia di donna Caterina, dal manoscritto di Olga del Volga

Don Eraldo, dopo lo scontro con il padre, scappò via di casa , aveva sedici anni, e a Vulcheri non ritornò mai più. Andò in America. E nient’altro si seppe di lui. Disperso nel Nuovo Continente e cancellato dal testamento del padre. Guai a chi lo nominava.
Antonia ritornò a casa da padrona: don Pietro se la sposò e pochi mesi dopo nacque Giacomino … don Giacomo, buono quello.
A quell’epoca Alberto, il figlio minore di donna Iolanda e don Pietro aveva otto anni … cosa poteva capire?
Il marchese, novello sposo di secondo letto, non aveva alcun interesse a tenersi quel figlio per casa e così lo spedì in collegio.
Quando compì diciotto anni Alberto andò alla scuola militare e divenne ufficiale di artiglieria. Un tenente sempre in giro tra Sardegna e Continente. A Vulcheri, a casa sua, ci tornava una o due volte all’anno, per pochi giorni.
Durante una di questi brevi permanenze a Vùlcheri, don Alberto vide, conobbe, amò, chiese in moglie Angela, la figlia più piccola di Sebastiano Casule, proprietario di vigneti, ricco senza blasone.
Nonostante l’assenza del “don” davanti al nome del futuro consuocero, l’anziano marchese di Tugia non ritenne opportuno negare la propria benedizione al figlio e alla sua promessa sposa.
Il ricordo delle origini ancillari di donna Antonia era sempre fresco in paese: non concedere ad Alberto il permesso di sposare la figlia di Sebastiano Casule, solo perché questo riforniva di vino tutte le bettole di Vùlcheri, avrebbe significato levare il coperchio da una pentola che non aveva mai smesso di bollire. Sarebbe stata l’occasione giusta per tirare in ballo la storia di don Pietro e della sua serva Antonia, la morte misteriosa di donna Iolanda, la fuga di don Eraldo in America.
Quanto a Sebastiano Casule non volle sfigurare davanti ai marchesi di Tugia: diede in dote alla figlia tanto denaro che non sarebbero bastate a contenerlo tutte le botti che ogni autunno egli riempiva di mosto.
Fu così che don Alberto chiese un permesso al generale, tornò a Vùlcheri per un paio di giorni, sposò la bella Angela Casule e la condusse con sé sulle orme dell’artiglieria.

Bibia Carrogna

A questo punto nel manoscritto di Olga del Volga compare un nuovo personaggio. Bibia Carrogna.

Il mio vero nome non lo ricordo più.
Mi chiamano Bibia Carrogna: io lo so che sono Bibia Carrogna.
Tutti hanno pietà di me e non mi scacciano mai.
Lasciano aperti i portoni perché io mi possa accucciare nell’andito dei loro palazzi. Mi danno gli avanzi del pranzo.
Puzzo di piscio e cammino a piedi nudi.
Mi hanno regalato un paio scarpe per fare atto di carità, ma se le possono tenere.
I miei piedi sono rossi e grossi, callosi dal caldo e dal gelo: hanno fatto il cuoio.
Un cuoio nero per la sporcizia delle strade di Vulcheri.
Quella marchesina dei Tugia, l’orfana…. quella arrivata da Cagliari…. Se ne sta per ore a guardarmi i piedi. Non una parola, immobile, davanti a me, buttato per terra all’incrocio della strada, a esaminarmi i piedi.
Io non mi muovo. Fingo di dormire e la osservo tra le palpebre socchiuse. Mi fissa con gli occhi verdi di sua nonna, Iolanda. Rotondi, verdi e sgranati.
Da bambino non ero Bibia Carrogna. Giocavo a Paradiso con Iolanda. Una pietra piatta, un disegno con il gesso sul basalto nero che lastrica la piazza, i salti dentro quel disegno per raccogliere la pietra che vi lanciavamo a turno
Poi sono diventato Bibia Carrogna e Iolanda se l’è sposata don Pietro. E’ diventata donna Iolanda, mi vergognavo anche a rivolgerle la parola.
Sono diventato Bibia Carrogna perché ho visto i diavoli.
In paese mi hanno ribattezzato così, Bibia Carrogna, lo scemo che parla col demonio, e mi sono dimenticato come ero prima.
Ero un ragazzino.
Quattordici anni, quasi quindici.
Agosto.
Notte.
Pietre nere della strada.
Esalavano il calore accumulato durante il giorno.
In cielo le stelle.
Luna no, non ce n’era, lo ricordo bene.
Tutti a dormire.
Chiuse le persiane delle case.
Silenzio.
Perché non ero ritornato a casa mia?
Avevo una madre bella e profumata di sapone.
Avevo una casa linda.
Mia mamma mi aveva allevato con cristiana educazione.
Il suono di una fisarmonica … un valzer … c’è una festa?
Non mi hanno detto nulla.
E gli altri dove sono?
Perché dormono se c’è una festa?
Mi avviai, attratto dalla musica, verso piazza del Convento.
In quella piazza c’era una festa.
Le coppie volteggiano nel valzer.
Dov’è la fisarmonica? Non vedo chi suona.
Dall’altra parte della piazza appare un uomo a cavallo.
Sul volto ha una maschera bianca.
La musica cessa.
Le coppie si sciolgono.
Uomini e donne si prendono per mano fino a formare un unico, immenso, cerchio rotondo.
Un concerto
un violino
un mandolino
un ritornello mordente
patetico
scherzoso
appassionato.
Una donna si volta verso di me.
Mi sorride.
Mi prende per mano.
Entro nel girotondo.
Ballo con loro.
L’uomo con la maschera mi guarda.
Abbasso lo sguardo.
Guardo le gambe degli altri ballerini.
No, non sono gambe.
Sono zampe.
Zampe di gallo.
Voglio scappare.
Voglio farmi il segno della croce.
Voglio divincolarmi.
Mi tengono saldamente.
Mi obbligano a danzare in tondo
in tondo
in tondo.
Da allora tutti mi chiamano Bibia Carogna.
Io sono lo scemo.
Io sono quello che ha visto Satana.
Bibia Carrogna: ogni paese della terra ne ha uno. Un folle, un poeta, un indemoniato, un veggente.



Donna Antonia

Donna Antonia era dunque la matrigna del padre di Caterina. La seconda moglie di don Pietro. Dapprima serva infida, poi cattiva matrigna, infine nonnastra crudele. Le storie narrate diventano scialbe se le priviamo di un personaggio femminile crudele e malvagio.
La piccola Caterina imparò presto a odiare la nonnastra. Occasione: un episodio occorso alcuni mesi dopo l’arrivo della bambina nella casa dei marchesi dei Tugia.
Dai ricordi di donna Antonia
A Vulcheri ogni gatto ha una casa. Odore di pipì di gatto in ogni sottoscala.
Anche donna Iolanda, quando era la padrona, prima che morisse, aveva una gatta. Cenerina. Grigia come la cenere.
Cenerina, quando la padrona si ammalò non si staccò più da lei. Sempre nella sua camera da letto. Anche la notte che morì.
Io ad accudire donna Iolanda e lei, la gatta, a fissarmi con quegli occhiacci verdi, accucciata nell’angolo dietro la poltrona. Io a far bere le medicine alla padrona, quelle pastiglie viola, e lei neppure un miagolio mentre quella rantolava. Si sa i gatti sono traditori.
E ora ci è toccata la nipote, Caterina, l’orfana. La gente ci avrebbe criticato se mio marito … don Pietro…. non l’avesse presa in casa. Figuriamoci… l’unica figlia di Alberto. La sua unica nipote. La più piccola dei Tugia. Ma già non ci resterà per molto. Fino a che compie dieci anni. Con Pietro abbiamo già deciso: a dieci anni la manderemo dalle suore. In Continente. A Spoleto. In collegio. Lo stesso dov’era andata la figlia dei Machiavelli. Aveva a diciotto anni quella quando a Spoleto ha conosciuto un continentale che se l’è sposata. E a Vùlcheri non si è più vista.
Adesso Caterina ha fatto come la nonna, quella superba di donna Iolanda, e mi ha anche lei messo la gatta a girare per tutta la casa. Dove vado mi trovo sempre davanti quegli occhi verdi, della bambina e della gatta. Tutt’e due mi fissano. Sguardi verdi come quelli di donna Iolanda e di Cenerina. Tutt’e due pronte a graffiarmi.
Questa nipote di mio marito sta passa anche troppo tempo in compagnia di Peppa, la zeracca. Chissà cosa le racconta quella pettegola.
Caterina: una viziata…. E mio marito è un cuore molle, si preoccupa solo della propria lapide e protegge la bambina perché tutti i giorni va al cimitero a controllargli la tomba.
Ora la gatta ha pure partorito. Sei gattini ciechi ciechi. Caterina ha preso una cesta, ci ha messo dentro un cuscino del salotto, con le rose tutte ricamate a punto croce da me, e sopra il cuscino gatta e gattini. A pisciarmelo e a cagarmelo.
- Almeno si consola! – ha detto mio marito – E cosa vuoi che sia? Per un cuscino e una cesta …. E’ orfana …-
Orfana? Maleducata è!
Ho ingoiato la gatta, ma non ingoierò i gattini! I gattini crescono, si accoppiano e fanno altri gattini. Pipì di gatto per tutta la casa.




La prima testimonianza di Bibia Carrogna

Ho conosciuto Satana e conosco donna Antonia. E Satana è più buono di donna Antonia.
Non è possibile tenere in casa tutti i gattini che le gatte partoriscono. Sono un indemoniato, ma sono scemo. Ma quello che si è pensata donna Antonia neanche all’inferno per torturare le anime perdute.
Caterina, l’orfana, era appena uscita dal palazzo dei Tugia, accompagnata da Peppa, per andare a scuola.
Ed ecco che viene fuori dal portone Donna Antonia. Tra le braccia una cesta coperta da uno straccio vecchio. Sotto lo straccio miao miao sottile sottile.
Quando cammino per le strade di Vùlcheri nessuno mi vede. Come se fossi una cantonata e come le cantonate puzzo e sono nero. Satana mi ha insegnato ad essere invisibile.
Seguo donna Antonia mentre cammina silenziosa con la sua cesta tra le braccia, in direzione degli orti. Imbocca il viottolo che porta a una delle proprietà dei Tugia: orto e frutteto, appena usciti dal paese, a Funtana.
Il mezzadro Costantino Are sta zappando. Donna Antonia lo chiama dal muretto a secco. Quello viene ad aprirle il cancello. Parlottano. Li vedo in controluce. Lei gli indica un punto dove la terra è più soffice e nera, dove lui ha appena zappato.
Il cancello di legno è rimasto socchiuso. Non si accorgono di me che entro nel podere. Troppo intenti a fissare il terreno. Mi nascondo dietro un albero di ciliegie. Sono piccole, rosse e aspre. Mentre li osservo mi riempio la mano e la bocca di ciliegie.
Il mezzadro inizia a scavare. Non è una buca profonda. Non ce n’è bisogno. Donna Antonia solleva lo straccio che copre la cesta. A uno a uno getta dalla cesta i gattini nella buca. Sei. Li conto.
Nella buca i gattini si muovono alla cieca odorando il terreno umido. Donna Antonia fa un cenno al mezzadro e quello inizia a gettarci terra sopra.
Due minuti e i gattini sono tutti ricoperti.


Quello che disse Peppa sulla scomparsa dei gattini

Se queste sono cose da raccontare a una bambina….
Ah ma l’ho cacciato! Bibia da me non avrà più neanche un piatto di minestra … vada a chiedere l’elemosina a casa d’altri … Caterina … pizzinna mia… comenti pranghia, come piangeva. Singhiozzi per tutta sa domo .
E Donna Antonia? Come se non l’avesse intesa.
In chiesa, alla novena di Santa Imbenia. Uscita a dire il rosario. Non le mancava altro. Chissà la Madonna quanto è contenta di vedersela davanti.
La gatta miagolando per tutta la casa cercando i suoi gattini. Le bestie soffrono come i cristiani.
Bibia limba putida, linguacciuto puzzolente. Indemoniato che non è altro!
La terra continuava a sollevarsi dopo che Costantino li ha sepolti. Così le ha detto a quella bambina. Perché loro, i gattini, erano ancora vivi e cercavano l’aria per respirare. Finché la terra non li ha soffocati.
Cuore di mamma. Caterina non faceva a tenerla. Lei e la gatta, con sos ojos, gli occhi, verdi, spalancati, che mi gira tutta la casa chiamando i gattini.
E il nonno? Il marchese? Sordo a balla. Piscia, troddia e scatarra. Dio mi perdoni. Ma la pelle cattiva non muore mai. La tomba già se l’ha fatta. Ma prima che ci finisca lui, andremo noi sottoterra.

(alla VI puntata)
Romanzo a puntate: V puntata testo di tellina
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