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Ti specchiavi al suon de la glauca luna,
eri leggiadra altera e tutta ignuda
e lene sorridevi, più lontano
su l'argenteo velo de la laguna
già assorta verso un sogno che respira
ov'è un fiotto che fra l'alghe sospira.
Gl'occhi gemme ei capelli un vellutino
soli a cinger quel dolce corpicino,
argentino al suon de l'eburna, luna
sì che t'umettava scapole e mani
ne rinfrangeva i minuscoli, seni...
Ma di poi costì arrivò lui furente
preso da un émpito di gelosia,
[ forse invaghito da un' ansia crescente,
e con far bambinesco scagliò un sasso
struggendo quel cherùbico riflesso.