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Stavo appollaiato sul cornicione della finestra del mio appartamento a DeLongpre Avenue (LA). Un bicchiere di vodka e acqua appoggiato su un comodino, veniva illuminato dall’unico raggio di sole che passava tra i pertugi delle serrande creando, a contatto con il bicchiere, piccoli fiocchi simil a neve che pian piano, dall’estremità, scorrevano fino al fondo per poi risalire. La stanza, era appannata dal fumo delle sigarette mezze accese e appoggiate sul bordo del posacenere a forma di guscio di cocco e, probabilmente, anche dalla sigaretta che stavo fumando proprio in quel momento. Seguitavo a scrutare i passanti sul marciapiede, come vecchi che si dilettano ad osservare i lavori in qualche cantiere, e a deridere qualunque persona buffa passasse per quella strada. Mi capitava spesso di buttare le giornate in questo modo: ubriaco, in mutande, ad osservare dalla finestra; mentre là, fuori da quella porta, mi aspettavano giornate importanti passate in qualche sala da bar, casa di puttane da quattro soldi, a cercar lavoro o nei centri scommesse…magari era il mio giorno fortunato. Invece, vivevo nella noia più totale a fissare ragazzini far lo sgambetto a vecchi generali dell’esercito comunista, ormai in pensione, con un piede nella fossa, che, una volta sistemata la coppola sulla testa spelacchiata dopo la caduta, dimenavano il bastone per aria minacciandoli di riempirli di cazzotti mentre, dal nervoso ed agitazione, rischiavano persino di perder la dentiera di bocca. Esilarante.
Quella mattina non fui particolarmente ispirato; ci sono giorni, mesi, anni in cui non passa un cazzo per la testa, uno di quei periodi in cui ti siedi sulla sedia del tavolino, fissi per ore ed ore l’Olivetti senza mai battere alcuna lettera.
Che tempo sprecato, che genio sprecato.
Me lo dicevano sempre: “buone braccia tolte all’agricoltura”…seh, certo. Spaccatevi voi il culo sotto il sole in un campo di pomodori rinsecchiti, sporchi e flaccidi come il culo della vostra donna fannullona; ho fin troppi pregi.
Potevo darmi a qualche sport ma la sola idea di faticare alzandomi dal letto, per faticare ad uscir dalla porta di casa mia, e andare a far fatica e sudare e puzzare, quasi inevitabilmente, secondo uno strano allineamenti dell’arco ancestrale, creava l’effetto contrario facendomi trovare, magicamente, il classico e ridondante bicchiere di vodka e acqua dritto dritto nel palmo della mia mano sinistra. Chiamatemi, Houdini!
Ma, soprattutto, chi me lo avrebbe fatto fare di lasciare il mio angolino? Il più grande spettacolo, passava sempre sotto quella finestra. Giovani donne, ben vestite, quasi altolocate, che passeggiavano, inconsce, sulle grate di quel marciapiede, mentre indossavano una gonna o un vestitino largo, ignare che l’aria che fuoriusciva da lì sotto, da un momento all’altro, gli avrebbe fatto alzare il vestitino mostrando a tutti quel bendidio! Una gioia impagabile. Il più bello spettacolo al mondo, e non si pagava il biglietto (cit.). Quelle splendide gambe, quelle sontuose curve…fisse nei miei occhi glaciali e spenti e tristi che, per un attimo, li faceva sorridere.
Seguitai, fin quando l’odiosa suoneria del telefono irruppe in quella stanza pensierosa.
Buttai giù un bel sorso e mi avvicinai a rispondere:
“Sì…?” “Skesh? Skesh, sei tu?” “Forse, non ne sono poi tanto sicuro. La mia mente ogni tanto gioca brutti scherzi.” “Sei il solito vecchio burlone…sono Henry! Fra mezz’ora sono da te con due bottiglie di vino. Ho una notizia! Vedi di esser presentabile…”
(TUK…TUK…TUK)
Posai, lentamente la cornetta del telefono, quasi ad aver la sensazione che, da un momento all’altro, qualcun altro avrebbe chiamato. Fissai per qualche secondo il telefono e poi mi diressi verso il bicchiere; buttai giù un bel sorso, feci un altro tiro della sigaretta: inspirai, tenni dentro e buttai fuori una bella nuvola di fumo. L’unico momento di tranquillità di tutta la giornata.
Guardai ancora dalla finestra, giù per il marciapiede, ma non passava nulla di interessante. Dall’altra parte della strada, affissarono dei manifesti politici sulla guerra in Vietnam che recitava “War si good business. Invest your son!”.
Non mi interessava particolarmente. Mi interessava di più il gruppo di attivisti che agitavano cartelli anti-guerra e anti-comunismo, bandiere del Vietnam e tutte quelle robe lì. Vedevo quelle scene come il fallimento della libertà di organizzazione, di parola e di vita come se, un manifesto, possa cambiare la propria idea ed ideologia, politica e morale, mentre un altro senzatetto dall’altra parte della città muore, pisciandosi addosso, perché senza soldi per mangiare, bere, arruolarsi nell’esercito o farsi un’altra bella scopata rigenerante con qualche puttana. Il mondo va allo sfracello.
Ad un tratto, bussarono alla porta.
Tre colpi ben assestati.
Avevo quasi paura di avvicinarmi ed aprire per il timore che qualcuno possa entrare nella mia tana. Buttai giù l’ultimo sorso, spensi la sigaretta e mi avvicinai, con cautela, allo spioncino della porta per vedere chi fosse.
Era Henry. Era in anticipo.
Io ed Henry ci conoscevamo da vent’anni, da quando eravamo ancora abbastanza sbarbati e ci piaceva andare, in bicicletta, a spiare, dalle finestre dei bagni delle case dei ricchi, le donne che si facevano la doccia.
“Ehi, vieni qua! Ce n’è un’altra che fa un pompino nel bagno ad uno; e non è suo marito! Ha due tette giganti…guarda che roba! Mai viste due tette così tonde, così sode e poi guarda che culo! Che roba…mai vista una roba del genere…” “A forza di guardare solo tu, diventerai cieco..”
Lo spinsi giù e mi arrampicai io. Guardavamo per ore e ore quelle scene, giorno dopo giorno. Passavamo le giornate intere a cercare un’altra casa da spiare. Penso di non aver mai avuto tutte quelle erezioni. Certe volte ci notavano ma loro continuavano ad andare avanti: donne che si lavavano, che scopavano, che si toccavano, che si facevano la ceretta alle gambe (e Dio sa solo quanto mi attizzino delle belle gambe…), che si truccavano in intimo. Penso che si eccitassero pure loro a farsi vedere.
Spesso, però, ci beccavano e gli uomini si incazzavano e noi scappavamo ghignando mentre abbandonavano la loro donna come-mamma-l’aveva-fatta per rincorrerci con le palle al vento; “aaah ma un giorno vi prendo…VE LO GIURO!”.
Non ci hanno mai preso.
Abbiamo scoperto, anche, certi tradimenti.
Era bello, nell’innocenza, cercare un po’ di sensualità, un po’ di eccitazione fin quando si è giovani; un giorno ti svegli, ti guardi allo specchio e ti viene il vomito: la vita è solo per grandi scopatori, solo loro sopravvivono. Non per vecchi ubriaconi.
Aprii la porta ed Henry entrò.
Aveva portato con sé due bottiglie di vino, come aveva detto (uomo di parola!), una cassa di birra e due bei Cubani; in pratica, sono contento di vederlo solo per questo.
“Allora Skesh! Che si dice? Hai scritto qualcosa di nuovo?” mi chiese mentre stappò la prima bottiglia. “Solo cianfrusaglie che mi passano per la testa. Sono come un corvo nero che agguanta una carcassa ma che gli rimangono solo le ossa” risposi dopo aver buttato giù un bel sorso. “Sì, solite stronzate. Comunque…hai sentito di recente John?! L’ho beccato mentre elemosinava alla mensa dei poveri”
Ridemmo.
“Ha perso il lavoro il mese scorso; in pratica mi ha raccontato che è stato beccato scoparsi una segretaria o era una receptionist, o robe così, nel bagno dell’ufficio un’ora prima del turno mentre fumava uno spinello…”
Ridemmo ancora.
“Inoltre, è tornato a casa il giorno stesso ed ha beccato sua moglie mentre scopava in cucina con il vicino idraulico; uno che conosce anche lui, mi ha raccontato che ha preso il coltello e gli ha tagliato un pezzo di uccello…”
Ridemmo talmente tanto che quasi mi strozzai con il fumo del sigaro e lui sputò dal naso la birra che, nel mentre, aveva stappato.
Tornammo seri.
“Povero ragazzo…se l’è meritato” esclamai.
“Sì…con tutte quelle che si è scopato in giro, è già tanto se non sia caduto a lui il cazzo!”
Ammiccai e non dissi nulla. Continuammo a bere per ore, raccontandoci qualsiasi cosa ci passasse per la testa. Era bello parlare con lui perché, dal momento in cui varcava la porta, non sapevi mai che discorsi avresti intrapreso, ed ogni volta sono sempre diversi. Non sapevi mai quando se ne sarebbe andato.
Passavamo da parlare e ridere e sbellicarci a momenti in cui nessuno fiatava, in cui persino il Mondo pareva si fosse fermato e quello era il momento più bello. Bevevamo, guardavamo fisso un punto davanti a noi e non dicevamo niente.
Quello era il discorso: niente. Come se entrambi facessimo a gara a chi avrebbe parlato per ultimo e vincevo sempre io. Non mi piace tanto parlare ma so sempre ascoltare; lascio che siano sempre gli altri a dir qualcosa…oppure la mia macchina da scrivere.
Intanto, la luce fioca della stanza iniziò pian piano a scomparire e, fuori dalla finestra, il cielo iniziava ad imbrunire.
Terminato l’alcool, Henry si alzò dalla sedia, si asciugò le lacrime delle risate, mi strinse la mano ed uscì dalla porta. Ecco che un’altro possibile contadino se ne andò.
Henry faceva l’avvocato.
Aveva studiato ad Harvard o robe così e suo padre faceva l’avvocato e sua mamma era avvocato anche lei. Una famiglia di avvoltoi che illudevano i poveri impiegati licenziati e divorziati che non fosse colpa loro per poi ghermire la preda e rubargli tutto quello che avevano in tasca. Come il contadino che lascia crescere erbacce nel suo orticello, facendole credere che siano un bene per poi estirparle a mani nude, senza pietà. O come la puttana sul ciglio della strada che ti fa credere di esser vaccinata solo per farsi scopare senza preservativo per guadagnare di più, per poi infettarti con qualche malattia e stronzate varie.
Il Mondo è formato solo da contadini, puttane ed avvocati e non è detto che uno non sia tutti e tre.
Rimasi lì, seduto su quella sedia per qualche minuto, mi accesi un’altra sigaretta e continuai a fissare il vuoto fin quando non bussarono ancora alla porta.
Mi alzai, mi diressi verso lo spioncino per sbirciare, grattandomi il culo e buttando fuori un cerchio di fumo perfetto; guardai ed era la vicina sexy in accappatoio. Aprii la porta.
“Ciao! L’acqua di casa mia non diventa calda…penso di avere un problema con la caldaia. Potrei fare la doccia da te?”
Avevo già un’erezione in corso mentre guardavo quelle labbra carnose che si muovevano su e giù nel mentre parlava. Mi immaginavo quel suo corpo ventenne sensuale, tutto bagnato che si muoveva lentamente sopra di me. Che vecchio sporcaccione.
Aprii di più la porta e la feci entrare, le indicai il bagno e rimasi lì fermo, davanti alla porta, mentre vedevo quel meraviglioso culo che si dirigeva nell’altra stanza. Entrò in bagno, si tolse l’asciugamano mostrando tutto quel bendidìo, si girò, sorrise e chiuse la porta.
Chiusi anche io la porta.
Mi sedetti davanti all’Olivetti a fissarla, cercando di illudermi che forse avrei combinato qualcosa di buono mentre pensavo a come scoparmela.
Niente.
Mi alzai, presi due bicchieri e li riempii di vodka e acqua, ne presi uno in mano e lasciai l’altro sul tavolo, feci un bel sorso e mi diressi davanti alla finestra a guardare il mio solito marciapiede. Un testimone di Geova cadde inciampando sul piede di uno dei ragazzi, intenti a fare un altro dei loro soliti scherzi, e perse il parrucchino mostrando la sua pelata. Riddi di gusto.
“Questo è mio?” Disse la ragazza uscendo ancora bagnata dal bagno ed indicando il bicchiere sul tavolo.
“Se vuoi.” Le risposi
Facemmo un sorso, guardandoci intensamente negli occhi. Aveva due occhi glaciali che scaldavano il mio cuore vecchio e trasandato. Poi lei esclamò:
“Sai…forse dovremmo scopare!”
Le sorrisi. Finii il mio bicchiere, lo appoggiai sul davanzale della finestra e mi diressi verso di lei.
Facemmo l’amore quella sera.
I lampioni fuori dalla finestra, illuminavano il vialetto.
I ragazzi si incamminarono verso casa dopo una giornata di scherzi e, in qualche abitazione sopra la mia, il giradischi suonava qualche ballata di Mozart ed era bello sentirlo mentre andava allo stesso ritmo nostro.
I gufi cantavano ed il letto rispondeva cigolando.
Vivevo la mia vita, una scopata alla volta.
Un’altra ottima giornata stava per concludersi.