Contenuti per adulti
Questo testo contiene in toto o in parte contenuti per adulti ed è pertanto è riservato a lettori che accettano di leggerli.
Lo staff declina ogni responsabilità nei confronti di coloro che si potrebbero sentire offesi o la cui sensibilità potrebbe essere urtata.
Romanzo
Capitolo I
Quella sera, il fragore di una porta chiusa violentemente sconvolse la piccola Adalgisa che, nel suo lettino, tremava dalla paura. Non era la prima volta che i genitori litigavano. Quella volta però presagiva che qualcosa di grave stesse accadendo. Da quanto tempo non regnava più la pace nella sua casa? Frastuoni e grida si udivano sempre più spesso. Adalgisa, ormai, aveva intuito che tutto ciò avveniva per colpa di suo padre. Troppe volte, infatti, aveva visto i genitori litigare, cercando di comprenderne il motivo attraverso le loro parole.
In quei momenti se ne stava nascosta per tentare di capire cosa succedeva fra loro. Nessuno le dava una spiegazione. Intuiva solo che il cattivo fosse il padre. Dopo ogni litigio, infatti, vedeva la madre piangere e poi ritirarsi silenziosa nel bagno, per uscirne dopo un po’ con gli occhi gonfi. Nell’osservare quelle scene, Adalgisa iniziò a perdere l’affetto verso il genitore, riversandolo tutto sulla madre. Le cominciò a stare più accanto, cercando di confortarla, nonostante lei avesse appena otto anni. Le liti continue tra i suoi genitori giunsero a tal punto che un giorno il padre andò via da casa e non si fece più vedere.
Aveva iniziato a fare freddo, si era ormai in autunno inoltrato. Adalgisa, ogni giorno, dopo aver ultimato i compiti scolastici, si esercitava al pianoforte. Era la madre la sua insegnante, essendo stata da giovane una discreta pianista che aveva anche eseguito qualche piccolo concerto in pubblico. La donna, un pomeriggio, mentre la figlia era intenta a suonare, senza interromperla si sedette accanto a lei. Quando la bambina completò la sua esercitazione, la madre le diede un tenero bacio sulla guancia e con voce tremula e carica di commozione le disse: “Figlia mia, ti devo dire una cosa che non ti farà piacere, purtroppo dobbiamo separarci. Dovrai andare in collegio per conseguire un giorno il diploma liceale e continuare anche nella musica. Partirai tra qualche giorno. Ti accompagnerà Annette, la nostra governante”.
Queste parole ferirono il tenero cuore di Adalgisa. Non seppe dire una parola, rimase attonita e si sentì mancare il respiro. In quel momento avrebbe voluto piangere, gridare al mondo intero tutto il suo dolore, ma rimase impietrita, il capo chino, in segno di accettazione.
Quella sera andò a letto col cuore pieno di amarezza e pianse calde lacrime, poi, vinta dal sonno, si addormentò.
Due giorni dopo fu svegliata molto presto e si preparò per la partenza, aiutata dalla madre.
Al momento di separarsi da lei scoppiò a piangere, mentre il suo cuoricino iniziò a battere con tanta violenza da sembrare che stesse per scoppiarle dentro.
Si aggrappò alla madre con tutte le sue forze, avrebbe desiderato assaporare il calore del suo corpo, come quando per nove mesi era rimasta nel suo grembo.
Ma ormai era stato deciso, doveva partire. L’abbraccio con la madre fu straziante. Poi, salì assieme alla governante sul taxi dirette alla stazione ferroviaria. Rivolse un ultimo sguardo alla madre, la salutò con la manina finché l’auto svoltò all’angolo di casa.
Lentamente, Adalgisa si rannicchiò nel sedile, senza parlare, lo sguardo rivolto ad Annette che continuava a fissarla con sguardo tenero, mostrando anch’essa una tristezza evidente. La governante era una donna di mezza età. Quando fu assunta dai suoi genitori, Adalgisa aveva appena tre anni e le si affezionò subito. Crescendo, era con lei che spesso si confidava, come se fosse una seconda mamma.
1
Il taxi procedeva rapido verso la stazione. Adalgisa rimaneva in silenzio. Ad un tratto, ancora sonnolente per essersi alzata quella mattina assai presto, chiuse gli occhi e si appisolò.
Quando l’auto si fermò, Annette la svegliò dolcemente dicendole che dovevano scendere. Adalgisa provò una strana sensazione nel vedere tanta gente andare di corsa e poi salire sul treno fermo su un binario, nel sentire una voce che all’altoparlante annunciava i convogli in partenza e quelli in arrivo. Fu attratta da una edicola di giornali, dipinta di azzurro e con la tettoia verde smeraldo, i suoi colori preferiti.
La governante, tenendola sempre per mano, si recò in biglietteria, poi assieme alla piccola salì sull’ultima carrozza del treno. Adalgisa si sedette vicino al finestrino e si mise ad osservare tutto quel via vai di persone. Alcune erano vestite in modo elegante, altre in maniera più modesta. Poco dopo un uomo in divisa scura accostò alle labbra un fischietto ed emise un lungo e stridulo suono. La bambina udì sbattere le porte del vagone e il treno cominciò lentamente a muoversi. Annette le disse che quell’uomo era il capostazione e che il treno non poteva mettersi in movimento se prima lui non avesse autorizzato la partenza con il fischietto.
In quel momento molte mani si agitarono sulla pensilina della stazione e alcuni dei parenti dei passeggeri iniziarono a correre accanto al treno, per dare un ultimo saluto ai propri cari.
Quando il convoglio iniziò a procedere più velocemente, Adalgisa poggiò la testa sullo schienale del sedile, chiuse gli occhi e, cullata dal movimento del treno, si addormentò. Dopo un tempo che le sembrò interminabile, si svegliò un po’ intontita. Vide che la governante, in maniera assorta, era intenta a leggere un libro.
La bambina non la volle interrompere e volse lo sguardo all’esterno. Stavano attraversando una vasta pianura ricca di alberi ancora carichi di foglie. Davanti ai suoi occhi scorrevano veloci le immagini di alcune casette di campagna, greggi di pecore al pascolo e colline in lontananza. Smise di guardare fuori e col pensiero cercò di immaginarsi come sarebbe stato quel collegio in cui stava per entrare.
Finalmente, dopo alcune ore di viaggio arrivarono a destinazione, scesero dal treno, presero uno dei taxi che erano fermi nella piazza e si fecero condurre all’indirizzo.
Appena scesero, Adalgisa si trovò davanti a un grande e antico palazzo, dall’imponente portone d’ingresso in legno intarsiato. Annette suonò il campanello e poco dopo venne ad aprire un’anziana donna che le chiese cosa volesse.
Avendo ricevuto in risposta che la direttrice le stava aspettando, la donna le fece entrare e attraverso un lungo corridoio le condusse in sala di attesa, poi bussò ad una porta e le annunciò alla direttrice. Appena entrate, Adalgisa guardò subito la signora che le stava di fronte. Anziana, non bella ma dal portamento elegante. A prima vista le suscitò molta simpatia. Stava seduta dietro una scrivania e al loro ingresso si alzò, mostrando una figura piccolina e snella.
Venne loro incontro e rivolgendosi alla governante le chiese se era quella la nuova alunna. Alla risposta affermativa da parte di Annette, la direttrice cercò di prendere la bambina per mano. Adalgisa, capendo che in quel momento si sarebbe dovuta separare dalla sua amata Annette, si rifugiò tra le braccia della governante, come se avesse percepito solo allora ciò che le stava realmente accadendo. Incominciò a piangere, dicendo che voleva ritornare a casa, dalla mamma. La governante cercò di persuaderla, dicendole che non era possibile, che doveva rimanere in quel posto per istruirsi, che in quel collegio avrebbe conosciuto tante altre bambine con cui giocare.
Ma lei continuava a piangere e a ripetere che non voleva rimanere. A questo punto, la direttrice, che sino a quel momento era rimasta impassibile, perse la pazienza e prendendola per le braccia la staccò dal collo della governante conducendola via bruscamente.
2
Adalgisa era in preda alla disperazione, avrebbe voluto svincolarsi, ma sentiva le forze mancarle, non sapeva cosa fare. Alla fine, stremata, si rassegnò.
La direttrice, dopo aver dato l’incarico ad una inserviente di sistemare gli effetti personali della nuova arrivata, condusse Adalgisa in un ampio cortile. Lo sguardo della bambina si posò su un gruppo di ragazze che discutevano allegramente tra loro, mentre bambine della sua stessa età erano intente a giocare a mosca cieca. Lei non cercò la loro compagnia, era troppo triste. Si mise in un angolo e si sedette su un gradino.
Nessuna delle ospiti del collegio si era ancora accorta di lei. Con la mente Adalgisa cercò qualche stratagemma che le permettesse di fuggire da quel posto, ma non le veniva nessuna idea. Fu distratta dallo squillo di un campanello. Una donna in abiti da inserviente disse ad alta voce che la ricreazione era finita e che tutte dovevano rientrare nelle aule. Adalgisa rimase dov’era, non sapeva dove e con chi andare. Ma dopo qualche attimo udì una voce alle sue spalle: “Ehi, tu, ragazzina, come mai non sei ancora fuori? Non hai sentito il campanello? Vai subito dentro e raggiungi le altre”.
Chi aveva parlato era una donna magra, il volto scarno, le labbra sottili, il mento aguzzo e gli occhi piccoli.
Adalgisa colta dalla paura, incominciò a indietreggiare di qualche passo, rimanendo ammutolita. La donna le si avvicinò e tirandola per un braccio la spinse dentro un’aula. Appena varcata la soglia, Adalgisa vide che le tutte le bambine non erano ancora sedute e parlavano fra loro.
Scorse nell’ultima fila un banco vuoto e quasi furtivamente vi prese posto. Quando le bambine finirono di discutere si accorsero della sua presenza. Una di loro le si avvicinò e le disse: “Sei tu la nuova alunna?”.
“Si”, rispose Adalgisa, un po’ intimidita.
“Come ti chiami?”
“Adalgisa”.
In quel momento entrò l’insegnante e tutte andarono ai loro posti, facendo silenzio. Era molto giovane e carina. Si avvicinò alla cattedra, si sedette, aprì il registro e iniziò a chiamare l’appello. Alla fine, volse lo sguardo davanti a sé, fissando a lungo la nuova arrivata. Adalgisa percepì quello sguardo come una dolce carezza. L’insegnante le disse di avvicinarsi alla cattedra, poi si rivolse alla classe:
“Care bambine, questa è una vostra nuova compagna, dovete volerle bene e cercare di starle vicino, per farle sentire meno la lontananza da casa, come è stato anche per voi. Penso che diventerete subito amiche e che l’accoglierete con affetto”.
Poi rivolta ad Adalgisa, sorridendo, le disse di sedersi accanto ad una bambina che era sola nel suo banco. Adalgisa si mise vicino a lei, entrambe si scambiarono un sorriso. Ebbe inizio la lezione, che ad Adalgisa parve piacevole.
Le ore passarono in fretta. Alla fine, Adalgisa fu accompagnata nel dormitorio, per prendere visione del posto assegnatole. Era uno stanzone immenso, con tanti lettini bianchi, accanto ad ognuno dei quali era situato un armadietto che conteneva gli effetti personali di ciascuna di loro. Poco dopo squillò nuovamente il campanello. Era l’ora del pranzo. Adalgisa seguì le compagne. Entrarono in una stanza molto ampia, dove vi erano delle lunghe tavole già imbandite, e presero posto. Distribuirono una minestra piuttosto insipida, secondo i gusti di Adalgisa che non riuscì a finirla, poi una frittatina d’uovo e della frutta.
Finito di pranzare andarono a riposare. Nel primo pomeriggio scesero in biblioteca, un ambiente grande, fornito di tanti tavolini, uno per ciascuna di loro, dove fare i compiti.
3
Fu poi il momento della cena e al termine, furono lasciate libere di andare in cortile.
Alcune si diressero verso una porta e la oltrepassarono. Adalgisa andò dietro a loro e si ritrovò in un ampio giardino. Quella sera il cielo era pieno di stelle e una luna piena illuminava tutt’intorno. Il giardino era abbastanza curato, c’erano alcuni alberi da frutta, un paio di folti roseti e un grosso abete in fondo, là dove il giardino finiva, delimitato da un muro di cinta.
Adalgisa, lentamente, si avviò lungo uno stretto viale, nella speranza che ci potesse essere un varco da cui poter scappare.
Infatti. pensava ancora di fuggire, nonostante fosse stata bene accolta dalle compagne. Si accorse però che quel muro di cinta era abbastanza alto e difficilmente avrebbe potuto scavalcarlo, quindi per il momento abbandonò questa idea e si sedette, pensierosa, su una panchina.
Al nuovo squillo del campanello si alzò, raggiunse le compagne e tornò dentro. Era l’ora della preghiera della sera.
Furono condotte nella cappella che custodiva anche una bella statua della Madonna e due file di banchi dove si inginocchiarono, iniziando a pregare sotto la guida di un’assistente. Alla fine delle orazioni fu l’ora di andare a dormire.
Adalgisa s’infilò nel suo lettino, ma non riusciva a prendere sonno per tutti gli avvenimenti della giornata. Si addormentò che era tardi. L’indomani mattina, al suono del campanello, non aveva alcuna voglia di alzarsi. La sua compagna di banco le andò vicino e le disse: “Che fai, sei ancora a letto? Lo sai che se viene la maestra ti rimprovera e ti punisce?”.
Nell’udire quelle parole, Adalgisa si alzò di scatto, si preparò in fretta, in tempo per scendere assieme alle altre.
Dopo aver fatto colazione e recitato le preghiere, iniziarono le lezioni.
Qualche giorno dopo, mentre c’era la ricreazione, alcune compagne, vedendola in disparte, invitarono Adalgisa a prendere parte ai loro giochi. Lei accettò mal volentieri, ma alla fine presa nel vortice del divertimento cominciò ad avvertire una sensazione di benessere interiore.
CONTINUA..............................................
4