Di figli alla patria, Assunta ne aveva dati nel numero stabilito dal Duce per risultare idonei all'ottenimento della medaglia e dei vantaggi economici.
Per incrementare il premio, aveva anche acconsentito a battezzarli con nomi patriottici e nazionalistici e, siccome tra i maschi era nata anche una femmina Italia, all'ultima aveva deciso di azzardare un nome più cosmopolita: Europa.
Le piaceva come suonava nella pronuncia e, di certo, in quelle terre assolate di grano e mare, non ce ne sarebbe stata un'altra.
Pazienza se le alte sfere non avessero gradito, misconoscendo l'attribuzione di qualche lira in più: Assunta aveva scelto almeno un nome, prima di chiudere l'utero alla causa della patria.
Li amava tutti indistintamente i suoi figli, e si era pur sentita utile per gran parte della sua vita (non ricordava un tempo senza pancione); erano tempi grami per contadini e pescatori, e le lire elargite dallo Stato servivano ben poco a tirar avanti le famiglie numerose, ma si era maritata con un fascista convinto e aveva sospirato il suo assenso con remissione.
Sette figli per una medaglia d'onore di metallo ("della coniglia", veniva chiamata) da ostentare nelle grandi occasioni: tanto valeva il suo sacrificio.
I maschi sarebbero partiti soldati, la femmina Italia avrebbe fatto la sua fine, ma forse l'ultima, con un nome così nuovo, avrebbe potuto sperare in una miglior sorte.
- Questa alzata di testa non porterà nulla di buono -, aveva premonito il marito.
Nel buio dell'unica camera(ta) da letto, si era accostato alle usitate forme, ma Assunta l'aveva respinto con decisione.
- Ho fatto il mio dovere. Figghij non ne voglio cchiù -.
E così era finito l'amore carnale.
Due morti, uno disperso, uno tardo di zucca, uno pescatore e Italia accasata decorosamente: così erano finiti i suoi figli alla caduta del fascismo.
Europa, invece, era cresciuta nella bambagia, coccolata dai fratelli, viziata da tutti, per quel suo bel faccino che ne aveva fatto una principessa su terra riarsa.
Non c'era giovane che non ambisse alla sua mano, anche a costo di fare a meno della dote, e le altre fanciulle facevano a gara per entrare nella cerchia delle sue simpatie, così d'avere maggiori possibilità di trovare marito fra gli scarti che lei concedeva a piene mani.
Della madre, come auspicato, aveva ereditato proprio quel briciolo di ribellione, come se le sue tenere orecchie d'infante avessero subito inteso che avrebbe avuto il diritto di vivere come meglio le andava.
Conservando il naturale rispetto per i genitori, si beava degli agi di non rovinarsi le mani nei campi o in cucina, di sciorinare il tempo libero in spiaggia a raccogliere fiori e conchiglie e di avere carta bianca nella scelta del marito (privilegio non concesso alla sorella Italia, costretta a sposare un mezzadro per non avere problemi di povertà).
Era ancora così ragazzina! La meravigliavano i buffi tentativi di corteggiamento dei giovanotti con scarsa istruzione e il fango sulle scarpe; la emozionavano gli sguardi furtivi tra i banchi della chiesa; la rallegravano le passeggiate in riva al mare con quelle compagne di giochi che si definivano sue ancelle.
Quelli che si occupavano della pesca avevano la pelle scura baciata dal sole e le piaceva osservarli all'opera, soprattutto nel dispiego delle reti, quando saltava fuori qualche dono del mare per lei.
E, tra loro, spiccava un giovane che non era di quelle parti. Indossava sempre una camicia candida dalle maniche lunghe e senza colletto, di lino, che si attaccava di sudore ad un torso asciutto che non si concedeva gozzoviglie, e un cappello di paglia chiaro, a visiera su uno sguardo che, i pochi che lo avevano conosciuto, definivano fiero e regale. Era arrivato su una nave, un bel giorno, e si era insinuato nelle dinamiche del sonnolento paese come un toro tra le vacche.
Mino si chiamava e "il tauro" era diventato il suo nomignolo, in una terra che era solita affibbiarne per definire il casato.
Si vociferava che gli saltasse subito la mosca la naso, se si sentiva deriso o fregato, e menava da orbi per impartire lezioni di rispetto al suo cospetto: pagava lautamente i suoi pescatori, ma guai ad approfittare della sua bontà di tasca.
Altresì si diceva che fosse un gran seduttore ed effettivamente, durante il suo soggiorno, tanti erano stati i matrimoni riparatori di altrui danno: il sospetto che fosse stato lui ad ingravidare ragazze illibate e morigerate, aleggiava ma non era dato per certo.
Il benessere economico del paese cozzava contro il buon nome delle tante famiglie che avevano figlie da maritare con decoro; pur di avere lavoro e denaro, si chiudevano le porte e gli occhi, optando per uno sposalizio frettoloso piuttosto che boicottare l'attività di un sì ricco imprenditore con faide che avrebbero potuto convincerlo a spiegare le vele verso altri lidi.
Fatto sta che le sue spalle larghe, il carattere fumantino, la classe del portamento e il furore dei gesti, avevano fatto breccia nell'animo romantico di Europa.
Le cronache di Mino il tauro, che passavano di bocca in bocca come leggende, aumentavano il desiderio di conoscenza, imporporandole le gote per il terrore di esserne compromessa e la smania che così fosse... Fantasie d'adolescente!
Tanto più un amante si preannuncia pericoloso, tanto più appassionatamente si abbarbica ai sensi, conducendo sulla via dello sbaglio.
Era accovacciata sulla sabbia a raccogliere gigli di mare con le amiche, quando il destino aveva imposto che il misterioso Mino rompesse gli indugi e le si avvicinasse, dopo mesi di silenziosi dialoghi di sguardi lussuriosi e sorrisi invitanti.
Così affascinata dai fiori, Europa non si era accorta del fuggi fuggi delle amiche e soltanto quando l'ombra imponente di Mino aveva invaso il suo spazio, lentamente si era sollevata, stringendo al seno un mazzolino.
- Un giglio vorrei essere... -, aveva pronunciato suadente.
Europa era arrossita e aveva chinato gli occhi con pudore impazzito: lo charme di quell'uomo era inebriante e nessun santo avrebbe saputo apporre veti.
Con un gesto deciso e virile, le aveva sollevato il mento e, con occhi di brace, aveva annunciato il suo intento, in un misto di gentilezza e desiderio:
- Devo averti -.
Cosa può far abdicare l'onore a favore dell'amore?
Che lui la possedesse, lì, in quel momento: Europa era già sua nell'animo.
Era l'ora che volgeva al tramonto, non c'era anima viva sulla spiaggia e, se non si fossero decisi, entro breve le amiche avrebbero allertato la famiglia, onde evitare spiacevoli conseguenze.
Dubbi non ne aveva Mino e, forte del fatto che lei non avesse mostrato paura, fuggendo alle sue parole così esplicite, l'aveva sollevata come un fuscello, lieto che le sue braccia si fossero naturalmente strette al suo collo, mollando la presa sui fiori galeotti.
Al sicuro nel ventre del suo peschereccio, si era preso tutto il tempo per sollazzarsi nelle arti dell'amore, schiudendo lo scrigno della casta Europa.
Le voci sarebbero corse veritiere e lui non si sarebbe tirato indietro.
- Non acconsentiranno: non hai una buona reputazione -, gli aveva risposto.
Già, non sarebbe finita bene. Troppo rigida la mentalità di quelle terre.
Ma Mino non accettava ostacoli alle sue mire e, col benestare di una esclamazione di sentimento dalla sua bella, aveva sollevato l'ancora e dispiegato le vele, salutando le bigotte rive.
Leggende di mare avrebbero narrato della fuitina della principessa Europa con un misterioso uomo dalle qualità di un dio capriccioso e potente, il padre stesso di tutti gli dei, capace di avere il vento in poppa nel ratto dell'amata.
Cronaca di una fuitina testo di Deaexmachina