Il Sogno del Cavaliere

scritto da Il Girfalco
Scritto 14 anni fa • Pubblicato 14 anni fa • Revisionato Un anno fa
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Testo: Il Sogno del Cavaliere
di Il Girfalco

Nacqui al tempo di Arctorius
e fui pastore di buoi
sotto l’altissimo cuore di Carlo.
Vegliò la mia notte il druido Mithreinher
arando i campi con resche di pesce,
finchè l’Araldo intonò un serto di spighe di grano, e l’alba fu:
ed era la mia alba coda di serpente, il mio tramonto erano corna di toro.
Nell’angolo esatto il Principe e il Re
tra latrar di cani e grappoli d’uva portavano a spalla una cerva morente,
mentre gemmèa la Dama del Lago
tra le chele del mostro, il Guardiano dell’Ade.

Il mio sangue veniva dai re pescatori
che un giorno, issando le reti, tirarono su un bue:
fu una pesca abbondante, chè al tiro alla fune erano anche donne e fanciulli,
e allegre capre di mare a tuffarsi
come un lunedì e un martedì che si danno la mano.
Il mio uovo fu deposto tra la tana dei lupi e la terra dei centauri:
mio padre lo pesò sui piatti della bilancia
e inviò le nutrici a intingerlo nel veleno primordiale
che il custode della soglia degli dèi serbava
come stille antichissime del Drago primigenio.
Ne fece un ciondolo, che mi mise al collo e con cui mi battezzò.
Noi siamo fatti di Sangue di Drago.

Avevo venticinque anni che caddi in un sonno profondo.
Mi apparve una Sfinge, giovane e fiera,
e di nebbia avvolse il Grigio Pellegrino:
splendenti e bellicosi avea gli artigli, la coda ermetica e furtiva;
ma era Amor che vi era in colei vendemmiatrice,
che sovrano appariva nel manto virginale
nell’ora che le linci assurgono al monte, e trovano gli armenti riparo.

Colei domai, con lei io giacqui.
E fu venticinque il nostro nido di fuoco.

Uniti volammo sulle ali di Pegaso
e il corteo nuziale dietro di noi,
il Sacerdote al centro del Recinto, e avanti a lui un’ancella e un paggio,
e dietro gli alfieri con la fiaccola accesa
a suggellare il segno dell’antico sigillo.

Da allora cinque furono i venticinque,
e venne gioia e poi sventura e poi dolore e ancora gioia,
il quinto fu di trepidante attesa.

Il Drago osserva tutto.
Il Drago custodisce il segreto dell’Antico dei Giorni.
Dicono che un eroe, all’inizio dei tempi, depose il Drago per rubare il suo fuoco e donarlo agli uomini.
Dicono che l’uccise ma il Drago, no,
il Drago non muore mai.

Dicono abbia cinque braccia,
e da ogni braccio si dipartono cinque tentacoli.

Festeggiammo il Natale sotto un tègmine ombroso,
era il Fanciullo nella mangiatoia
e l’occhio del cielo suonava la lira.
E non pastori, ma soldati passeggiavano in giro:
il tenente medico a palleggiare, il capitano smontante a insediar fanciulle.
Bussava alle porte un ariete ferrato e unicorno, e capi stranieri a dorso di balena.
La Guerra era appena iniziata.

Non ci fu neanche il tempo di celebrare il primo compleanno
che la mangiatoia fu pietra sepolcrale, e l’alveare sarcofago.
Non ci fu neanche il tempo del compianto,
poiché la battaglia infuriava
ed era ancora riunito il Gran Consiglio presso il Tempio delle Sette Vestali.

E fu mezzanotte di un dì furibondo:
fu Abele il primo a cadere, seguito dal fratello.
Il Buon Pastore alzò la Corona,
le infere bestie e i dèmoni scarlatti prendevano piede sull’arena.
Il Traghettatore emerse dall’Acheronte per dirigere il carro funebre.

La Ruota della Fortuna, infine, annunziò una nuova alba di pace.
Un’alba muliebre e leggiadra, il Principe era Regina e il Re si fece pinzetta.
La Gloria dei Cieli attendeva i caduti in battaglia, furono loro i nostri angeli custodi,
e Gabriele portava il giglio a te, Madonna mia.
L’albero maestro della Nave di Tespi solcava il Mezzogiorno
che il mentore mio si imbarcò verso Avalon:
Maestro Mithreinher degli Anelli, con l’amata sua Nynwe,
dietro un mistero gaudioso c’è sovente un addio.

Nel Gorgo del Drago è nascosto il Cuore del Mondo.
Chi rubò il suo fuoco incendiò il Giardino dell’Eden.
Se non ci fosse stato quel fuoco, non ci sarebbe la Morte.
Ma non ci sarebbe neanche la Vita.

La Vita scorre, anche quando non te ne accorgi.
Il Sangue scorre, quando meno te lo aspetti.
Mi sembrava una ricorrenza di nozze, quel giorno,
ma gli sposi cavalcavano un mostro saettante sul ciglio del Fiume
e, con la coda dell’occhio, mi era sembrato di scorgere il Saggio Stregone
che agitava una coda leonina tra la folla.
Aprii l’urna ed era rossangue, e vi era zolfo, e mercurio. E veleno.
Allora provai a guardarmi allo specchio, e vidi
che era venticinque il nome del Drago:
era il Drago che tornava, a chiedere indietro il suo sangue.
Mi afferrò, mi inghiottì,
e fu silenzio.

Tre anni ho trascorso nella pancia del Drago,
e torno adesso alla Vita dopo la Morte
perché dopo la Morte c’è ancora Vita,
e prima della Vita c’è sempre Amore.
E l’Amore, si sa,
l’Amore non muore mai.

E, avendo ricevuto il primo cinque sulla soglia delle anime,
giungerà il mio venticinquesimo alle laudi di Maia
se l’inseguitore non avrà fermato il passo sull’occhio del ciclone.

E questo è il mio sogno, signori,
o almeno ciò che vidi riflesso nello specchio:
chè, forse, siamo noi le ombre
riflesse da una sfera di cristallo
ed è il nostro destino a essere inciso
nei solchi imperscrutabili degli angeli erranti.
E leggerne le trame è virtù dei Sapienti,
inventarne le forme potenza dei Maghi.

A noi tocca amare, e volerne il Fato
affinchè tutto si compia
come fu, da sempre, deciso:
come in cielo, così in terra.

Chi vi sa intendere, intenda.
Il Sogno del Cavaliere testo di Il Girfalco
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