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ventun donne
ventun donne uccise in appena cinque mesi,
come petali strappati nel cuore di primavera,
nel tempo in cui di pietà non resta traccia
e si resta muti, lì dove si comanda.
ventun nomi svaniti, ventun silenzi in attesa,
che affiorano tra le fiaccole nelle strade,
nella speranza che il tunnel trovi luce
mentre il vuoto annega spiriti inascoltati.
non narriamo di eroine né statue di bronzo,
ma carne viva, sorrisi, madri, amanti, sorelle
lasciateci con gli occhi ancora in piena
mentre venivano inghiottite da mani familiari.
ventun donne e nessuna vendetta,
solo fiori appassiti tra le righe di cronaca,
mentre la giustizia si pavoneggia
in uno specchio incrinato dall’indifferenza.
ci resta la colpa, ci resta la veglia,
ci resta il dovere di gridare per loro
finché il silenzio non diventi rifugio
in un mondo che della morte ha fatto norma.
Eliza, Maria, Jhoanna, Eleonora, Cinzia, Tilde,
Sabrina, Laura, Ilaria, Sara, Ruslana, Clarangela, Teresa, Samia, Lucia, Chiara, Amina, Chamila, Daniela,
Teodora, e infine lei—Martina, piena di vita.
le donne son figlie della tempesta,
che non si inchina, che mai si arresta,
spoglian la verità, incendian la menzogna,
e fan di tali uomini polvere e rogna.