Giardico elegiaco

scritto da Feles Tartarorum
Scritto 5 mesi fa • Pubblicato 5 mesi fa • Revisionato 5 mesi fa
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Immagine di Feles Tartarorum
Autore del testo Feles Tartarorum
Immagine di Feles Tartarorum
Questo, ad oggi, è il componimento più impegnativo che ho scritto. Ho voluto rappresentare il viaggio onirico attraverso la "casa interiore", spazio simbolico di ogni essere umano. Accolgo volentieri commenti, osservazioni e proposte di lettura.
- Nota dell'autore Feles Tartarorum

Testo: Giardico elegiaco
di Feles Tartarorum

Stavolta mattoni metto,
annego, mi diletto
nel costruire immagini,
nello sperar che siamo affini.

Galleggio senza identità
nella molle antigravità
che provo pensando beato
a una vita che scorre piano.

Senz'alti, in piano procedo,
nè bassi, ti afferro e non ti vedo:

seguo le umide scie
dilaniato dal dolore
delle gocce d'anima che,
distillate nel perdono,

scendono calcaree e dettagliano
una statua collettiva,
stirata bellezza e caos in forma,
ruvido archetipo del peccato
che la meccanica razionale fugge
e i moti interiori riflette
in pose umane
e simbolici silenzi.

Lieve affiora la visione
di disciplinati crisantemi
inondare le caviglie marmoree
dolenti e distanti,
figlie emotive d'una primavera
elegante e geometrica,
che alla fonte sussurra
e sollecita a sfumare
con bolle leggere e vitrea spuma
la tragica immobilità
di bonsai verticali e contorti
e le loro ombre profonde;

vigorosa erba novella
viva esplosione, nessun vento
la muove, solo il mio ricordo:
ogni foglia conosce il mio nome,
ogni petalo il mio destino,
ogni stanca fiaccola
l'autocrazia della stagione;

non s'arrende alla roccia
e il marmoreo capo di Prometeo
rinverdisce e riconquista
all'opale sguardo senz'occhi
della scultura verticale
che alta sfida lo zenit e il fato
con arti legati e distorti
trafitti e saldati al tempo crudele
dalla nemesi centaura.

L'acqua pura e tiepida
non bagna ogni roccia,
si riversa il laghi densi e antichi,
ove ogni pietra sul fondo
ha il peso delle mie domande,
ove il mio volto bambino si riflette
alterando la topografia del passato.

M'intriga il silente ghiaiato
e il cerchio di pietre ove l'acqua
non scorre, aspetta
alle porta di nicchie e rovine
tra anfratti dai suoni limpidi
e rintocchi regolari.

La fontana conosce
l'etica irrazionale e continua,
la promessa matematica che governa
la portata d'ogni curva
d'acqua invisibile all'iride
ignara dei moti interiori:

si propagano in quiete,
tradotte in sforzi umani
e imprese inconsce e impercettibili;

non viola il loro segreto,
attende sull'uscio i rintocchi
della primavera selettiva
risuonare e irrompere
nel sordo frastuono
del giardino elegiaco,

levigato dall'afa e da ombre
mobili e solerti,
svincolate dalle proiezioni
celesti sul ghiaiato,
inchinate servili ad ogni foglia
che riposa lieve sull'acqua
e intimamente proietta
mappe di linfa che avvolgono
i fulminei girini.

Mi abbatte l'inetta borghesia
e ogni ordine che nasconte frattura,
il volto scolpito che dimentica
chi lo ha amato,
la pietra che traduce il tempo
in forme fragili e decapitate.

Mi tortura il regolare intervallo
delle rastremate colonne granitiche,
reggono il cielo per abitudine
coi loro solchi strutturali
abitati abusivamente
da feroci teste feline
e foglie silvestri e sottili
congelate e scolpite in pose
eterne e fluide col vento;

certo non bastano a riempire
il  vastro e bianco chiostro
ove le statue non hanno voce
e tutte le notti m'interrogano,
quando il passo spezza il silenzio
e la ghiaia testimonia il mio passo
alle ombre che seguono in fila.

E come i perenni crisantemi
al freddo resistono e stimolano
la crescita di laterali boccioli,
così le statue tollerano graffi
in pose definitive combattono:
ogni faglia nel marmo
è parola rimasta sospesa
nella culla del tempo condizionale,
nell'eterno ritorno di ogni ombra
che marcia e ricopre le tracce sul ghiaiato,
e con un movimento lento e planare
le ultime gocce strozza
all'interfaccia col substrato terroso.

Aria umida al punto di rugiada,
condensa vitrei verbi e lacrime rosse
tra la calda plica semilunare
e i granitici zigomi, arrossiti
testimoni della diafana anima
ascesa pallida e muta emersa
dal lago ove lenta cammina e traduce
ogni contatto con l'acqua
in dinamici e fragili cerchi
che il tempo sopprime.

Dorata alchimia onirica
simboli cuce, tacitamente seduce
surreali significanti e frammenti evasivi,
traduce lune parallele e femminili
in dorati intrecci solari
che il bentonico lago avvolgono.

Più non trapela la melma,
di catene viscosa e opaca di ricordi,
o intacca la sfera in alto sospinta
e l'integrità che essa rappresenta
per le eterne sculture dai volti dolenti,
per il peso dei loro dubbi
e i duri castighi presenti.

Il giardino tace e ogni passo registra,
Prometeo si annida profondo
ove la logica non arriva e testimonia
petali bagnati da gocce che rifrangono
ciò che il tempo dissipa.

Ad ogni passo il calcare si fonde
e dall'interno le crepe restaura:
ponte alchemico in capo germoglia,
fusione integrale da marmo e rugiada
che la primavera emotiva leviga.

Giardico elegiaco testo di Feles Tartarorum
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