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Spaiato, è così che mi sento spesso e tutto sommato volentieri. Non me ne vergogno insomma, eppure il termine non ha accezione positiva, e chissà perché mai? Tutti noi, o quasi, si è spaiati, seppur accompagnati, nel senso che non si può considerare il proprio partner alla stregua di una scarpa o di un calzino, anche perché scarpe e calzini quando invecchiano e raggrinziscono si buttano, al contrario del proprio partner. O no?
Semmai dal partner siamo spiati, e entro certi limiti siamo spariti, rectius fatti sparire, forse per mano del medesimo o al più di qualche stipendiato giuocoforza spiritato, ma del resto tutto ruota intorno alla nostra sana moralità: se siamo moralmente sani, seppur giuridicamente cagionevoli, di certo del partner timor non dobbiamo avere. Pare insomma la morale rimanga caposaldo del nostro discernere, eppure quante morali ci sono? Una per individuo azzardo; quindi per sparigliare del tutto da noi il partner dovrebbe valutare la propria morale, non quella di altri e nemmeno la nostra s’intende. Ma possiamo dire di conoscere davvero così bene non tanto il nostro partner quanto la sua morale? E a proposito di pariglia, se siamo sparigliati, e forse spariti, chi la renderà questa benedetta pariglia? Ma vi pare che la pariglia debba presiedere a salute – non solo morale - e saldezza del nostro mercimonio coniugale?
Mi piace questo termine, pariglia, per definire un’unione affettiva: evoca somari, cavalli e topolini e quindi va bene, soprattutto dà l’idea di parità, anche se non tanto nel senso di eguaglianza costituzionale quanto nel senso di pari e patta, come se in seno al coniugio vi fosse disputa perenne, che poi non è che tutti diverbi inizino per enne, e comunque giova sapere che si tratta pur sempre di discussioni forbite e circostanziate, quindi dìsputa e non certo dispùta, come si favellava alla vecchia maniera con annessi accenni agli hijos de… leggasi improperi a madri e nutrici, e un senso latente ma presente di bava e catarro e dell’immancabile sputacchiera, oggetto pregevole, accessorio ora del tutto antiquato, abbandonato, quasi osteggiato, o direi proprio ostaggio, ostaggio di ignoranza e malevolenza, ma vi pare: quanto ci sarebbe ancor bisogno di solide sputacchiere almeno in sale d’aspetto e in altri luoghi pubblici, come si faceva una volta, visto lo smodato uso che si fa di quella sostanza prima, e in questo modo si darebbe finalmente alloggio alle tante sentenze, che vengono emesse ruminate e appunto sputate, e che ormai non si riesce più ad archiviare nei fatiscenti Tribunali, che poi pure si migliorerebbe l’aspetto di quelle sale d’aspetto, ma non di quelle dei Tribunali temo, ché giovani e vizzi non avrebbero più a lordare piastrelle, sedute e vie di fuga e tutti si accalcherebbero alla sputacchiera di rito e val la pena tacere dell’uso che a quel punto si potrebbe fare della sostanza così raccolta, debitamente arieggiata depurata e stoccata, uso per cui molti sono gli ambiti praticabili: che ne so, la fitoterapia, la cosmesi, la cura della pelle, ma appunto è meglio tacerne.
Tornando alla parola “pariglia” vale la pena anche dire che mi piace il suffisso “-glia”, perché evoca la fanghiglia, e quindi la palta, la melma, insomma un qualcosa di viscido e torbido, il senso dell’impaniarsi, e il passaggio all’impanicarsi è breve, in fondo una sola timida “c”, anzi non tanto in fondo quanto nel mezzo, la stessa “c” di caos e di cosmo, in pratica i luoghi da cui proveniamo, e, diciamolo, se sei invischiato in qualcosa non è difficile provar paura.
Ma si può aver paura del proprio calzino? E del proprio partner? Non c’è dubbio che il calzino, se spaiato, cagioni ansia, quasi noi percepissimo il suo risentimento: starsene desolato ai piedi del letto, gli unici piedi che lui non ama, o trascinato da animali domestici verso i canti più stonati del nostro appartamento, il calzino scolorisce, infeltrisce, si buca, in una parola soffre, orfano della propria copia, che poi non è solo copia ma gemello, di quelli che stanno sempre assieme, che se ne vanno in vacanza al mare con invidiabile discrezione, quasi in punta di piedi direi, o che se ne stanno in città responsabilmente, a lavorare, a massimizzare profitti, mai svogliati o inaffidabili, insomma sempre con i piedi per terra. Ma si può dire lo stesso di quelli spaiati? Ho affermato in principio di sentirmi spesso spaiato, e ciò non mi cagiona tristezza alcuna. A che pro quindi il patimento del calzino? Senza contare la statura morale della giornata dei calzini spaiati, che si propone innegabilmente quale veicolo di messaggi positivi: posso star bene anche con il diverso, è questo che si propugna. Ma vale davvero per un calzino? Siamo sicuri che un calzino cinerino, mesto ma elegante, sobrio, di sopraffino ordito, educato in (fil di) Scozia, garbato nei modi, abituato a non farsi notare, gradisca davvero la compagnia di un compare variopinto, spumeggiante di colori e di tonalità, avvezzo piuttosto ad esibirsi e ad esibire la caviglia che indossa, insomma uno di quei calzini vanesio cui sta stretto il rasoterra e largo il pallone alto e che vorrebbero elevarsi, pure moralmente azzarderei, al fine di contendere spazi credito e tessuto a capi considerati più nobili, camicie, panciotti, sciarpe, bandane, che poi che c’è di nobile in una bandana o nelle altre bende che cingono la testa, e poi ancora una volta ritorna il tema dell’inferiorità del basso, è proprio una bassezza direi: il basso che è considerato meno dell’alto, il basso che è meno importante e quindi meno amato o amato in un solo lasso, il basso che sta più in basso, quante volte abbiamo dovuto cedere il basso? Dicono che senza il basso non ci sia ritmo, senza il basso poi non avremmo nemmeno le vasche da bagno: da dove spingerebbe Archimede? Fumi e miasmi vanno verso l’alto, mica verso il basso, il sottobosco è più bello del soprabosco, e poi quante volte abbiamo detto che occorre abbassare i toni, che strilli e schiamazzi servono poco al dibattito pubblico e privato; è il cicaleccio che va verso l’alto, la moderazione invece abita in basso; e poi quante volte abbiamo detto che occorre abbassare le luci, che lo spreco elettrico va contenuto, diminuito, in una parola abbassato; chi mi dice: ti sei abbassato a tanto… sì a tanto da quello splendido fiore che però non ho colto perché non vorrei che mal me ne incolse. Guardate che con l’altezzoso non è che si vada tanto d’accordo, e poi l’altitudine può dar vertigini, l’alterigia è presunzione non presunta, l’alterco fa rima con sterco, Sua Altezza è tutta sua, mai Mia. E Alto belli, vi sembrava di gradevole aspetto? Gradevole rispetto a chi, gioverebbe relativizzare. Non relativa ma assoluta e certa invece è la grave discriminazione che oggidì ancora subisce il basso, che peraltro forse è la stessa del grasso e del magro, che però almeno – in ipotesi s’intende - sono alla stessa altezza, che poi nemmeno lì le cose sono esenti da sudate dissertazioni: chissà perché le consolazioni e le prospettive grasse vanno bene e quelle magre no; ve li immaginate degli affari e un futuro paffuto, colmo di adipe, traboccante trigliceridi e scorie arteriose: altro che grasso che cola, è un colare a picco.
Quel che sia, di certo l’inferno non ne può più di far da comparsa al superno, e solo perché Lui sta lassù nell’etere - s’intende quello sobrio e non etilico - dove non arriva contaminazione, inquinamento, impurità: quanto fallace è tale convinzione perché semmai, rispetto all’orbita terrestre, è ben meno inquinato il ctonio, il sottosuolo, è ben meno sudicia la spelonca; in orbita sta un po’ di tutto, non solo moscerini e dita galeotte ma anche tonnellate di detriti satellitari che vagolano alla ricerca dei propri creatori o dei propri pari….
E quella del pari – e sperando che il dispari non s’incazzi, ma questa è tutta un’altra storia - è la stessa ricerca che anima il nostro calzino spaiato, il quale veleggia nel cosmo silente delle nostre camere da letto: una sorta d’imperitura recherche du frère perdu, che non può che passare per la “c” che trasforma pania in paura.
Hanno paura i nostri calzini, e noi non ce ne curiamo: ce ne stiamo sbadati e spaiati, distesi e nullafacenti, confidando nella clemenza del nostro partner.