Matematicamente impossibile

scritto da Rubrus
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Autore del testo Rubrus
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Un po' di american gothic, con una spruzzata di Grisham e un'ombra di Faulkner
- Nota dell'autore Rubrus

Testo: Matematicamente impossibile
di Rubrus

L’uomo doveva essere arrivato mentre Jack Burns pisolava, altrimenti lo avrebbe visto avvicinarsi. Ad ogni buon conto eccolo lì, sulla soglia dell'Ufficio dello sceriffo.
Indossava un vestito nero di taglio sartoriale e reggeva una ventiquattrore rigida. Qualcosa in lui proclamava “avvocato” neanche indossasse una toga e una parrucca in crine di cavallo.
Il modo in cui suonò il citofono disse a Jack che era già la seconda volta che lo premeva e che, per i suoi gusti, era pure troppo.
«Lazarus Kurtz, avvocato. Sono qui per il Signor William Myers. Posso entrare?» annunciò.  Aveva una voce baritonale, seducente.
William Myers? Dunque Billy lo Svitato poteva permettersi un avvocato di fiducia e a quell’ora di notte, per giunta? 
«Posso entrare?» chiese ancora l’uomo sulla soglia. Jack premette il pulsante di apertura e la porta si spalancò, ma quello non si mosse. Per la miseria, voleva essere invitato, il signorino. Per un paio di secondi Jack meditò di non rispondere: chissà se il tizio sarebbe rimasto lì sino all’alba. No, decisamente non era il caso. Era un solo vice sceriffo, assunto da appena un paio di mesi e il Capo Grant non avrebbe esitato un secondo a sbatterlo in mezzo alla strada. 
Mugugnò un “si accomodi” e fece cenno all'altro di entrare. Kurtz attraversò la sala grandi passi, dirigendosi verso il bancone.
Sembrava più giovane di quanto non apparisse all’inizio o, almeno, di età indefinibile: poteva avere cinquant’anni come trenta. La cravatta gli pendeva sghemba come se glie l’avesse allacciata Salvador Dalì. Quando si accorse che Jack la stava osservando cercò di raddrizzarla, ma senza riuscirci.
«Vorrei vedere il Signor Myers» ripeté. Forse non era un avvocato di grido. Quelli davvero in gamba non se ne vanno in giro nel cuore della notte: al massimo ci mandano i  tirapiedi. Il legale allungò il tesserino. Jack dette uno sguardo alla foto. Un tirapiedi, decisamente. Appena arrivato in città... sempre che Corn Bluff potesse chiamarsi città.
«Avete una sala  per i colloqui?» domandò.
Ma dove credeva di essere quello, in un film con Tom Cruise?
«C’è la stanza del capo» disse indicando un vano delimitato da quattro traballanti pareti posticce con vetrate bisunte «posso portare lì Billy Lo...  William Myers e ammanettarlo alla sedia. Può andare?».
Mister Cravatta Storta fece una faccia come se fosse andato al ristorante, avesse ordinato qualche diavoleria francese dal nome impronunciabile e si fosse visto portare un hamburger.
«La porta è solida?».
«Certo che sì. Tranquillo che non ce la fa a sfondarla, Billy. E dove dovrebbe scappare, poi?».
Kurtz (si chiamava come il colonnello che Marlon Brando impersonava in quel film, ecco perché Jack se lo ricordava; il nome, invece, se lo era già scordato) fece un’espressione come se avesse scoperto che l’hamburger era fatto con carne di topo.
«Lo chiedo per la privacy. È insonorizzata?».
Jack ci pensò su un secondo. «Oh be’... a chi interessa che cosa può dirle Billy?». disse afferrando le chiavi e alzandosi dalla scrivania.
Andò alla cella, aprì, svegliò Billy, gli mugugnò: “Visite. Il tuo avvocato”, lo fece uscire, lo portò nella stanza del capo, lo ammanettò alla sedia e uscì. Per tutto il tempo, Kurtz gli stette dietro, incollato come un’ombra e altrettanto silenzioso.
Prima di uscire, il vice sceriffo si girò verso Kurtz, fissando ostentatamente la cravatta sghemba.
«È andato al cimitero, si è nascosto vicino alla tomba della famiglia Lunt, ha aspettato che albeggiasse, poi ha aperto la bara e ha piantato un paletto nel petto della vecchia Emily Lunt. Non so come questo possa interessare un avvocato di grido. Perché lei è un avvocato di grido, no?».
Kurtz lo guardò come una mosca che si fosse messa a passeggiare su quel famoso hamburger. «Di solito parlo a voce bassa».
Senza accorgersene, Burns fece un passo indietro. La mano destra si sollevò un po’ all’altezza dell’anca, là dove avrebbe dovuto tenere la pistola. Si accorse di averla lasciata nel cassetto della scrivania e deglutì, poi, in qualche modo riuscì a ricomporsi. Avvocati. Le pistole erano troppo poco, per quelli.
«Be’ , se vuole tirare fuori Billy lo Svitato, mi sa che dovrà sgolarsi parecchio. Il Giudice Morrison è di manica stretta, ha un brutto carattere ed è pure mezzo sordo». 
 
«Matematicamente impossibile» sentenziò Kurtz.
Willam Myers sgranò tanto d'occhi.
Aveva parlato della famiglia Lunt, della loro villa che sorgeva in fondo alla Old Church Road e sembrava una versione gotica della Tara di “Via col vento”. Delle mutilazioni del bestiame e del fatto che c’era troppo poco sangue, per ferite di quel tipo. Del fatto che il Dottor Bascombe non avrebbe saputo distinguere un cammello da una vacca, quando era ubriaco, e che era spesso ubriaco, soprattutto perché era Mortimer Lunt a pagargli da bere. Di Carlos Bollea che aveva tirato fuori la storia del chupacabra e, dopo un po’, si era saputo che era stato lo stesso Mortimer Lunt a suggerirgli di raccontarla. Del fatto che sparisse della gente, ogni tanto, e che si diceva che si erano persi sulle Blue Ridge, anche se erano a più di cento miglia di distanza. Di Elias Mc Dermott che era giovane al tempo della Grande Depressione e affermava che, allora, succedeva la stessa cosa. Elias aggiungeva sempre che, all’epoca, Emily Lunt aveva sedici, diciassette anni ed era bella come la sciabola spagnola che il vecchio Lunt teneva sopra il camino e con la quale si esercitava tutte le mattine. Elias giurava e spergiurava di avere visto Emily Lunt per l’ultima volta nel ’92, la notte della festa per il pensionamento del capo Grant (che era poi il padre dell’attuale Capo Grant) e che Emily non sembrava invecchiata di un giorno.
Billy lo Svitato, poi, aveva parlato a Kurtz dei “Figli di Van Helsing” che cacciavano vampiri e che avevano la loro sede a Venice, in California, ma erano ramificati in tutto il paese. Era stata Betty Noonan a raccontare a Billy dei “Figli”. All’epoca, lui e Betty si erano appena messi insieme e, purché andasse avanti così, Billy avrebbe giurato su una pila di Bibbie che tutto quello che Betty diceva era pura verità.
Un giorno, Betty gli aveva mostrato una sfilza di foto di ragazzi scomparsi, ritagliati dai cartoni del latte. Quelli che, per l’ultima volta, erano stati visti nei dintorni di Corn Bluff erano un bel mucchio e, intorno ai loro volti, Betty aveva tracciato col pennarello un cerchio nero, e aveva scritto una parola: “Lunt”. E poi c’erano vagabondi, turisti, gente che era scesa dai pullman durante una sosta notturna e non era più risalita e, alla fine, l’autista era ripartito perché aveva chiesto in giro ed era giunto alla conclusione di trovarsi in un paese di matti e non era il caso di correre rischi … e se poi quelli non erano matti era anche peggio.    
Di più – aveva sempre raccontato Billy – Betty gli aveva riferito di avere visto Emily Lunt. Era accaduto a Nashville cinque anni prima e Betty, che conosceva la faccia di Emily perché ne aveva visto il ritratto sul sito dei Figli di Van Helsing, l’aveva riconosciuta subito, anche se Emily portava jeans, top e stivali da cowboy e un’acconciatura del tutto diversa da quella alla paggetto che aveva nella foto. Stava insieme al tizio più somigliante ad Elvis Presley che Betty avesse mai visto. Assistevano all’esibizione di una solista di poco talento e la fissavano come se guardassero un pollo che si rosola sullo spiedo. A un certo punto Emily si era irrigidita, come se avesse intuito che Betty la stava osservando, e aveva iniziato a girarsi verso di lei. Prima che si voltasse del tutto, Betty aveva lasciato cadere il vassoio ed era scappata a gambe levate.        
Billy si era mostrato un filino scettico e avevano litigato. Tutti gli amici di Billy gli avevano detto che era questo quello che succedeva quando un uomo diventava lo zerbino di una donna e che lui, Billy, avrebbe fatto bene a lasciar perdere Betty per un po’, giusto per farle vedere chi portava i pantaloni. Così, lui, Billy, l’aveva fatto: aveva lasciato Betty nel suo brodo, col risultato che lei si era ancora più fissata con ‘sta storia dei vampiri e aveva preso a gironzolare intorno alla vecchia casa dei Lunt, e fare e avanti e indietro lungo la Old Church Road, finché, un mattino di primavera, un camion l’aveva tirata sotto, proprio dalle parti della Curva del Sicomoro.
Il capo Grant gli aveva detto che quella del Sicomoro era una gran brutta curva e c’era crepata un sacco di gente, ma lui non ci poteva fare niente perché era una strada privata ed era nella terra dei Lunt. Aveva anche detto che era stata una fatalità e che, se non lo era stata, era colpa di Betty perché, secondo il medico, era piena di alcool come una distilleria clandestina.
Poi però Billy aveva pensato che era sempre il dottor Bascombe a fare le autopsie, anche se avrebbe dovuto essere in pensione da un pezzo, e tutti sapevano che cosa si diceva in giro di Bascombe. Si era ricordato pure che il capo Grant (il vecchio capo Grant) era l’unico del paese che fosse andato al funerale di Emily Lunt, e, guarda un po’, il figlio del Capo Grant era diventato il nuovo Capo Grant. Gli era venuto in mente che c’erano state delle cause, per via della gente che era stata arrotata alla Curva del Sicomoro ed erano state tutte trattate dal Giudice Morrison e non c’era stata una volta che una che il Giudice avesse dato torto ai Lunt. Billy rammentò che era sempre Morrison a occuparsi dei casi di scomparsa e di morte presunta, e quando Grant diceva che qualcuno doveva essere sparito dalle parti delle Blue Ridge, anche se erano a più di cento miglia, lui dichiarava che l’indagine, per quanto lo riguardava, poteva considerarsi chiusa e la faccenda usciva dalla sua giurisdizione.                   
Insomma – aveva sempre detto Billy – una notte era lì, alla Curva del Sicomoro, lungo la Old Church Road, che si infrattava nella boscaglia intorno a Casa Lunt come un serpente in una tana di conigli, a piangere e a bere birra e a invocare il nome di Betty, quando aveva visto Emily Lunt. 
Conosceva la sua faccia perché Betty glie l’aveva fatta vedere un sacco di volte ed Emily Lunt indossava un vestito di stoffa bianca, come Billy ne aveva visti in film del periodo di Al Capone o giù di lì. L’orlo era tutto mangiato, come se un branco di topi ne avesse fatto una bella scorpacciata, e sporco di fango, e sotto si vedevano stivali da cowboy di colore blu elettrico, come quelli che si potevano indossare a Nashville durante il Festival, ed Emily Lunt aveva intonato “Are You Lonesome Tonight” con una voce che era precisa a quella di Elvis Presley e Billy si era accorto che Emily aveva la luna alle spalle e che non proiettava alcuna ombra.
Fu in quel momento esatto che Lazarus Kurtz disse quella frase.
«Matematicamente impossibile».          
 
Kurtz congiunse le punte delle dita e le unì sotto il mento, come in una sorta di preghiera. A Billy venne in mente qualcuno, anche se non avrebbe saputo dire chi. Forse Betty avrebbe potuto – Betty leggeva un sacco di roba e vedeva un sacco di film – ma Betty era morta.
«Matematicamente impossibile» ripeté.
Alle sue spalle, Billy vide Jack Burns alzarsi e dirigersi verso la stanza del capo a passo lento, poi, all’ultimo secondo, scartare e dirigersi verso il boccione dell’acqua, tentando di origliare.
L’indistinto borbottio di Billy, di là dal vetro, doveva aver rappresentato una specie di ninna nanna, e ora che era stato interrotto, il vice sceriffo si era svegliato.
«Ipotizziamo che i vampiri esistano» proseguì Kurtz. Aveva un’aria molto ascetica e autorevole, non fosse stato per quella cravatta storta. «e ipotizziamo pure che la sua Mrs Lunt sia uno di essi. Da quanto lei mi ha raccontato, posso dedurre che sia... come dire... in attività da.. quanto? Cento anni? Centodieci? Ebbene...».
Sollevò gli occhi al soffitto, come se si perdesse in qualche calcolo astruso, poi parve concentrarsi su una macchia che aveva tutta l’aria di essere caffè e chiedersi come avesse fatto a finire lassù.
«Mi risulta che un vampiro che dissangui qualcuno fino a ucciderlo trasformi la propria vittima in vampiro. Ora. Pensiamo a un vampiro particolarmente sobrio che, nell’arco di, per esempio, dieci anni, crei un solo altro vampiro. Dopo altri dieci anni, avremo due vampiri. Poi, quattro, otto, sedici, trentadue... si chiama progressione geometrica, come ben sa. E questo partendo da un solo vampiro. Supponendo che ce ne sia più di uno, e ipotizzando che alcuni siano particolarmente famelici, e supponendo che i vampiri esistano da migliaia, forse milioni di anni, esiste una sola conclusione possibile».
Billy non sapeva nulla di quello che l’avvocato aveva chiamato “processo geometrico” o quell’accidenti che era, ma aveva afferrato il concetto. Se i vampiri fossero esistiti, l’umanità avrebbe dovuto essere estinta da un pezzo. 
«Il mio consiglio professionale» proseguì l’avvocato «è di dichiararsi colpevole. Non è un gran reato, quello che ha commesso. Scempio di cadavere. E, in più, perpetrato in stato di ubriachezza –   la visione di Mrs Lunt lo dimostra – e ho fondato motivo di ritenere che persino il suo Dottor Bascombe non abbia difficoltà a riconoscere una simile condizione».
William Meyers farfugliò qualcosa. Stava tutto procedendo troppo in fretta e aveva la sensazione che gli sfuggisse un elemento fondamentale...
«In più, c’è lo  stato di prostrazione derivante dalla perdita della fidanzata – oltre al non trascurabile elemento che è stato colto in flagranza di reato» tamburellò sulla ventiquattrore e arricciò il naso «anzi, “fragranza” di reato, a giudicare dal suo alito, se mi permette il gioco di parole».
Si alzò lentamente. «Presenterò istanza perché il suo caso venga trattato domani, quando i postumi saranno svaniti. Ora come ora, anche se forse non se ne rende conto, rischia di non produrre una buona impressione».
«Ehi, ma... » balbettò Billy. L’impressione di non avere considerato un particolare essenziale era più che mai intensa. Gli pareva di poterla afferrare al volo, come le mosche che gli ronzavano attorno in certi pomeriggi piovosi.
«Credo che neppure il suo terribile giudice Morrison ci andrà giù pesante. Certo, starei bene attento a rigare diritto, d’ora in poi». L’avvocato si chinò con fare cospiratorio. Billy ebbe la sensazione che stesse per fargli l’occhiolino «e lasci perdere i vampiri, ok?».
Kurtz raccolse la valigetta e si allontanò.
Quando ebbe raggiunto la soglia, Billy lo Svitato lo chiamò. Era così che gli capitava a volte. Apriva la mano e vedeva la mosca che credeva essergli sfuggita dibattersi, mezzo morta, nel palmo.
«“I figli di Van Helsing”. L’hanno mandata loro, no?».
Il legale scosse la testa come se avesse concluso che quello era un caso senza speranza.
«Non deve credere a quello che legge in rete, figliolo. Non proprio a tutto, almeno».
 
«Allora, il buon vecchio Billy crede davvero nei vampiri?»
Kurtz, che stava compilando il registro, s’interruppe, alzò un sopracciglio, poi firmò.
«Scartate tutte il ipotesi possibili, quella che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità».
«Sherlock Holmes, giusto? L’ho visto una volta in un film».
Il legale sorrise come se Jack fosse il concorrente di un quiz e avesse appena vinto un premio. «Esatto, vecchio mio».
Jack controllò la firma. La grafia era chiara, elegante, forse un po’ leziosa, perfettamente in linea col personaggio. A parte la cravatta storta.
Kurtz si diresse verso l’uscita e il vice sceriffo fece per accompagnarlo, ma l’altro alzò una mano, senza voltarsi. «Ormai conosco la strada» disse «potrei andare e venire quando voglio».
L’avvocato sparì nel buio con quel suo passo silenzioso, signorile.
 
Seduto nell’auto, prima di mettere in moto, Lazarus Kurtz dedicò un pensiero a Emily Lunt.
Un vero peccato, quel che le aveva fatto quello zoticone. D’altronde era necessario. Abiti in mussola e stivali da cowboy di colore blu elettrico. Era decisamente diventata troppo appariscente, oltre ad avere perso ogni gusto del vestire.
Cercò per l’ennesima volta di aggiustarsi la cravatta, poi lasciò perdere. Non avrebbe mai ottenuto un risultato soddisfacente.
Era così, quando non ci si rifletteva negli specchi.

Matematicamente impossibile testo di Rubrus
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