L'Ultimo Tramonto di Unique Alone

scritto da Basil
Scritto 4 mesi fa • Pubblicato 4 mesi fa • Revisionato 4 mesi fa
0 0 0

Autore del testo

Immagine di Basil
Autore del testo Basil

Testo: L'Ultimo Tramonto di Unique Alone
di Basil

Il pennello scivolò dalle dita di Unique Alone come una foglia d'autunno, rimbalzando sul pavimento dello studio con un suono sordo che echeggiò tra le tele ammassate contro le pareti. Era un martedì di marzo e la luce dorata del tramonto filtrava attraverso le ampie vetrate, tingendo di ambra i suoi paesaggi impossibili: montagne che si scioglievano come gelato, cieli dove nuotavano pesci di nuvole, deserti che fiorivano con orchidee di sabbia. Per quarant'anni, Unique aveva dipinto l'impossibile rendendolo credibile. I suoi quadri adornavano i musei più prestigiosi del mondo, le sue mostre attiravano folle di ammiratori che cercavano di decifrare i codici nascosti nei suoi paesaggi onirici. Era il maestro indiscusso del realismo surreale, l'artista che aveva saputo catturare l'anima segreta della natura e trasformarla in visioni che parlavano direttamente al cuore umano.

Ma quella sera tutto cambiò. Seduto davanti all'ultima tela incompiuta – un bosco dove gli alberi crescevano a rovescio, con le radici che si perdevano nel cielo stellato – Unique si trovò improvvisamente paralizzato da una rivelazione che lo colpì come un fulmine in una giornata serena. Nel silenzio dello studio, mentre osservava i colori che si mescolavano sulla tavolozza, la sua mente vagò verso un documentario scientifico che aveva visto anni prima, dimenticato nei meandri della memoria fino a quel momento.

Il Sole, quella stella che aveva illuminato ogni suo dipinto, che aveva dato vita a ogni sfumatura e ogni ombra delle sue opere, un giorno si sarebbe espanso fino a diventare una gigante rossa. Fra cinque miliardi di anni, forse più, il nucleo stellare avrebbe esaurito il suo idrogeno e iniziato a bruciare elio, gonfiandosi mostruosamente fino a raggiungere quasi l'orbita terrestre. L'acqua degli oceani che aveva dipinto infinite volte sarebbe bollita via nell'atmosfera, i boschi incantati delle sue tele sarebbero bruciati in un inferno cosmico, e la Terra stessa – quella Terra che era stata la sua musa ispiratrice – sarebbe diventata nient'altro che una roccia carbonizzata, senza vita, senza memoria, senza arte.

La consapevolezza lo investì con una forza devastante. Ogni pennellata che aveva dato, ogni sfumatura che aveva creato, ogni emozione che aveva trasfuso nei suoi paesaggi impossibili: tutto sarebbe sparito. Non solo le sue opere, ma quelle di tutti gli artisti che erano venuti prima di lui e che sarebbero venuti dopo. Michelangelo, Van Gogh, Picasso, e tutti i maestri anonimi che avevano decorato le grotte di Lascaux – tutto destinato all'oblio cosmico.

“A che serve?”, mormorò alle tele che lo circondavano, e la sua voce suonò stranamente piccola in quello spazio che un tempo gli era sembrato infinito. “A che serve creare bellezza se è destinata a svanire?”.

Si alzò lentamente dalla sedia, le ginocchia che scricchiolavano dopo ore passate davanti al cavalletto. Guardò i suoi strumenti del mestiere: i pennelli di setola e di martora, i tubetti di colore spremuti e arrotolati, la tavolozza macchiata di anni di sperimentazioni cromatiche. Improvvisamente gli sembrarono oggetti alieni, privi di senso, come giocattoli abbandonati da un bambino cresciuto troppo in fretta.

Nei giorni che seguirono, Unique Alone non dipinse più. I critici iniziarono a speculare su una possibile crisi creativa, i collezionisti si preoccuparono per il valore delle opere già acquisite, i giornalisti tempestarono di chiamate il suo agente. Ma lui non rispose a nessuno. Trascorreva le giornate seduto nel suo studio, circondato dalle sue creazioni, contemplando l'inutilità cosmica di tutto ciò che aveva realizzato.

“Non capisci”, disse a sua moglie Teodora una sera, mentre lei tentava di convincerlo a tornare a dipingere. “È tutto vano. Ogni goccia di colore che metto su una tela è un atto di arroganza nei confronti dell'universo. Pretendere che qualcosa di umano possa durare per sempre, quando sappiamo che tutto è destinato alla distruzione”.

Teodora, che lo conosceva da vent'anni e aveva visto nascere ogni sua opera, lo guardò con una tristezza infinita. “Ma Unique, quello che conta non è l'eternità. È l'adesso. È il fatto che in questo momento, su questa Terra, le tue opere fanno sentire le persone meno sole”.

“Cinque miliardi di anni”, rispose lui, scuotendo la testa. “Può sembrare un tempo infinito, ma non lo è. È solo un battito di ciglia nell'oceano dell'eternità”.

Passarono settimane. Lo studio si riempì di polvere, i pennelli si indurirono, i colori nelle tavolozze si seccarono formando croste multicolori che sembravano piccole sculture dell'abbandono. Unique camminava tra le sue opere come un fantasma nella propria casa, osservando quei paesaggi impossibili che un tempo gli erano sembrati così vitali e necessari.

Fu durante una di queste passeggiate melanconiche che si fermò davanti a un quadro che aveva dipinto dieci anni prima: una valle dove il tempo stesso sembrava scorrere all'indietro, con farfalle che volavano verso i bozzoli e fiori che si richiudevano nei boccioli. In un angolo della tela, quasi nascosta tra l'erba dipinta con pennellate minute e pazientissime, c'era una piccola bambina che raccoglieva margherite.

Unique si avvicinò al quadro, il cuore che iniziò a battere più forte. Quella bambina... l'aveva dipinta ispirandosi a sua nipote Sofia, che all'epoca aveva appena cinque anni. Ora Sofia ne aveva quindici, era diventata una ragazza piena di sogni e di progetti, e spesso gli diceva che voleva diventare un'artista come il nonno.

Un pensiero lo colpì come una rivelazione improvvisa. Sofia non sarebbe vissuta cinque miliardi di anni. Nemmeno lui. Nemmeno Teodora. Nessun essere umano attualmente vivente avrebbe assistito all'espansione del Sole e alla fine della Terra. Ma Sofia era lì, adesso, in quel momento, e aveva bisogno di bellezza per crescere. Aveva bisogno di sapere che gli esseri umani erano capaci di creare, di sognare, di trasformare la realtà in qualcosa di più grande di sé stessi.

Unique si avvicinò lentamente alla finestra dello studio. Il sole stava tramontando e i suoi raggi obliqui dipingevano il paesaggio con pennellate di oro e vermiglio. Tra cinque miliardi di anni, quella stella sarebbe diventata un mostro che avrebbe divorato tutto ciò che amava. Ma oggi, in quel preciso momento, era semplicemente bella. Era la fonte di luce che aveva reso possibile ogni sua opera, ogni emozione che aveva mai dipinto.

Si voltò verso le sue tele, verso quei paesaggi impossibili che popolavano il suo studio come creature fantastiche in attesa di essere liberate. Le scoprì una a una. I suoi paesaggi erano lì: vallate che si perdevano in cieli impossibili, città che si riflettevano in acque che defluivano verso orizzonti surreali, boschi dove il tempo sembrava essersi fermato in un eterno crepuscolo dorato.

"Ora è qui. Ora è bello. Ora lo vedo".

Improvvisamente comprese. L'arte non era mai stata una sfida al tempo, una corsa verso l'eternità. L'arte era l'opposto: era l'affermazione assoluta del presente, l'intensificazione dell'istante, la capacità di cristallizzare in una tela, in una nota, in una parola, l'essenza di un momento irripetibile.

Quando dipingeva, quando perdeva se stesso nella danza del pennello sulla tela, quando vedeva nascere dal nulla una forma, un colore, un'emozione, in quell'istante toccava qualcosa di sacro. Non l'eternità, ma il suo opposto: la purezza assoluta dell'attimo presente.

Si avvicinò alla tela incompiuta, al bosco rovesciato con le radici che si perdevano tra le stelle. Raccolse il pennello caduto, lo immerse nel colore, e con un gesto deciso aggiunse una piccola figura al paesaggio: un bambino che camminava tra gli alberi capovolti, lo sguardo rivolto verso l'alto, verso quelle radici impossibili che si arrampicavano nel cielo infinito.

“Per Sofia”, mormorò. “Per tutti i bambini che verranno. Perché anche se tutto finirà, anche se il Sole ci inghiottirà e l'universo si raffredderà fino al silenzio assoluto, in questo momento siamo qui. Siamo vivi. E possiamo ancora scegliere di creare bellezza”.

Il pennello danzò sulla tela fino a notte fonda, dipingendo dettagli che solo un occhio innamorato dell'arte poteva vedere. E quando finalmente Unique Alone posò gli strumenti e si allontanò dall'opera, nel bosco impossibile brillava una luce nuova: la luce di chi aveva capito che l'eternità non sta nella durata, ma nell'intensità di ciò che riusciamo a dare al mondo nel breve tempo che ci è concesso.

Il mattino seguente, lo studio di Unique Alone tornò a riempirsi del profumo di trementina e del rumore dei pennelli sui cavalletti. L'artista aveva ripreso a dipingere, non più per sfidare l'eternità, ma per celebrare la bellezza fugace dell'attimo presente. E nei suoi nuovi paesaggi impossibili iniziò a comparire un motivo ricorrente: piccole figure umane che, ignare del destino cosmico che le attende, continuano a camminare, a esplorare, a meravigliarsi davanti ai misteri del mondo.

Perché forse è proprio questo il senso dell'arte: non fermare il tempo, ma renderlo più intenso. Non sconfiggere la morte, ma celebrare la vita. Non sfidare l'universo, ma danzare con lui finché la musica suona.

Mentre lavorava, Unique sentì di nuovo quella sensazione che aveva dimenticato: l'arte come ponte verso il mistero, come chiave per aprire porte invisibili nella realtà ordinaria. Ogni pennellata era un atto di fede non nell'eternità, ma nella bellezza del transitorio.

"L'arte", mormorò mentre un nuovo quadro prendeva forma, "non è quello che rimane dopo di noi. L'arte è quello che siamo mentre la creiamo".

Mesi dopo, la prima mostra di Unique Alone dopo il suo ritorno fu un trionfo. I critici parlarono di "maturità cosmica", di "accettazione del transitorio", di "bellezza dell'impermanenza". Ma Unique sapeva che le parole non riuscivano a catturare la vera scoperta che aveva fatto.

Aveva imparato che l'arte è il modo più puro che l'umanità ha trovato per celebrare il presente. Ogni opera è un monumento all'istante della sua creazione, un'affermazione che dice: "Questo momento è esistito, questa bellezza è stata reale, questa emozione ha attraversato il cuore umano".

Che tutto svanisca tra cinque miliardi di anni non rendeva l'arte inutile: la rendeva infinitamente preziosa. Come un fiore che sboccia sapendo di appassire al tramonto, ma che proprio per questo mette nel suo sbocciare tutta la passione di esistere.

Davanti al suo ultimo quadro Unique sorrise. Aveva finalmente capito: l'arte non combatte il tempo. L'arte è il tempo, nel suo manifestarsi più puro e prezioso. È l'eternità che si concentra in un istante, permettendo a chi crea e a chi osserva di toccare, per un momento sospeso, il cuore stesso del mistero di esistere.

Il pennello non cadde più dalle sue mani. Perché ora sapeva che ogni pennellata era un atto d'amore verso il presente, una carezza al tempo che fugge, un modo per dire all'universo: "Grazie per questo momento di bellezza, per questo istante in cui l'impossibile diventa visibile sulla tela".

E nell'atelier, mentre la luce del tramonto dipingeva di oro le pareti, Unique Alone continuava a creare, non per sfidare l'eternità, ma per celebrare la magnificenza sublime del qui e ora.

Fabio Basilico
MMXXV

(foto di copertina di Jill Wellington da Pixabay)

L'Ultimo Tramonto di Unique Alone testo di Basil
2