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Le lenti degli occhiali si erano riempiti di piccole goccioline d’acqua e Marco dovette toglierli per asciugarli con l’orlo della sua felpa, tirandone fuori un lembo da sotto il giubbotto. Ma anche il tessuto della felpa era umido, e quello che ottenne fu di diffondere una patina bagnaticcia sugli occhiali. Li indossò nuovamente, ed ecco, ora vedeva peggio di prima.
Quella mattina era talmente umida che il corpo di Marco, solo camminando, si imperlava di tante gocce d’acqua, come se avesse attraversato una nuvola.
Il sole non era ancora sorto, ma Marco era uscito presto e si stava recando all’unica pasticceria aperta. Sua moglie aveva insistito che gli amici del loro figlio ed i parenti trascorressero tutta la giornata insieme a casa per festeggiare il suo compleanno, e non li si poteva accogliere senza far trovare una tavola imbandita. Per questo aveva dovuto strappare il suo corpo al caldo abbraccio delle coperte e rimediare alla mancanza dei pasticcini.
Con il sonno che ancora non lo aveva del tutto abbandonato, e con una sensazione di fastidio che rimaneva al bordo della sua mente, Marco si era messo il giubbotto e gli scarponi ed aveva abbandonato il tepore della casa.
In quel momento era ancora molto scocciato, ma si era convinto che camminando a passo spedito in dieci o quindici minuti avrebbe chiuso la faccenda, e sarebbe rientrato presto.
La stradina era avvolta nel buio ed il fondo umido in ciottolato non lo aiutavano a sbrigarsi: ogni volta che provava ad allungare il passo, le pietre bagnate sotto la sua suola minacciavano di fargli perdere l’equilibrio, e doveva combattere per ritrovare un’andatura adatta.
Seguiva da solo la discesa, che terminava contro delle case a due piani e che costringeva i pedoni a girare a destra, per una ventina di metri, per poi immettersi nella strada principale.
Sui lati, Marco si lasciava indietro delle villette con giardini erbosi, ma era ancora presto e tutte le luci erano spente.
Marco stava arrivando alla curva e già vedeva a non molta distanza i bagliori della strada, illuminata tutta la notte. Ma delle ombre, scorte con la coda dell’occhio, gli richiamarono l’attenzione davanti a se.
In basso cinque figure nella penombra del terreno gli venivano incontro, alte meno di mezzo metro e che da come si muovevano gli sembrarono dei cani.
Effettivamente, come la distanza si riduceva, vide che erano proprio dei cani: cinque bastardi, qualcuno bianco sporco e qualcuno nero, che camminando velocemente occupavano tutto il centro della strada.
Marco si inquietò un po’ di questo fatto: gli tornarono in mente le storie di quando era piccolo, di persone sole aggredite da branchi di cani, ed in alcuni casi di bambini spariti dopo essere stati visti in zone occupate da randagi. Si ricordò anche di aver aperto il giornale locale due giorni prima e di aver letto in quinta pagina un trafiletto su una donna che era finita in pronto soccorso per un sospetto di rabbia passata dal morso di un cane.
Comunque fosse, anche se gli animali non sembrassero interessati a lui, e lui fosse comunque un uomo alto e corpulento, voleva superarli il prima possibile, per evitare la scocciatura di prendersi un morso o di dover fare l’antirabbica.
Arrivato quasi davanti a loro, fece un cosa di cui si pentì subito, ma che in quel momento era frutto di qualche antico istinto che aveva preso il controllo: fece un salto in avanti, sul lato del branco, per poterli scavalcare.
“Ecco, ora penseranno che voglia aggredirli e mi attacheranno! Che stupido!” pensò Marco, preparandosi a fuggire.
Invece, a parte il cane più vicino che ebbe un sobbalzo per lo spavento e che lo fissò con ostilità, tutti e cinque gli animali continuarono a procedere sul loro cammino, non curandosi troppo di lui. Solo uno di loro nel centro del branco, un incrocio tra un pastore tedesco con qualcos’altro, ed a cui mancava un occhio, lo seguì con lo sguardo per più tempo, poi fissò Marco negli occhi e proseguì sulla sua strada.
Marco sollevato, allungò il passo, sentendo solo allora che aveva tutti i muscoli tesi ed i pugni serrati. Senza farlo apposta, prese nervosamenre gli occhiali e provò di nuovo ad asciugarli sull’orlo del maglione, ma di nuovo, non riuscì a togliere l’acqua dalle lenti.
Arrivato alle case in fondo alla strada girò sulla destra, e vide chiaramente le luci della strada principale. Dopo un paio di passi dovette bruscamente fermarsi, perchè delle altre ombre erano comparse sulla stradina. Erano più di dieci, e con la maggiore illuminazione poteva vedere i profili di collie, di terrier, mastini, un rottweiler ed altre razze di cani. La scena lo spiazzò e per un attimo gli passò per la mente il pensiero che forse ci potesse essere nella via principale una mostra canina, e quelli e gli esemplari che aveva incontrato prima fossero dei concorrenti allontanati.
Il pensierò svanì subito quando si accorse che tutti gli animali guardavano nella sua direzione ringhiando. Il rottweiler, accompagnato da un paio di mastini, gli venne incontro, scopendo i denti e ringhiando.
Marco cedette di nuovo all’istinto: diede le spalle agli animali e provò a fuggire. Ma fu subito bloccato dai cinque bastardi che aveva incrociato prima, che ora gli sbarravano la via di fuga, abbaiandogli contro. Il pastore tedesco guercio invece non emetteva nessun verso, ma non gli staccava il suo occhio di dosso: un occhio che tradiva uno sguardo incredibilmente umano, perfido e gelido.
Marco sentì una fitta ad un polpaccio. Si girò e vide che un barboncino gli aveva morso la gamba, riuscendo a bucargli i pantaloni ed affondando i denti nella carne. Con un calciò riuscì a divincolarsi dalla presa ed a scaraventare contro il muro di una casa la bestiolina, che cadde per terra emettendo un guaito di sofferenza.
In un attimo sentì però un altro morso, poi un altro alla mano, e poi uno degli animali si lanciò su di lui, e con il suo peso notevole lo fece scivolare e cadere per terra. Mise le mani davanti al viso e si chiuse su se stesso per proteggersi. Sentiva i tagli aprirsi in ovunque sul suo corpo, dopodichè perse la sensibilità. Sentiva solo il suo corpo ricoprirsi di liquido caldo ed appicicoso, mentre tutto il suo mondo si riempiva dell’odore disgustoso di animale e pelo bagnato di cane.
Provò a difendersi agitando unbraccio contro il turbinio di zanne che vorticavano sopra la sua testa, ma anche sbattendo contro crani e pellicce non riuscì ad allontanare gli animali.
Continuò a proteggersi il viso, a scalciare, rotolarsi ed agitare il braccio, ma sentiva che i suoi movimenti avevano meno forza ed erano sempre più lenti. Sentii che forse non ce l’avrebbe fatta a fuggire e che sarebbe rimasto su quella strada, facendo la fine dei bambini di cui gli raccontavano la storia per spaventarlo di notte, quando era piccolo.
E poi i ringhi, i latrati e l’abbaiare si accuirono, fino a poco a poco a spegnersi. I cani si allontanarono da lui, rimanendo comunque ad un metro di distanza.
Nella strada cominciava a riversarsi la luce del sole, che faticosamente si faceva spazio tra l’orizzonte e le nubi.
Marco era riverso a terra, con la faccia poggiata di lato e sentii di nuovo il freddo delle gocce d’acqua sulla sua guancia, mescolato col caldo torpore del sangue che vi si stava mischiando.
Non riusciva ad alzare la testa per guardarsi intorno, ma vide che gli animali non erano più interessati a lui e che stavano fissando qualcos’altro.
Udii un ticchettio alle sue spalle, come quello che facevano le unghie dei cani quando camminano sulla pietra, ma più forte e più lento. Il ticchettio gli girò intorno, e si fermò davanti alla sua testa.
Marco provò a sollevare il collo, con una dolorosa contrazione, ma senza successo.
Il ticchettio continuò, e poi si fermò davanti ai suoi occhi.
Vide due enormi zampe nere con quattro dita ciascuna. Erano grosse, grosse come pali della luce, e da come si muovevano Marco pensò che la creatura che sostenevano dovesse camminare eretta, come gli uomini. Alla fine di ogni dito si allungava una lunga unghia, che raschiava sul ciottolato.
Marco cominciò a respirare più affannosamente, quasi a rantolare, dopodichè diventò tutto buio.
La signora Carla sentì il campanello di casa suonare, ed infastidita smise di fissare i palloncini ed i festoni sopra la finestra e scese dalla scala. Con passo minuto e veloce attraversò il corridoio che portava dal salone all’ingresso ed aprì la porta.
“Era ora, sei uscito da più di mezz’ora. Ti sei perso?”
La signora Carla guardò il giubbotto di Marco coperto d’acqua e le mani e gli occhiali di suo marito pieni di goccioline.
“Ma sta piovendo? Non è che si sono bagnati i dolci?”
“No stai tranquilla” rispose pacatamente Marco entrando attraverso la porta, mentre reggeva tra le mani un grosso pacchetto con il nome di una pasticceria sopra. “A che ora hai detto che arrivano gli ospiti?”.