Gli Gnomi Del Mio Giardino a Natale

scritto da Domenico De Ferraro
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Autore del testo Domenico De Ferraro

Testo: Gli Gnomi Del Mio Giardino a Natale
di Domenico De Ferraro

Gli Gnomi Del Mio Giardino a Natale

 

Non avevo mai fatto troppo caso al mio giardino d’inverno. Gli alberi spogli, l’erba umida, i  piccoli vasi  colorati allineati lungo il muro… tutto mi sembrava dormire. Finché, un dicembre, non iniziarono dei  piccoli rumori.

La prima volta li sentii una domenica mattina, prestissimo. Un ticchettio leggero, come di cucchiaini contro tazze minuscole, e un profumo di cannella e legna bruciata che non poteva venire da casa mia: il forno era spento.

Mi affacciai alla finestra con la scusa di guardare il tempo. Il cielo era di un grigio chiaro, quasi gentile. Nel punto più in ombra del giardino, accanto al vecchio abete situato nel grande vaso di terracotta , qualcosa brillava: una lucina rossa che si accendeva e si spegneva piano, come se respirasse. «Ma che…?» mormorai, quasi spaventato.

Fu in quel momento che lo vidi: un cappello a punta, rosso, che spuntava da dietro il vaso. Sotto, due occhietti vivaci che mi fissavano senza paura. Poi una vocina:

«Ci vede. Te l’avevo detto che prima o poi ci avrebbe visto.»

Un’altra vocina, un po’ più bassa ma squillante: «Smettila, Timo, forse sta ancora dormendo in piedi. Gli umani sono strani al mattino.»

Aprii la finestra di scatto. L’aria fredda entrò insieme a un odore inconfondibile di biscotti al burro.

«Vi sento, sapete?» dissi, cercando di non sembrare troppo sconvolto. Il cappello rosso si mosse. Dal lato opposto del vaso sbucò un altro cappello, verde e un po’ storto. Poi un terzo, piccolissimo, che inciampò nel bordo e quasi rotolò sull’erba. «Attento, Nocciolo!» gridò il cappello verde, agguantando al volo il più piccolo.

Mi strofinai gli occhi. Tre minuscole figure stavano ora in piedi sul muretto del’aiuola. Il primo, con il cappello rosso, aveva una barba bianca cortissima e ordinata; il secondo, col cappello verde, portava un grembiule a righe e un naso lentigginoso; il terzo, il più piccolo, aveva il cappello troppo grande che gli calava sugli occhi.

«Buon giorno…  grande uomo » disse quello col grembiule, facendo un piccolo inchino. «Noi siamo la famiglia dei gnomi del tuo giardino. Finalmente ci conosciamo come si deve.»

«Gnomi.» ripetei. «Ma… nel mio giardino? E da quanto?»

Il barbuto incrociò le braccia, come se la domanda fosse un po’ offensiva.

«Da sempre, più o meno. Io sono Timo, guardiano dell’abete. Questo è Muschio, mastro-fornaio e costruttore di lucine.» Indicò il cappello verde. «E lui è Nocciolo, apprendista di tutto e combinaguai di professione.»

«Ehi!» protestò il piccolo, alzando il cappello che gli cadeva sugli occhi. «Non sono combinaguai di professione. Solo… a tempo pieno.»

Scoppiai a ridere, nonostante l’assurdità della situazione.

«E perché non vi ho mai visti prima?» chiesi.

Muschio si aggiustò il grembiule, un po’ imbarazzato.

«Perché gli umani ci vedono solo quando è quasi Natale, e solo se il loro cuore non è troppo occupato a contare i giorni che mancano ai regali… ma piuttosto i giorni che mancano alla  nuova luce del nuovo anno.»

Timo annuì serio.

«E perché avevamo bisogno di parlarti.»

Sentii un brivido corrermi lungo la schiena, ma non era di freddo. «Di parlarmi? Per cosa?»

Nocciolo saltellò avanti, agitando le braccine.

«Perché il tuo abete è triste!» esclamò tutto d’un fiato.

Guardai verso l’abete nel grande  vaso. Era lì da anni, un po’ storto, con gli aghi non proprio lucenti, ma non mi era mai sembrato… triste. Eppure in quella mattina, qualche ramo pendeva più del solito.

«Triste?» ripetei piano.

Timo annuì ancora, con gravità.

«Ogni anno, a dicembre, fai brillare le luci dentro casa. Accendi candele, appendi addobbi, metti musica. Ma qui fuori, nel giardino, è sempre buio. Il nostro abete sente il calore venire dalle finestre, vede i riflessi dei vetri… e aspetta. Ma non arrivano mai  le luci per lui.»

Abbassai lo sguardo, un po’ in imbarazzo. Non ci avevo mai pensato. Per me il giardino in inverno era solo qualcosa da guardare di sfuggita.

«E allora perché non siete venuti prima a dirmelo?» domandai.

Muschio sorrise.

«Perché per parlare a un umano serve che il suo cuore faccia un piccolo spazio in mezzo alla fretta dei suoi intimi momenti . Quest’anno hai guardato il giardino tre volte di fila, in silenzio, senza telefono in mano. Per noi è un segno chiarissimo.»

Mi venne da ridere di nuovo, ma questa volta gli occhi mi si fecero lucidi.

«Quindi… volete che metta delle luci sull’abete?» chiesi.

Gli occhi di Nocciolo si illuminarono come se avessi pronunciato una formula magica.

«Luci, nastri, biscotti appesi, campanellini, neve di zucchero, stelle—»

«Calma, Nocciolo.» lo interruppe Timo. «Una cosa alla volta. E poi non ha ancora detto sì.»

Lo avevo già detto, dentro di me, da almeno un minuto. Ma lo ripetei ad alta voce, per loro.

«Sì. Lo farò. Però ho bisogno di un aiuto. Non sono bravo come voi con le magie natalizie, immagino.»

Muschio si gonfiò di orgoglio.

«Su quello puoi contare. Abbiamo tutta l’arte delle Feste antiche nelle nostre piccole mani.»

Preparativi sottozero

Due ore dopo, ero in giardino con il cappotto, un cappello di lana e una scatola di luci natalizie recuperata dallo sgabuzzino. Nel frattempo, gli gnomi avevano organizzato un vero e proprio cantiere.

«Nocciolo, portami il filo dorato!» gridava Muschio, arrampicato su una pietra come fosse un palco.

«Subito!» rispondeva il piccolo, trascinando un rotolino di spago colorato dieci volte più grande di lui.

Timo, con un metro pieghevole minuscolo, misurava con grande serietà i rami dell’abete.

«Lunghezza e larghezza devono rispettare l’antica proporzione delle stelle d’inverno» borbottava tra sé. «Se no le luci si offendono e non brillano.»

Posai la scatola di luci vicino al tronco.

«Queste sono le uniche lucine che ho. Pensi che vadano bene?» chiesi. Timo le osservò con occhio critico. Muschio si avvicinò, toccando con molta cautela un filo con la punta delle dita.

«Sono luci umane, ma hanno un buon cuore» decretò. «Se le tratteremo con gentilezza, brilleranno come se fossero nate nel Bosco dei Solstizi.»

«E com’è il Bosco dei Solstizi?» domandai, incuriosito.

Fu Nocciolo a rispondere, con la sua voce squillante.

«È un posto dove ogni albero ha un ricordo appeso ai rami. I ricordi luccicano, e non si spengono mai. Alcuni sono felici, altri un po’ tristi, ma tutti riscaldano l’aria. E quando passa il grande vento d’inverno, non ha più freddo neanche lui, perché i ricordi lo avvolgono e gli riscaldano le mani gelate.»

Rimasi in silenzio un momento, immaginando quel bosco che non avevo mai visto, ma che in qualche modo mi sembrava già familiare.

«Allora appendiamo anche noi dei ricordi» dissi.

«Non solo decorazioni.»

Timo mi guardò interessato.

«E come faresti?»

Andai in casa e rientrai con una manciata di piccole cose: un vecchio campanellino un po’ arrugginito, una molletta di legno decorata anni prima, una stella di carta che avevo tenuto da un Natale passato, un minuscolo pupazzo di neve di ceramica con il naso scheggiato.

«Sono ricordi» spiegai. «Non perfetti, ma… carichi di storie.»

Muschio annuì.

«Perfetti per un abete che ha aspettato in silenzio così a lungo.» Iniziammo a decorare.

Io, in piedi, sistemavo le luci più alte e i nastri; gli gnomi, agilissimi, si arrampicavano sui rami più bassi, legando i piccoli oggetti con fili colorati.

«Più a sinistra, più a sinistra!» gridava Nocciolo, indicando un ramo. «No, così sembra un orecchio storto!»

«Gli abeti non hanno orecchie» ribatté Timo, ma spostò comunque il nastrino di qualche centimetro.

A un certo punto, il cielo iniziò a cambiare colore, virando dal grigio chiaro a un azzurro più profondo, quasi viola.

«Tra poco sarà l’ora» disse Muschio, con tono solenne.

«L’ora di che cosa?» chiesi, pur intuendolo.

«Della prima accensione» rispose Timo, come se fosse la cosa più importante del mondo.

La prima accensione

Era quasi buio quando finimmo. L’abete era un piccolo universo: luci spente, sì, ma già bellissimo, con i nastri, i ricordini e persino qualche biscottino appeso che Muschio aveva sfornato in miniatura e poi, con un tocco di magia, ingrandito giusto quanto bastava per essere visibile anche a me. «Li puoi mangiare, se vuoi» disse, notando il mio sguardo. «Ma uno solo. Gli altri sono per l’abete e per gli uccellini.»

Scelsi un biscotto a forma di stella. Sapeva di burro, miele e… qualcosa di difficile da spiegare, come una mattina di infanzia infilata in una briciola.

«Adesso vieni qui» disse Timo, indicandomi un punto preciso di fronte all’albero. «Devi stare esattamente lì, con i piedi sull’erba. Le luci sentono quando qualcuno accende l’interruttore senza pensarci davvero. E sentono anche quando qualcuno lo fa col cuore… pieno.»

Presi il filo delle luci, cercando l’interruttore. Le mani tremavano un po’ per il freddo, ma anche per una strana emozione che non provavo da tempo.

Gli gnomi si disposero in cerchio attorno al vaso. Nocciolo si infilò mezzo tra le radici, poggiando una mano sul tronco.

«Pronto?» domandò.

«Pronto» rispose l’abete.

Sì. Lo sentii chiaramente. Non con le orecchie, ma con qualcos’altro, come se una voce avesse soffiato direttamente nel petto.

Inspirai a fondo, chiusi per un attimo gli occhi e schiacciai l’interruttore.

Le luci si accesero tutte insieme, ma non come fanno di solito. Non fu una semplice illuminazione; fu un sussurro che diventava canto. Ogni lampadina sembrò trovare il proprio posto, il proprio ruolo, come se si ricordasse improvvisamente di essere una piccola stella caduta lì per caso.

L’abete prese un colore nuovo. Gli aghi sembrarono più verdi, i rami più dritti. I nastri dorati catturavano i riflessi, i ricordi appesi brillavano di una luce discreta ma viva.

«Oh…» mi scappò dalle labbra, senza che potessi trattenerlo.

Muschio si asciugò un occhio con il bordo del grembiule.

«Ogni volta che un albero viene finalmente acceso per bene, c’è qualcuno che dice “oh”» sussurrò. «È una regola antica.»

Nocciolo, ancora con la mano sulle radici, ridacchiò.

«L’abete sta ridendo» annunciò. «Dice che si sente… finalmente a casa.»

Mi avvicinai, sfiorando un ramo. La resina odorava di bosco, ma anche di qualcosa di nuovo, come se una porta si fosse appena socchiusa su un inverno meno freddo.

«Scusa per tutti gli anni in cui ti ho lasciato al buio» mormorai, senza neppure pensare a quanto fosse strano parlare a un albero.

«Non importa» sentii dentro di me. «Sono qui. E tu mi vedi, adesso.»

Timo tossicchiò per attirare la mia attenzione.

«C’è ancora una cosa da fare, prima che finisca il rito» disse. «Un patto.»

«Che genere di patto?» domandai, un po’ allarmata.

Muschio sorrise.

«Un patto molto semplice. Ogni dicembre, d’ora in poi, ti ricorderai di questo abete. Non necessariamente con luci grandiose, non per forza con mille decorazioni. Basterà un piccolo segno, un ricordo nuovo appeso ai rami. In cambio, il giardino non smetterà mai di custodire per te un po’ di magia. Soprattutto quando penserai di averla persa.»

Nocciolo annuì energicamente.

«E io ti farò assaggiare un biscotto diverso ogni anno!» aggiunse, alzando un dito appiccicoso di glassa.

Ci pensai un momento, ma nel profondo  di me stesso la risposta l’avevo già. «D’accordo» dissi. «Promesso.»

Gli gnomi allargarono le braccia, come se stessero raccogliendo le mie parole e incartandole in un fiocco invisibile da infilare tra le radici dell’albero.

Il vento, proprio in quel momento, passò attraverso il giardino. Non era più il solito soffio freddo: portava con sé un profumo di biscotti, resina e qualcosa di antico, come canti lontani di terre leggendarie.

«È fatta» dichiarò Timo. «Questo giardino, da stanotte, farà parte del Circolo dei Cortili Invernali. Non sarai il più grande, ma sicuramente tra i più luminosi.»

Arrossii senza sapere bene perché.

«E adesso?» chiesi. «Adesso voi… sparite?»

Nocciolo scoppiò a ridere.

«Ma no! Adesso andiamo a finire i biscotti, che domani mattina gli uccellini arriveranno affamati. E tu… tu fai la cosa che gli umani fanno meglio a Natale.»

«Cosa sarebbe?» domandai.

Muschio rispose con calma.

«Guardare. E ricordare.»

La notte delle luci

Quella notte, prima di andare a dormire, spensi le luci di casa e lasciai accese solo quelle dell’abete in giardino. Mi sedetti vicino alla finestra, una tazza calda tra le mani, e rimasi a guardare estasiato ricordando tutti i miei natali passati al buio. Ogni tanto mi sembrava di scorgere piccoli movimenti alla base del tronco: un cappello rosso che passava, un grembiule verde che ondeggiava, un minuscolo cappuccio che inciampava tra le radici. Ma non aprii più la finestra. Sentivo che, per quella notte, bastava così.

Guardando quell’albero illuminato, cominciai a ripercorrere Natali lontani: la voce di mia nonna in cucina, il rumore della carta strappata, una canzone stonata ma felice cantata da mio padre . I ricordi si appendevano da soli ai rami della mente, come se avessero atteso proprio quel momento per ritornare a vivere .Ad un certo punto, oltre il vetro, mi sembrò di udire un coro lieve, sottilissimo, quasi confuso con il vento.

«Buona notte, grande uomo » sussurrava la voce di Nocciolo.

«Buona notte, guardiano dell’abete» aggiunse quella di Timo.

«Che il tuo inverno sia pieno di luci quiete e di biscotti tiepidi» concluse Muschio.

Sorrisi, socchiudendo piano gli occhi.

Da allora, ogni dicembre, il mio abete è il primo ad essere addobbato. A volte i vicini mi chiedono perché metta tanto impegno in un semplice albero in vaso, fuori al freddo.

«Perché non è un albero qualunque» rispondo. «È l’albero che mi ha insegnato a vedere la magia del natale nel mio giardino d’inverno.» Non dico niente degli gnomi, ovviamente. Sarebbe rompere il patto fatto di silenzio .

Ma qualche mattina, poco prima di Natale, quando l’aria sa di neve lontana e il cielo ha quel colore sospeso tra la notte e il giorno, se si ascolta con attenzione, nel mio giardino si possono sentire ancora piccoli rumori: cucchiaini contro minuscole tazze, risatine soffocate, e un profumo irresistibile di biscotti alla cannella. E ogni volta che accendo le luci dell’abete, una voce minuscola, da qualche parte tra le radici, mormora: «Oh, che bello… è di nuovo Natale.»

Gli Gnomi Del Mio Giardino a Natale testo di Domenico De Ferraro
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