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La casa di mio zio
profuma di passato:
piatti impolverati nella credenza,
sedie rimaste in attesa.
Lui mi guarda con occhi stanchi,
novantasette anni di ricordi
che gli pesano sulle spalle
e insieme gli illuminano il sorriso.
È rimasto solo
non per scelta,
ma per destino.
E io lo ascolto
mentre sfoglia Natale dopo Natale,
come un libro ingiallito
che nessuno apre più.
Sui mobili, allineate,
le foto di una vita intera:
mia zia che sorride,
i miei cugini bambini,
le feste, i viaggi,
una storia condivisa
che ora respira solo nelle cornici.
E mentre lo guardo,
un brivido mi attraversa:
e se un giorno fossi io
a sedermi in una stanza così muta?
Una donna che ha amato troppo
e che troppo spesso
si è ritrovata sola,
col cuore che aspetta
qualcuno che non arriva mai.
La sua solitudine mi parla,
racconta il tempo che passa,
il peso dell’attesa,
il passo che non torna.
E io mi vedo lì,
fra quarant’anni,
con lo stesso silenzio addosso
e lo stesso sorriso coraggioso.
Ma poi,
nel tremore del cuore,
capisco una verità semplice:
lui è solo perché il tempo gli ha tolto,
non perché l’amore non l’abbia scelto.
Io invece sono sola
perché ho dato le mie mani
a chi non voleva stringerle,
ho bussato a porte socchiuse,
ho cercato amore
dove c’erano solo abbracci rubati.
Così, davanti a lui
e davanti a me stessa,
mi faccio una promessa:
un giorno la mia casa avrà voci,
luci accese tardi,
chiavi che girano nella porta
perché qualcuno torna da me.
Mio zio sorride,
con la sua forza antica,
e nella sua solitudine
trovo un insegnamento:
non è il destino a farmi paura.
È restare dove non sono amata.