Zanzibar

scritto da Franc
Pubblicato 2 anni fa • Revisionato 2 anni fa
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Autore del testo Franc

Testo: Zanzibar
di Franc

“Ma dove diavolo è finita? Doveva essere qui. Katia l’hai spostata te?”
Ugo si stava agitando, quella cosa proprio non voleva saltare fuori.
“Ma caro, l’avrai sistemata talmente bene, che non ti ricordi”, rispose la compagna in modo rasserenante.
Era una rara banconota dello Zanzibar con l’effige della regina Elisabetta, l’aveva acquistata qualche mese prima in un mercatino del collezionismo. “Un vero affare” aveva commentato lo stesso Ugo, anche se Katia non aveva nascosto le sue perplessità su quell’acquisto ritenuto troppo esoso. Ancora non l’aveva mostrata a suo zio Filippo. Lo voleva far morire di invidia quel tirchiaccio, che si definiva il più grande collezionista di monete e banconote della città. Già immaginava il suo volto quando avrebbe rifiutato ogni proposta di acquisto del vecchio, anche quelle folli. Ma adesso quella banconota era scomparsa.

 Come aveva potuto smarrire qualcosa di così prezioso? Proprio lui che era così preciso e ordinato. Aveva controllato ovunque, era sicuro di averla depositata nella sua cassaforte a muro, ma nulla. Aveva anche aperto tutte le sue cartelle di lavoro, aveva sfogliato tutti i suoi libri, tante volte distrattamente l’avesse lasciata lì dentro.  Passò tutto il giorno a cercarla, ma la banconota non saltò fuori.

Questi pensieri lo tormentarono per tutta la seguente notte.

“L’ho visto Katia”, disse Ugo la mattina seguente, mentre stavano facendo colazione. “Mi è stato rivelato in sogno. Non potevo certamente averla persa come il primo degli stupidi. Mi è stata rubata.”

Nel sogno aveva visto Carmelo, un suo amico che era stato ospite la sera precedente, aprire la cassaforte e infilare la preziosa banconota sotto il cappello. Ecco perché quella sera si era ritirato così improvvisamente, pensò.
“Un sogno?” chiese dubbiosa Katia, rimanendo però inascoltata.
Ugo stava bollendo di rabbia: che offesa; che affronto. Non gli interessava neanche più recuperare quella banconota: Ugo pretendeva soltanto vendetta. Già in quella mattinata aveva programmato tutto.  Conosceva molto bene Carmelo e sapeva come colpirlo sfruttando le sue debolezze.

Si recò al solito bar e attese l’arrivo dell’amico.  “Non puoi immaginare quante mele cotogne sono uscite quest’anno. Tante andranno buttate purtroppo”, disse ad alta voce al barista, mentre scorse l’arrivo di Carmelo.  Ugo era ben al corrente della ghiottoneria di Carmelo per la marmellata di quel frutto.

“Buttare le mele cotogne?” chiese accomodandosi vicino ad Ugo.

“Già, un vero peccato.”

“Non ricordavo ne avessi un albero.”

“Sì, si trova nella parte alta, vicino al melograno.”

“Perché non mi porti a mirarlo, magari ti potrei aiutare anche con le eccedenze prendendone qualche cassa. E’ un vero peccato far marcire la frutta.” Ugo sorrise, Carmelo aveva abboccato.

“Ma certamente.”

“Anche questo pomeriggio andrebbe bene”, propose Carmelo.

“No, andremo tra 3 giorni.” Il tempo necessario per i preparativi, pensò Ugo. 

Ugo lo stesso giorno caricò nella sua auto, una vecchia Fiat Uno, la vanga insieme ad altri attrezzi e si diresse verso la sua tenuta. Salì sulla collinetta della campagna e comiciò a scavare una fossa vicino all’albero di mele cotogne, albero ormai divenuto sterile in verità. Fu un lungo lavoro e dovette faticare anche i due giorni seguenti, ma il risultato fu soddisfacente: una fossa profonda circa due metri e mezzo con degli assi di legno appuntiti piantati alla base. La trappola fu coperta per bene con un tappeto di foglie. Ugo rimase ad ammirare la sua opera, mentre il sole stava tramontando. Immaginava Carmelo mentre metteva il piede su quel tappeto, immaginava la sua espressione, mentre cadeva per poi rimanere infilzato a morte. Era tutto pronto per il grande giorno. Neanche quella sera riusciva ad addormentarsi per quanto era eccitato: l’idea di vendicare quello smacco subito lo mandava in estasi.

 

 “Quello è un pesco?” chiese Carmelo, mentre si stavano avviando verso la parte alta della campagna, verso l’albero di mele cotogne, dopo aver lasciato la Uno ai piedi della collinetta.

“Si, ma continuiamo a salire. Facciamo presto.”

Carmelo si era fermato a coglierne qualche frutto, per poi depositarli in una delle sue tre casse di legno. Ugo era impaziente. “Le puoi cogliere anche al ritorno, non perdiamo tempo!”

“Certo, arrivo.”

Fecero qualche passo. “Ma quelli sono cachi? Guarda che belli.”

“Sì, al ritorno…”, non fece in tempo a finire di dire che Carmelo si era di nuovo fermato. “ Giusto qualcuno”, disse mentre ne coglieva una diecina. 

“Poi  nelle casse non ci sarà spazio per le mele cotogne. Dai, andiamo subito là.”

“Non ti preoccupare, possiamo sempre tornare una seconda volta, non credi?”

“Certamente.”

Erano giunti alla metà della salita, quando Carmelo si fermò per la terza volta. “ Ma hai anche il fico.” Ugo si stava innervosendo, stava facendo fatica a controllarsi.

“Si, ma sono tutti sfatti.”

“Ma che dici, sono buonissimi”, rispose Carmelo, mentre ne assaggiava uno.

“Il tempo si sta mettendo male, non perdiamo altro tempo.”

“Ma se splende il sole.”, rispose immediatamente Carmelo che aveva già riempito una delle tre casse.

Proseguirono la loro marcia, dopo aver lasciato la cassa piena lungo il sentiero per essere poi recuperata al ritorno. Erano quasi giunti alla meta, quando Carmelo scorse un cespuglio di more.

“E’ soltanto un rovo, ti farai male.”

“Non preoccuparti amico mio, cosa vuoi che sia qualche graffio?”, e tirò fuori dalla sua tasca un piccolo sacchetto che cominciò a riempire. “Con queste ci faccio una crema deliziosa sai? Una vera squisitezza.”

“Si, immagino.” Ugo stava facendo dei lunghi respiri, stava cercando in tutti i modi di controllarsi, ma stava andando su tutte le furie.

“Dovrei tornare all’auto per prendere un altro sacchetto”, disse Carmelo mostrando il sacchetto pieno di more. A quel punto Ugo scoppiò.  Afferrò il braccio di Carmelo e lo cominciò a trascinare.

“SIAMO VENUTI QUI PER LE MELE COTOGNE!” gridava, mentre Carmelo totalmente sorpreso rimaneva inerte.

“E ADESSO RIEMPI QUELLE CAVOLO DI CASSE!” urlò una volta arrivati ai piedi dell’albero di mele cotogne. Carmelo si sistemò la manica strattonata. “Che modi”, si limitò a commentare.

“Sarebbe questo l’albero?”

“Certamente.”

“Non vedo tutti questi frutti che dicevi”, affermò Carmelo voltandosi verso Ugo. La trappola era circa un metro alla sua destra.

“Ma si che ci sono. Cerca meglio.”

“Ma no Ugo. Ti stai sbagliando, questo albero è praticamente sterile.”

Forse dovrei dargli direttamente una bella spinta, pensò Ugo, ma ritenne il rischio di cadere egli stesso nella trappola a seguito di un’eventuale colluttazione troppo alto.

“Sicuro non ci sia un altro albero oltre a questo? Forse ti sarai confuso.”

“Certamente, deve essere così. Ed  anche abbastanza plausibile”, rispose immediatamente Ugo.

“Cosa?”

“Hai ragione, mi sono confuso. C’è un altro albero di mele cotogne.”

“Dove?”

“Più avanti sulla destra.” Ed indicò in direzione della trappola.

“Bene, allora muoviamoci”, rispose Carmelo rimanendo però fermo.

“Forza, cammina”, sollecitò Ugo.

“Non mi fai strada te?”

“E’ qui vicino. Muoviti.”

Carmelo si accorse che Ugo si stava ulteriormente alterando e non gli piaceva certo l’idea di essere nuovamente strattonato. Si mosse verso la trappola e dopo qualche passo vi precipitò dentro, rimanendo infilzato ad una gamba e al petto.  Carmelo ancora si contorceva, quando Ugo cominciò a spalargli la terra sopra. Nessuno può insultarmi, pensava, mentre completava la sua opera. La sua vendetta era compiuta.

 

“Caro come sei allegro”, gli disse Katia al suo ritorno.

“Preparati. Stasera andiamo a cena fuori in quel ristorantino che ti piace tanto.”

Ugo voleva festeggiare la sua vittoria, il suo trionfo. La banconota dello Zanzibar era stata vendicata, il cerchio era chiuso. Ci vuole della musica, pensò. Sfogliò i suoi 33 giri e scelse per l’occasione la marcia di Radetzky di Johann Strauss I. Mentre estraeva il disco dalla custodia scivolò qualcosa a terra, ma Ugo neanche se ne accorse. Mise il disco sul giradischi e fece partire la musica. Che trionfo, pensava.

“Caro che dici? Meglio il verde o il rosso?” chiese Katia mostrando i due abiti.

“Il rosso”, rispose Ugo senza guardare.

“Caro…”

“Si?” Ugo non sopportava che fosse continuamente interrotto, mentre ascoltava la sua musica.

“Ma quella a terra non è la banconota?”

“Impossibile.”

“Ma guardala. E’ proprio sotto ai tuoi piedi.”

Ugo guardò in basso e trasalì. Era proprio lei: la banconota dello Zanzibar con l’effige della regina Elisabetta.

“Caro, hai visto che alla fine è saltata fuori? Non sei contento?”

Ugo era pietrificato, cominciò a sudare freddo: aveva appena ucciso il suo amico Carmelo per nulla. La banconota non era mai stata rubata. Si ricordò che fu egli stesso a inserirla nel disco, ritenendo la cassaforte un luogo troppo banale per proteggere un tale tesoro. Sono un lurido assassino, pensò, povero Carmelo.

“Caro, è meglio che ti inizi a preparare anche te. Si sta facendo tardi.”

Ugo fece un lungo respiro. “Non andremo da nessuna parte stasera.”

“Ma come caro? L’hai detto tu stesso che saremmo andati a cena.”

“Ho detto no!” e guardò la sua compagna Katia con occhi severi.

La marcia di Radetzky nel frattempo continuava a suonare. Ugo fissò la banconota ancora a terra, “Sei stata te a farmi commettere un omicidio, a farmi diventare un assassino.”

La guardò ancora più attentamente, “Devi avere una sorta di maleficio vudù o cose del genere, vero?”

 La musica del trionfo lo stava infastidendo, non era assolutamente adatta al suo nuovo stato d’animo. Levò il disco dal giradischi, facendo rompere la puntina e gettò il 33 giri con rabbia fuori dalla finestra. La stessa sorte deve toccare anche alla banconota, realizzò. Ma come si poteva gettare o distruggere un qualcosa di tale valore? Con questi pensieri si ritirò a riposare senza nemmeno aver cenato.

 

Il mattino seguente si recò con grande riluttanza da suo zio Filippo:  la banconota l’avrebbe venduta a lui, insieme alla sventura che avrebbe portato.  Ugo si accomodò nella grande sala della villa dello zio, dove un cameriere gli chiese se volesse qualcosa da bere. Ugo rifiutò, non vedeva l’ora di concludere l’affare e andarsene. Finalmente lo zio arrivò.

“Carissimo nipote, come stai?”

“Lasciamo perdere i convenevoli. Questa è la banconota che ti ho riferito per telefono”, rispose Ugo porgendola allo zio. “Mi hai detto che potrebbe valere anche mezzo milione, giusto?”

Lo zio prese la banconota e la guardò attentamente, era un grande esperto di numismatica.

“Li varrebbe certamente…”

“Bene, allora facciamo questo scambio subito.”

“…se non fosse un falso.”

Zanzibar testo di Franc
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