Il capitano

scritto da LDI
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Testo: Il capitano
di LDI

Il capitano sciolse le due cime sulla poppa del proprio peschereccio. L’imbarcazione si allontanò leggera dal molo. Il cielo grigio, l’aria ferma e fredda lo accolsero in quella che sarebbe stata la sua ultima uscita per mare.

Entrò nella propria cabina da cui dirigeva la propria libertà da più di un decennio. Da quando, a bordo della sua auto, si allontanò definitivamente dalla città dove aveva vissuto tutta una vita, lasciandosi alle spalle sentimenti, fatiche, i rancori e le notti insonni e stellate, raccolte ormai nelle due ampie borse sottostanti i suoi occhi neri e profondi.

 

Arrivò in paese tredici anni prima, dopo aver guidato per tre giorni e tre notti, facendo il proprio ingresso, all’alba, nel porticciolo del piccolo villaggio di mare, che lo accolse senza far domande e con una tazza calda di caffè. – Ci sono posti dove l’anima può sedersi a riposare. – L’aria del mare e il rumore dei gabbiani impiegarono una manciata di minuti a convincerlo che quello sarebbe stato il luogo giusto in cui far scorrere il tempo rimanente, della sua vita.

Il secondo giorno, dopo aver passato la prima notte nella pensione di fronte al porto, vegliando e smaltendo i pensieri di una vita, il capitano si diresse alla casa municipale, dove raccolse informazioni su diritti e doveri necessari ad un quieto vivere nel paese; facendosi anche indicare una proprietà in vendita ormai da anni.

Non impiegò molto ad acquistarla e trasferircisi.

Si trattava di una piccola casa, posta ad angolo e al secondo e ultimo piano di una vecchia palazzina in legno; giusto dinanzi al porto, e sovrastante il negozio di porcellane della vedova Halcott.

Il capitano, che dall’arrivo nel piccolo villaggio non si era più rasato la barba, inondando di bianco il proprio spigoloso viso, acquistò anche una piccola imbarcazione; una delle tante rimaste senza padrone dopo la grande crisi, abbattutasi anche sui pescatori del villaggio.

Passò così l’intero inverno riparando e riverniciando il peschereccio; cui diede nome Sweet Mary.

Attività che, svolgendosi nel porticciolo, offrì agli abitanti del villaggio, la possibilità di fare la conoscenza di quel vecchio signore, silenzioso quanto cortese, che da qualche mese partecipava alla vita del piccolo porto alla fine del tempo.

Cominciò dal ponte dell’imbarcazione; eliminando ogni singolo oggetto rimasto a prendere pioggia e freddo negli anni. Pezzi di vecchie reti, galleggianti, una nassa ormai inutilizzabile, dei vecchi scarponi, una lampada portatile…c’erano dei guanti che sembravano appartenuti al capitano Hacab… La liberò interamente da ogni oggetto, fino a riportarla in vita.

Il ponte si rivelò con le sue assi di legno una volta verniciate di bianco e ormai totalmente maculate, a testimoniare il colore che fu. E come con l’imbarcazione, il capitano cominciò a limare le proprie cicatrici, un centimetro alla volta. Levigandole e portando via i variegati strati di vernice secca sulla sua pelle. Senza alcuna fretta, con un cappello di lana e una corporatura ancora snella e nodosa, egli divenne rapidamente un esperto lavoratore di oggetti in disuso. Smettendo di parlare a se stesso; lo accompagnavano nel lavoro quotidiano, il rumore periodico delle onde che si appoggiavano ritmicamente alle sponde del molo e le voci provenienti dai tavolini del bar antistante. Un giorno alla settimana veniva circondato e coccolato dalle bancarelle del mercato che si svolgeva per l’intera giornata, protraendosi a volte fino all’alba del giorno successivo; in attesa che i pescatori – ormai pochi – rientrassero colmi di pesce; pronti a inondare il porticciolo di odore di mare e morte.

In quelle mattine, il capitano amava farsi trovare in porto fin dalle prime luci dell’alba, per godere delle fasi preliminari del mercato. Amava guardare il modo che hanno le persone, di mettere in mostra ciò che gli appartiene. Pensò a quando tanti anni prima, sulla soglia della porta di Monica, faticò a levarsi il cappello, incerto se sprigionare i suoi pensieri più intimi e rivelarli agli occhi e al sorriso di lei.

Fragile e arcigno, lasciandosi prendere per mano, e apparecchiando il suo perimetro con tutto ciò che di più intimo aveva e facendo l’amore con le sue paure, custodendole tra le cosce di lei.

 Era un giovane orgoglioso e perdutamente solitario, carico di idee tanto profonde da rimanere incagliate nei meandri della propria solitudine. Un vulcano di saggezze inesplorate. Non avvezzo agli amori travolgenti, si faceva catturare dalle ragazze timide ed eccentriche. Quel genere di donne che sembrano impreparate a passarti davanti ma per qualche femminile mistero, non mancano mai di farlo quando sei più solo e vulnerabile.

-Se è vero che è la donna a farsi notare e a catturare l’attenzione di un uomo, è altresì vero che non bisognerebbe mai invitare una donna nel proprio mondo, quasi sempre inappropriato. Rendendo inevitabile invece, farsi trascinare nelle profumate stanze di una lei.-

Ed era così, che il capitano aveva vissuto. Sempre attento a captare tutto ciò che gli avveniva intorno, sempre pronto a cambiare il proprio vestito e a rimescolare ogni certezza. Subordinando se stesso al volere divino, che non chiede mai la tua opinione quando sta per metterti davanti agli occhi il destino che ti spetta. Il capitano ci credeva, nel destino. Non aveva certezze di alcun genere. -  Siamo come le onde, in balia dei venti e andiamo a poggiarci sulle rive volute dagli dei. – Diceva.

Amava la storia di Ulisse. Accettava gli eventi, senza promettergli l’eternità.

Ed era senza promesse, che metteva tutta la sua dedizione nella ristrutturazione di quell’imbarcazione senza apparenti ambizioni.

Rasò perfettamente ogni singola asse di legno, le trattò e infine le riverniciò tutte. Poi passò agli interni, seguendo la stessa meticolosa procedura. La cabina era in buona condizione, dovette semplicemente sostituire la sedia di comando e il baracchino necessario alle comunicazioni.

Non era mai stato un marinaio. Certo aveva sempre amato il mare; ma senza esservi mai entrato in rotta di collisione a tal punto da metterlo sulla retta parallela della propria vita. Ma non era un uomo che temeva l’ignoto; e con tutta l’umiltà di cui era capace, si dedicò a questa nuova attività con uno spirito da ragazzino.

Gli abitanti del villaggio non mancavano di incoraggiarlo nel proprio lavoro, suggerendogli vecchi segreti marinareschi; e i suoi modi gentili, lo resero ben presto un membro della comunità.

Come un elettrone alla periferia dell’atomo. Egli legò a sé i cuori di ogni abitante, che in lui vedevano l’incarnazione del buon vicino, gentile e discreto, che non chiede d’entrare e che vive celato da una coltre di mistero, utile a dar da parlare alla gente, senza mai però doverne sparlare.

 

La sera si ritirava in casa dopo aver fatto una sosta al bar, dove era solito bere un bicchiere di whiskey, seguito a volte da una fetta di torta. Il resto della serata lo passava in casa, leggendo e ascoltando musica classica.

Il capitano testo di LDI
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