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Quando giunse il sonno della quiete,
il caos strisciò sinuoso,
come un amante notturno,
lungo i corridoi umidi della mente,
ignorando i milioni di colpi
già inflitti da accuse sfatte
e paranoie stagnanti,
in un’eco metallica che sa di ruggine e sogno.
Fu lì
nel punto molle dove il respiro esita
che scelsi di fermarmi.
In silenzio, nudo di pensiero,
mormorai a una divinità sfuocata
una preghiera accennata,
tutta labbra e vergogna,
perché mi sfilasse di dosso
le croste della carne,
le piaghe della coscienza,
e le carezze tossiche
di questa società franta,
che in ogni suo gesto dicotomico
infligge come pena e ornamento.
Ma io,
che non ho mai abitato un polo,
né il freddo assoluto né il caldo dichiarato,
che non mi sono mai riconosciuto
né in un verbo netto, né in una croce piantata,
da che parte dovrei stare
in un mondo che teme la soglia,
e condanna chi ci danza sopra?