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C’era un filo.
Teso, sospeso nel vuoto.
Chi ci camminava sopra non vedeva né l'inizio né la fine.
In equilibrio, una ragazza, faceva un passo dopo l’altro.
E allora, si atteggiava davanti a un nullo pubblico - passi distesi, mani libere di viaggiare come meglio credeva.
Mento alto, petto in fuori, incedeva senza mai guardarsi indietro.
Aveva imparato a non guardare in basso, a mitigare le vertigini.
In equilibrio perfetto, come se il suo corpo non potesse spostarsi dall’asse di quel filo.
Ed ecco,
Un ragazzo.
Un ragazzo?
Mento alto, petto in fuori, incedeva.
Si avvicinava, perché per lui, come per lei, l’unica direzione possibile era di fronte a sé.
Lei si fermò bruscamente, trattenendo il respiro.
Lui, la guardò.
I loro sguardi si incrociarono.
Il filo si allentò.
Lei perse l’equilibrio.
Lui abbassò la testa, curvando le spalle.
Un patto non detto li costrinse a evitare gli occhi dell’altro.
Si fermarono, senza poter procedere.
Lei, improvvisamente, alzò un piede.
Tentò, goffamente, di girarsi.
Se non si poteva andare avanti, lei sarebbe tornata indietro.
Lui si mosse d’istinto, veloce.
Le prese il polso, cercando di tirarla a sé.
Voleva rimproverarla - dirle che in quel modo sarebbe caduta lei e avrebbe sbilanciato lui.
Che l’avevano già rischiata grossa una volta.
Eppure,
non disse nulla.
La osservò, in silenzio, scorgendo finalmente il suo viso.
Sentiva il filo sotto di sé vibrare, ma si spostava di poco tenendola con sé per bilanciarsi.
Non era facile da solo, figuriamoci in due - rimaneva in apnea come se buttare fuori quell’aria dai polmoni potesse eliminare quei pochi grammi che li tenevano su.
Lei fece un passo indietro, allontanandosi da lui.
Il filo tornò stabile, ma lei si sentiva intontita, come se fosse la sua testa a dondolare.
Giorno dopo giorno, di tanto in tanto, lui, fugacemente, guardava nella sua direzione.
Lei, tirava subito su il mento, notandolo con la coda dell’occhio.
Quel pubblico nullo, ora, esisteva.
Facendo finta di nulla, mostrava quanto era preparata - in equilibrio su una gamba, l’altra la stendeva parallela.
Lei ballava di giorno, lui recitava poesie senza nome durante la notte, seduto a gambe incrociate su quel filo.
Quando capitava, senza guardarla, lui le tendeva la mano per farla girare.
Il filo si muoveva, come se qualcuno l’avesse pestato a terra, facendolo muovere in un onda che la spingeva tra le sue braccia.
In fondo, si divertivano.
Usavano ogni scusa pur di far impazzire quel filo.
La sera, lei lasciava una gamba dondolare nel vuoto, mentre posava la testa tra le sue gambe e lo ascoltava parlare al cielo.
Non aveva paura di cadere, perché lui aveva imparato a bilanciarsi meglio in due.
Ed eccoli - scoordinati ma felici.
Perdevano l’equilibrio a turno, ma l’altro lo riprendeva al volo.
Quel filo si scatenava,
Loro ci ballavano sopra.
29/08/2025, 14:13