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Senza poesia
Non è difficile capire quando la poesia finisce, arriva un giorno in cui tutto quel che partoriamo non è altro che un'accozzaglia di parole vuote. Più difficile è cercare di capire quando è nata la poesia, il preciso momento in cui si è cominciato.
Penso che nei primi anni del Liceo mi fissai con la parola "libertà", mentre il prof di matematica ci spiegava cos'erano i limiti. Rimuginando intorno a questi due concetti, libertà e limiti, la mia mente (limitata e non libera) cominciò a poetare in un modo rudimentale. Così, senza neanche accorgermi, comincia a sfornare pensieri e parole: era nata la poesia.
Quando la poesia nasce, necessita di essere annaffiata, coccolata, accudita, carezzata, smussata, idolatrata, amata. Non facendo niente di tutto questo, la poesia si stizzì: "Sei un ingrato, un giorno ti abbandonerò!" Così, eccomi qua, senza più poesia, se n'è andata.
Si può vivere senza poesia, dopo ch'è stata con noi per anni, come una compagna fedele e arguta? No che non si può vivere, io la cerco, la invoco, ma ormai Lei mi ha ripudiato, e mentre cammino senza requie tra le zolle di una terra amara, rimembro la vita che avrei potuto avere se fossi stato più amorevole e devoto verso la Musa che ci rende più belli nell'ora del crepuscolo.
Bei tempi andati
In banca. Un uomo di mezza età parla con un altro uomo. "Cumpà, ti ricurdi cumu iera o Bancu di Sicilia? Nì ncuntravamu, nì salutavamu, babbiavamu, c'era n'autra vita. Ora, ca intra, mi pari un cimiteru". (Cumpà, ricordi com'era quando andavamo al Banco di Sicilia? Ci incontravamo, ci salutavamo, scherzavamo, c'era un'altra vita. Ora, qui dentro, sembra un cimitero.)