Il figlio del secolo

scritto da brunotraven2016
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Testo: Il figlio del secolo
di brunotraven2016

Il teatro è la materia primordiale dell’essere. In esso si racchiude il principio vitale, la duplice radice della vita e della rappresentazione. È da lì che si origina tutto: la coesistenza di ragione e incantesimo, la luce improvvisa dell’istinto amoroso, la tensione adolescenziale che gonfia l’anima di diavoli, di isterie, di desideri che danzano senza fine.
Da questa legge segreta — il teatro come sostanza del mondo — nascono le età della vita adulta.

Giacomo è figlio di attori. Questo è il dato decisivo, più importante di qualunque altro, l’asse intorno a cui ruota il suo essere. Da giovane, prima ancora di arrendersi alla sua vocazione libertina, avrebbe voluto dedicarsi alla filosofia e alla biologia, e immaginava di scrivere un libro dal titolo sognante ma incisivo: “La profonda teatralità di ogni essenza.”
Il principio più antico della vita, per lui, è quello istrionico: le meduse nel mare, il solco cefalico dell’embrione, il gelsomino, il rafano, perfino le malattie — tutto è scena, colore, finzione, apparenza. Non menzogna, ma maschera. Non inganno, ma mimo.
Anche la storia, nella sua essenza, è teatro: istinto profondo dell’arte e della vita. Se Giacomo non discendesse da una stirpe di attori, non crederebbe alla propria esistenza. Realtà e teatro sono per lui una sola cosa, legge assoluta, ontologia dell’essere.
Non a caso le Memorie di Casanova cominciano da ciò che è l’alfa e l’omega: il fatto incontestabile di essere stato attore, anche solo per un breve periodo. E per tutta la vita rimase tale nello spirito, anche se non calcò più le tavole del palcoscenico.

Ma ogni teatro ha la sua infanzia. E l’infanzia di Casanova è un regno di domande innocenti: che cos’è il corpo, il peccato, il piacere, l’unione carnale, il rimorso, la verginità?
Per lui, in principio, tutto questo è ancora una sola cosa — il germoglio, la felicità, la soglia delle soglie. Quando comprende di non avere più otto anni, e che è ormai escluso per sempre dal paradiso dell’infanzia, avverte la prima malinconia: la certezza che non sarà più giovane. Da quel momento, la nostalgia diventa la sua religione. L’amore — o meglio, il pre-amore — comincia con il bagno, con l’acqua che lava e rivela.

Poi arriva la lettera. Casanova scrive all’amata: senza lettere non c’è amore, senza scrittura non c’è combustione. L’anima, pizzicata dal corpo come una cetra, vibra e sanguina in parole. La lettera d’amore è un errore dei nervi, un vaniloquio sull’anima.
Il sogno, il mito, la letteratura appaiono con grazia, ma sono già compromessi. Quando il latte del mattino e il peccato diabolico si mescolano in un’unica dolce inquietudine, presto si separano: è l’inizio della raccolta dei paradossi dell’anima.
Nascono allora nevrosi brutali, mitologie brutali, menzogne brutali. Bettina è posseduta dal diavolo, e mentre santi e ciarlatani combattono dentro il suo corpo, Casanova pensa al ballo imminente. Il ballo, come il bagno, è un espediente eterno: dalle sorgenti dell’Eden alle spiagge di Deuville. Forse è un’illusione, ma nel Settecento danza e ballo sembrano essere il cuore stesso del mito casanoviano. Il ballo è meno dell’erotismo dionisiaco, ma infinitamente più di una semplice raffinatezza.

Da queste prime scintille nasce il Codex Amoris, il codice dell’amore umano.
La prima tappa è la polluzione involontaria del fanciullo: un volo di farfalla, pre-amore, pre-narcisismo, pre-lussuria. Bettina, piccola servetta, lava i piedi al giovane Casanova con tanta precisione che egli, per la prima volta, sparge il suo polline nel mondo.
Egli sceglierebbe questo amore primordiale come destino eterno: luce trasparente, innocenza viva, piacere senza spasmi, narcisismo anonimo e asessuato. Tutto bianco, tutto crema. Quel mattino, durante il bagno, le mani di Bettina che lo lavano gli tolgono insieme l’innocenza e la quiete. Le monache medievali lo sapevano bene: tra igiene, nudità e desiderio corre un filo segreto. Lavarsi il corpo, atto di vezzo e cura, era per loro una porta aperta sul peccato.

Ma la via di Giacomo è sempre illuminata da due potenze: John Locke e la stregoneria.
Perché, se si vuole vivere, non si può che essere attori, commedianti — come gli dèi, come il cosmo. Entrato nella vita, egli accetta la dualità irriducibile: la chiarezza della ragione e l’eterno abracadabra dell’assurdo. Da un lato Locke; dall’altro, le streghe di Murano e di Burano, gli esorcisti, i diavoli. È questa la condizione del Settecento, ma anche quella eterna dell’uomo: l’erotismo di Casanova vibra di duplicità — ateismo e common sense, rigore della fisica sperimentale, ma anche fuochi fatui, demoni, magie inestirpabili.
Nel suo spirito convivono Newton e il sortilegio, la geometria e l’incantesimo. E infine ritorna il bagno, simbolo e sintesi di tutto.
Il bagno è splendore misterioso e zuccheroso, punto d’equilibrio tra la forma anarchica e quella civilizzata dell’amore. È l’essenza dell’esperienza casanoviana: amore dissoluto e puro, libertino e innocente.
Il romanticismo moderno si consuma in caricatura; in Casanova, invece, il bagno è naturale, gioioso, mescola l’Eva biblica ai dottori di Venezia.
È un compromesso europeo, una smorfia eterna, un espediente più che una soluzione. Casanova lo padroneggia da maestro: dal bacile dell’infanzia alla tinozza contadina, fino alla piscina di Costantinopoli dove le donne turche sguazzano al chiaro di luna.
Il bagno è tutto: pulizia, battesimo, vanità, gioco erotico.
Il mito delle ninfe e la civiltà dell’igiene si inseguono, si confondono, si baciano.
E le monache medievali, ancora una volta, avevano ragione: occorreva premunirsi da abluzioni troppo frequenti, il peccato era in agguato nel corpo nudo che si lava.

Il figlio del secolo testo di brunotraven2016
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