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Morto un Papa, se ne fa un altro
ma se a morire è un prete di campagna, un prete nostro,
si rimane con il dolore segregato in un chiostro
in un vuoto disorientato, svuotato nel pianto.
Piangiamo tutti, e tu sei lì come pietra,
vestito delle tue parole salmodiate senza cetra,
piangiamo tutti, perché sei morto solo, spazzato via
dal sussulto di un cuore, in pochi secondi di follia.
Morto un Papa, un capo di stato,
s’avvia la paranza di un meccanismo collaudato
morto tu, Sergio, non c’è spettacolo
solo una bara e il tuo corpo steso come oracolo
e tanta gente con occhi increduli
capace di scambiare solo sorrisi tremuli.
Ora, prete nostro, che hai raggiunto quel metaforico cielo
a noi rimane solo la facoltà di memorare il tuo nome
proteggendo il ricordo di te dal tempo che stende il suo velo.
A noi rimane la scelta di seguire le tue orme
lottando per trasformare ogni tua parola in segno che permane.
L’hai spezzata per noi sognando d’essere maestro nello spezzare il pane,
ora, che più non sei visibile, attendiamo il dono del tuo vagito di risorto,
manna capace di colmare interiormente questo silenzio assorto.