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Giulietta cattura splendente
la luce e i colori negli occhi
di me (non c'è altro ch'io veda).
Son Romeo, misero schiavo
d'un senso fragrante di fiori,
ché l'aria n'è densa, pervasa.
Sempre il cuore danza nel petto
al ritmo spossante di lei che
parla e par sollievo (ma illuso).
A vederla però spirata e stesa,
pallida tra le braccia della Morte,
non nasce in me quel folle gesto
che fece suicida Romeo.
Mi si pongono avanti al viso nitide
le mani... i sensi notano che un mondo
intorno a me s'erge fuori di lei.
Son l'attore a teatro inconsciamente
smarrito nelle membra del Montecchie nell'amor suo d'una fittizia
Giulietta.
Squarcia il velo del dramma
il mio sguardo cosciente
volto in platea, colto
da una presenza nota
in prima fila, tutta
assorta nelle vicende sul palco.
Risorgono in mente improvvisi
ricordi passati di lei
lì seduta e sempre convinta
del valor mio in scena e nella vita.
Tra gli altri un momento spicca,
quand'ella, onesta e gentile, mi porse
le lodi al termine dello spettacolo,
guardando con occhi sinceri
me, quietato nell'animo
da quella brezza delicata.
Un battito di ciglia mi riporta
vivo sul proscenio.
Nel silenzio perplesso del pubblico
(per un po' non ho detto parole)
volgo il volto su lei, poi sorrido
e torno ai Capuleti con rinata
fede.