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la chiamavano dipendenza
questa mania di spiegarsi,
di farsi a pezzi pur di mostrarsi interi.
problemi che si rincorrono,
ansiosi, voraci,
si aggrappano alle pelle e restano lì,
come amanti incapaci di smettere
di farsi male.
insanguinano ciò che già brucia,
e intanto ci perdiamo
tra le voci dei corridoi,
tra le presunzioni di un amore migliore,
tra le bugie con cui ci convinciamo
di meritare altro.
quanto inganno nella consapevolezza
che l’umano è un miracolo
della propria miseria.
una spirale di rampicanti ci avvolge,
copre il mistero,
ci lascia annegare
in un bicchiere d’acqua.
e fuori, sì, fuori,
c’è un mondo che scalpita per vederci,
mentre noi restiamo a fissare la macchia sul muro
credendola un destino.
che si perdano pure le voci nei corridoi,
che non vengano mai ritrovate.
che restino sospese,
come promesse lasciate a marcire
sotto un neon troppo bianco,
tra odore di disinfettante e silenzi che gridano.
noi, invece, torniamo carne,
torniamo difetto,
torniamo sudore che si mescola a colpa.
e se questa è redenzione,
che almeno sia sporca.
che almeno bruci.
diamo vita alla nostra essenza,
anche se non è pulita,
anche se non è bella,
è nostra,
è ancora viva,
e per ora
mi basta questo.