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La verità è che tutto ha una fine. Tutto ha una miccia che brucia, e si consuma. Quando senti il fuoco è bello, ma quel fuoco scorre, va avanti. Niente è inarrestabile, il tempo è destinato a scorrere come noi siamo destinati a morire. L’umanità non riesce ad accettarlo. Cerchiamo vita sugli altri pianeti perché non si riesce ad accettare il ciclo delle cose; il ciclo dell’amore, il ciclo degli oggetti inanimati, il ciclo della vita. Vorremmo conservare tutto, ma la verità è che tutto fa muffa. Non si può strappare via il cuore, impellicolarlo e metterlo in freezer. L’ibernazione è una ricerca sfrenata di come stoppare il tempo, stoppare le emozioni, ed è questo il punto debole dell’uomo, di non riuscire ad accettare che la miccia arriva fino in fondo, e prima o poi smette di bruciare. Che la fiamma si arresti a metà o arrivi fino alla fine spegnendosi per stanchezza e sfinitezza non ha importanza perché finirà comunque per spegnersi.
Ed è cosi che la miccia del nostro amore si fa sempre più corta. Non so se ne è valsa la pena amarci cosi tanto da accelerare la fiamma o sarebbe stato meglio amarci meno intensamente ma più a lungo. Fatto sta che la miccia quando è corta lo senti, e tu lo hai sentito, io l’ho sentito e non si può allungare, o almeno puoi provarci quanto vuoi, ma la fiamma scorre. E quando la miccia è corta cambia la musica, le note dissonanti rimbombano sempre più forti, i violini stridulano, le scarpe si infilano con difficoltà, i muscoli si afflosciano, la mela si annerisce, il sole ha una luce sempre più chiara fino ad arrivare ad impallidirsi. Io che cazzo ne so se calpestare la fiamma fino a soffocarla sia la scelta giusta. Io che cazzo ne so di come si fa a vivere senza fiamma.
È incredibilmente strano lasciarsi andare poco a poco ma inserire la password del computer ogni giorno che è tua omonima.
Quando la miccia è corta la confusione intorno sembra sempre più forte e le macchine suonano il clacson sempre più forte, tutte insieme, ogni centimetro in più della miccia che brucia si aggiunge un clacson, poi due, poi tre, poi trenta, poi cento, un’orchestra di chiasso, ma io non trovo più i tappi per le orecchie, anche se li cerco disperatamente, ed ora tra questo caos ogni tua immagine mi sembra sempre più marcata, ogni volta che vedo l’iniziale del tuo nome sento qualcosa.
Vorrei ibernarmi, vorrei urlare tanto da superare il chiasso dei clacson, vorrei allungare la miccia.