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Le vene cave e poi l’altre m’annaffia,
Con fluido rubino il viso m’irrora,
Di concupiscenza n’è il vento a prora,
S’insinua in corpo, mi nutre, mi graffia.
Il gran nemico, la Noia, dissecca
Ogni Passione che da lui ne sorga,
Finché incontenibile erompe e sgorga
E Desideri e Voler di sé tecca:
Lo stillicidio che lento mi scorpora
Bollir mi fa o raggelare il midollo,
Il freddo granito, or sazio e satollo
Nutrito ha infine la calda mia porpora.
Nell’ossa spremuto son d’ogni stilla
Privo ormai di quell’ambrosia scarlatta;
Per gl’occhi teneri ch’hai da cerbiatta
Ancora profondo il plasma zampilla:
Pur viva è la fonte, ferroso sangue,
Che inspira vita in tal fredda carcassa,
Non v’è metallo che il derma trapassa
Che faccia dir: “Ecco, infine si langue”.
Di rubra fiamma ogn’arto si cosparge
Con quel licor che s’addensa di rosso,
Il suo calor che m’ha tanto percosso
Dall’impregnate membra al Ciel si sparge.