pillole

scritto da cassy
Pubblicato 5 mesi fa • Revisionato 5 mesi fa
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punteggiatura spesso usata in modo improprio. nessuna lettera maiuscola. più che un testo vuole essere un flusso di coscienza con tutte le imprecisioni caratterizzanti che questa scelta comporta.
- Nota dell'autore cassy

Testo: pillole
di cassy

non mi piace fissare le cose. meno le persone. ho sempre ravvisato una certa violenza nel verbo "fissare". mi piace notare le cose, le persone, ma non fissarle. non mi piacciono proprio le cose fisse, stabili. credo di non essere nemmeno capace di risiedere nella fissità. nemmeno di quella di uno sguardo. sono troppo instabile per certe fermità. in effetti si è mai visto qualcuno chiedere a una tempesta di non muovere le cime degli alberi. che scellerataggine. ecco perchè non mi piace dire che fisso le cose. preferisco a uno sguardo fisso più uno attento. l'attenzione implica in se una certa fissità, ma non dà l'idea di essere così tanto duratura come quella di uno sguardo fisso. l'attenzione acquista un significato solo perché non è il suo contrario. un bambino attento è lodato perché non è disattento. "ma che bravo che sei Andrea, mica come quel tuo compagno che non sa nemmeno come si sta fermi un attimo sulla sedia". la fissità invece ha un valore intrinseco. una foto fissa la distingui anche se non ne hai mai visto una mossa e lodi l'autore perché è stato cosi bravo a tenere la mano ferma e non farsi travolgere dall'euforia dello scatto di un paesaggio mozzafiato. andrea invece lo lodi solo perchè nella sua stessa  classe c'è un marco o una flaminia che sembra meno attento o attenta di lui, forse perche piu iperattiva o rumorosa  o tutte quelle cose che tanto piace ai bambini compreso girare attorno ai banchi quando il momento è dei piu inappropriati. insomma andrea è piu bravo perche rientra in degli schemi che abbiamo associato alla categoria  "attenzione" su base, tanto per fare i sapientoni, empirica, caratteristiche associate al concetto di "attento" a posteriori solo dopo aver volto una attento sguardo alla classe di bambini. andrea è attento perche immobile sulla sedia e non rumoroso. ma se non ci fosse andrea nella classe forse allora il bambino piu attento diventerebbe simone, silenzioso come andrea ma a cui piace fare lunghe passeggiate anche durante le ore di lezione. ma se al posto di una classe da guardare ho una foto di un paesaggio e una fosse piu fissa di un'altra, se pure io vedessi anche solo quella piu mossa mai penserei di dire che quella è fissa solo perche  non ho fatto esperienza di una cosa piu fissa di quella che ho sotto gli occhi. noto subito la mancanza anche se non ho avuto prova del concetto nella sua pienezza e quindi perfezione. ecco perche non mi piace fissare le cose. e quanto ci piacciono gli schemi e le massimizzazioni. non a me però. ecco perche non mi piace fissare le cose. meglio non mi piace dire di fissare le cose. la fissità non si addice alla natura umana: troppo a priori, troppo sempre così piena nel suo concetto, troppo definizione e troppo alta per abbassarsi alla realtà pratica. ecco perche mi piace dire che guardo le cose. ecco perche allo sguardo fisso preferisco quello attento. l'attenzione è conforme alla natura umana: a posteriori, mai piena nel suo concetto, non troppo definizione per abbassarsi alla realtà pratica di cui si nutre e in cui cresce nell'esempio. chissa che forse dovremmo volgere uno sguardo un po piu attento alla fenomenologia delle cose. chi di voi puo testimoniare di aver visto un uomo fisso se non rubato alla realtà da una foto che l'ha racchiuso in una cosa facendogli acquisire la parvenza di fisso che il soggetto in se non ha? la fissità è una: la foto è una, poi sono io che ne posso fare i piu ampi usi, ma acquista pluralità di significato solo tramite la mia persona. l'attenzione non è una. come l'uomo non è uno. l'uomo che vuole (non è) essere uno e prova piacere nello sguazzare nella sua fissità è un uomo perso e una cosa trovata. non credo che nessuno di noi voglia svegliarsi un giorno nel corpo di un vaso. che dico, sagoma. Parole parole parole.
sto giusto appunto osservando un vaso, rotto. è successo l'altra mattina. lho urtato per sbaglio ed ecco fatto il danno. sorvolo sull'ira funesta di chi quel vaso lo aveva comprato. "si mamma sto bene non preoccuparti nessuna parte dell'epidermide lesa" avrei voluto rispondere ma nessuno mi ha fatto una domanda per cui potesse valere come buona una risposta simile. si sono importante. importante come quel vaso rotto che non è ancora stato spazzato via da terra per troppa noia. o perché sono stati spesi troppo soldi per averlo e ora buttarlo pare buttare via anche quelli. o perché trattiene ricordi. prospettiva piu fiabesca e degna di essere riportata per ultima giusto per finire in dolcezza. quindi esplicitiamo il sillogismo: il vaso è rotto io sono rotta io sono il vaso (si polizia del sillogismo lo so che  è sbagliato ma lasciatemi pensare) quindi le persone mi spostano ma non mi scartano o perché è una manovra che richiede troppo impegno, sai per quel "e che  io non mi trovo piu con te perché blablabla" che implica almeno un po' di creatività e sforzo attoriale; o perché lo scarto definitivo da parte della persona x sarebbe tanto ai miei danni quanto ai suoi: lo schiaffo per chi è eliminato arriva assieme a quello per chi elimina; chi vorrebbe spendere tante fatiche in qualcosa che poi non si conclude come avremmo sperato solo perché si conclude. paradossale se ci pensi: cerchiamo il lieto fine ma il senso del lieto annulla il senso del fine. quindi tutti quando perdono qualcosa non sono tanto dispiaciuti di ciò che lasciano ma di come non siano stati capaci a tenerselo. insomma tu che  viene scartato manco fossi un concorrente di giochi a quiz sentiti meno solo non sei l'unico a sentirsi un fallimento perché non hai fatto abbastanza. qual era l'altro. ah si, i ricordi; quindi o una persona non mi scarta perché in passato qualcosa di buono per lei  sono stato. come quando diventi grande e grosso ma la mamma  decide di non buttare  i tuoi vestitini reparto 2-4 anni perché che peccato sarebbe non poterli piu guardare e ricordare. credo che la mamma si dimentichi un po' della tenerezza di quei vestitini quando ai capricci per il lecca lecca alla fragola la figlia sostituisce gli x per uscire la sera con le amiche e fare un po' piu tardi del solito (perché gli x? perché secondo te gli ultimi si possono davvero chiamare capricci?). che brutta  parola. capriccio. ho cercato online. facciamo un salto temporale e immaginiamoci in una Londra uggiosa fianco a fianco del poeta "essere o non essere questo è il dilemma". all'improvviso sentiamo un bambino che piange ma non capiamo per cosa e la mamma che scocciata gli dice "basta Cosimo non fare bizzarrie". mi metto a ridere adesso come allora. forse anche William avrebbe riso con me. e non per l'uso di un termine arcaico. il bambino che chiede una cosa alla madre e la madre che lo accusa di bizzarrie o piu moderno capricci. solo perché ha espresso una voglia con una certa insistenza. solo perché questa voglia è formulata da una mente che  ancora non può sapere che un intero pacco di caramelle è un mal di pancia assicurato. in fondo gli adulti fanno la  stessa cosa. si esprimono (alcuni purtroppo). insistono. discutono. solo che la loro non è una testa vuota e come tale intendo che ha tutte le informazioni necessarie per partorire un'idea quale "mangiare un pacchetto  di caramelle intero fa male" o ancora "uccidere un'altra persona è male" ma non è detto che lo facciano. possono, a differenza  dei bambini, ma spesso l'esito non è tanto lontano da quelli che dicono di educare. chi fa davvero bizzarrie allora? il bambino che non vuole stare nel passeggino o l'adulto che ha deciso che quel posto sarà occupato dalla sua auto nonostante l'icona ben visibile dei disabili posta proprio lì sopra la strada, categoria cui non fa  parte perché a quanto dice lui di handicap non ne  ha  nemmeno di cognitivi. non mi stupisco. forse è pure giusto. usare la testa con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione a oggi è una bizzarria. sì direi proprio che è un capriccio. e insomma sempre a criticare stai. i bambini giocano alla lotta e  si mettono a piangere  se colpiscono il loro compagno di giochi e questo inizia a manifestare dolore procurandone altrettanto ai timpani di tutti coloro che sono nel raggio di 20 metri. il bambino è evidentemente dispiaciuto. non se lo aspettava. come poteva prevederlo prima di averne fatto esperienza. gli adulti l'esperienza ce l'hanno. poi iniziano guerre e si sorprendono dei numeri delle liste di caduti. ilare. 

crash. l'ho sentito. il tonfo del vaso quando è caduto a un'altezza di quasi mezzo metro da terra. sì, quando io lho fatto cadere, non ho intenzione di deresponsabilizzarmi. meglio da una parte. ha interrotto la noia della  giornata. una fonte di preoccupazione finalmente. non mi piaceva nemmeno quel vaso. meglio così, ho la scusa per comprarne uno nuovo. è piu veloce l'attaccamento o la sostituzione? secondo me quanto è piu veloce l'uno quanto lo è l'altro. se hai un buco nei pantaloni lo copri con una nappa. perché non si dovrebbe fare anche con tutto il resto. mi sto rendendo conto adesso della mia arroganza. "quel vaso lho comprato oggi al mercato e ho deciso che rimane la vi piaccia  o meno" avevo detto il giorno che lo avevo portato a casa. già allora non ero convinta del mio acquisto. pretendevo che fosse protagonista della scena una cosa che non apprezzavo fino in fondo io per prima. come puoi pretendere che le altre persone manifestino gradimento per una cosa che intimamente non apprezzi neppure tu che la proponi. un po' come uno di quei venditori porta a porta "signora le presento l'ultimissimo modello di aspirapolvere si fidi di me non ne rimarrà delusa" e poi sono i primi a usare la scopa in casa. con la tecnologia per le cose piu basilari non si trovano si dicono. perché dovrei trovarmi io allora. siamo tutti venditori ambulanti di noi stessi. ci proponiamo alla gente come se fossimo un affarone ma poi nessuno ci sottrae ai nostri stessi giudizi. poco costruttivi. molto da "voglio compatire me stesso" e poco da "voglio fare qualcosa per  diventare la migliore versione di me stesso". sì infatti parliamo di noi proprio come un'aspirapolvere. io mi sento la versione 2.0 di me. aspetto l'aggiornamento. credo che debba iniziare a mettermi sul mercato a prezzi piu vantaggiosi o chi mi si piglia. sì insomma non posso mica pensare che qualcuno mi noti in questa foresta di nuovi modelli di ultima generazione. devo abbassare un po' le mie pretese se la mia priorità è davvero quella di trovare qualcuno. ho detto qualcuno non x, appunto. dovrei inventarmi anche uno slogan. un jingle di quelli che si stampi nella mente. piccola nota: parlare per metafore è sottovalutato. quindi ho deciso di parlare per metafore. dire le cose esplicitamente è poco d'effetto. e troppo da audaci. l'asserzione sottile, quella che io butto ma che do la responsabilità agli altri di cogliere è piu interattiva. e piu tutelante. non è colpa mia se qualcosa si fraintende. si lo so che avevo detto che non mi sarei deresponsabilizzata ma chi non cambia idea è una persona poco intelligente. parlare per metafore però non e solo una scelta stilistica. in verità nasconde una convinzione che va al di là di quello che io preferisco e basta. ahimè qua dovrò essere esplicita. credo che dovremmo sentirci tutti dei vasi o degli aspirapolveri. e non solo perché dobbiamo contenere o aspirare cose. intendo come oggetti. e come tali abbiamo il valore che  gli altri ci attribuiscono. tu paladino del "sono io ad attribuire un valore a me stesso" e tu sostenitrice del "ognuno ha un valore intrinseco" dopo aver detto queste cose torna poi a scuola e dimmi come ti hanno valutato la prova di matematica. e tu altra torna a lavoro e dimmi alla fine se l'hai ottenuto quell' aumento oppure no. spero per te di sì. valutazioni. quanta soggezione. non impegnarti a riscrivere lo schema. se devi viverci immerso almeno fallo bene. limitati a essere apprezzata come vaso per la tua bellezza o come aspirapolvere per la tua efficienza. il tuo valore non è che quello che gli altri ti attaccano al petto stile prodotti venduti all'asta. io oggi mi sento come un dipinto di Van Gogh nel periodo che ha visto l'autore ancora vivo. apprezzabile, forse, ma non apprezzato. per specifica la parte in cui inizio a essere apprezzata dopo la morte del mio autore è da riportare per fedeltà all'analogia ma le mie speranze a riguardo sono tutt'altro che verdi. anche Kafka è arrivato a dubitare del proprio talento. forse davvero si sentiva lo scarafaggio di cui parlava. meno ipocrisie piu verità: se ricerchiamo tutta la vita l'approvazione degli altri o ci piace spendere tutta la vita per il cammino di Lourdes senza vedere la statua della madonna, o noi siamo i prodotti e gli altri i battitori. e quanto rimbomba quel martelletto " 60 e uno 60 e due 60 e tre venduto allo scarafaggio lì in fondo" quello di prima di Kafka  per intenderci, anche se a chi importerebbe della valutazione che esplicita uno scarafaggio. povero scarafaggio. tanto si vuole male che è in cerca di qualcosa che apprezzi piu di se stesso. un dipinto di Van Gogh per esempio. l'essenza dell'economia. l'essenza dell'amore. perché si chiamerebbe mercato matrimoniale se qualcuno di piu sveglio di me non avesse notato tutte le analogia del caso tempo fa. economia: ricerca di qualcosa che apprezzi (piu di stesso? compri una cosa perché utile - quante volte ti sei sentito inutile- o perché bella e alla tua vista senza difetti -quante volte hai ravvisato un tuo difetto?- forse quel punto interrogativo non serve). amore: ricerca di qualcosa che apprezzi (piu di te stesso?) e che ti apprezzi a sua volta per almeno una decima parte di quanto tu possa fare. conciso. spiegato il motivo per cui spendere 180 euro nell'acquisto di un paio di scarpe fa meno paura di presentarsi a un blind date. tutti preferiscono una battuta all'asta tradizionale a una a carte scoperte. insomma se io ti avessi dato una valutazione maggiore di quella che tu hai dato a me? che senso avrebbe continuare il gioco stando a queste regole. però le persone continuano a mandare avanti l'industria cinematografica di film horror. le persone continuano a scegliere l'adrenalina al certo, anche se somministrata a piccole dose, come si fa  per sviluppare una tolleranza. ecco perché la gente compra più spesso un piatto di quanto non si impegni in una relazione. ma se a chiunque si chiedesse "cosa da senso alle tue giornate?" allora quella risponderebbe "Pietro" o "Anna" o "il mio migliore amico" non "il piatto che  ho acquistato all' Ikea l'altro giorno con tanto di scontistica applicata. 
ho sempre odiato andare dall' oculista; sarà forse per quelle gocce che mi fanno sempre lacrimare l'occhio mi dicevo. poi mi iniziarono al mondo delle poltrone reclinabili e degli strumenti di aspirazione per l'eccessiva salivazione. il dentista per essere chiari. e proprio non capivo come preferissi farmi torturare  un dente con affari di cui nemmeno voglio sapere il nome piuttosto che dire all'oculista "a b c d h g r f" :ripetere ad alta voce le lettere dell' alfabeto non ha mai fatto male a nessuno. "repetita iuvant" soprattutto se all' età di 20 anni devi ancora rifilarti tutta la filastrocca dall' inizo per sapere  se la r viene prima o dopo della p. insomma io proprio non me lo spiegavo.  i miei nervi non erano direttamente implicati come quando ti tolgono una carie. pensandoci lo erano solo quando dovevo rassegnarmi passivamente a ricevere quello sbuffo violento di aria nell' occhio da parte di uno di quei macchinari malefici dell'oculista. all' inizio pensavo fosse per la clessidra, quella che mi aveva regalato il dentista il primo giorno che andai al suo studio. mi ha comprata ecco tutto. la sabbia rosa fluo che si sposta da un estremo all'altro che spettacolo, una calamita per una bambina. però anche l'oculista mi aveva offerto il suo pegno per la mia fiducia: pezze colorate per pulire gli occhiali. strano. mi ci sono voluti solo 20 anni per capire. c'è speranza per tutti siate sereni. odiavo la poltrona reclinabile marrone e non quella verde perché l'oculista mi lasciava quello spazio di libertà che il dentista mi concedeva giusto per accusargli eventualmente dolore nel caso la bocchetta dell'aspiratore mi finisse  accidentalmente sulla lingua provocandomi fastidio. dovevo parlare. non che quello fosse il problema  in sé. sono stata sempre un fiume in pena, le parole non mi sono mai mancate. dimmi qual e il tuo film preferito e ti intavolo un discorso di tre ore sulla psicologia che si cela dietro il personaggio. il problema è che dovevo parlare non a vuoto. non era di un film quello su cui dovevo esprimere un' opinione. era la mia dottrina. quel "sì, l' h la vedo la r di meno" o "no, l'ultima fila non la vedo per niente" avrebbe determinato il mio modo di vedere le cose per i seguenti 12 mesi. un'eternità. non si dovrebbero apporre alla coscienza  di una bambina simili responsabilità. risultato: andavo nel pallone e non appena indossati i nuovi occhiali mentivo a mio padre leggendo quello che ci era affisso sui cartelli inventando e azzeccando con un po' di fortuna i nomi riportati spesso a caratteri cubitali. parlare a vuoto. lo faccio adesso per  accontentare la me bambina che ha perso troppi minuti preziosi dall'oculista. odio le cose di cui sento il peso del dopo. odio la catena causale perché non possiamo fermarci solo al primo anello. odio decidere per me per gli altri che stasera si mangia la pizza non il panino figuriamoci scelte di ben altra entità. odio il carico della possibilità. lo odio però poi alla fine decido sempre  per me e per gli altri della pizza piuttosto che del panino. lo odio però alla fine devo sempre dire la mia e qualche volta ci scappa anche il tono impositorio quando la convinzione straripa. lo odio pero continuo ad andare dall'oculista. lo odio ma più delle cose che dipendono da me odio quelle che sfuggono dalle mie previsioni. parole diverse per dire la stessa cosa. odi et amo come lo faccia forse chiedi non so ma sento che accade e mi tormento. vivo nel disordine per non limitarmi mi dico ma poi dormo alla stessa ora  metto le posate sulla tavola allo stesso modo abbino la stessa maglia sempre allo stesso paio di pantaloni. al punto che il disordine di cui tanto mi faccio paladina perché "come puoi ricercare le tue risposte in quelle già date da altri" non so se sia più partorito da una convinzione tanto ardente o da una voglia tanto scaduta. mi ricordo la prima volta che sentii parlare del labirinto del minotauro. avevo 11 anni. agli altri bambini faceva paura, la sua  immagine di perdersi dentro e smarrire una traccia di una via di fuga. a me affascinava. 5 anni dopo shining. non servono presentazioni. scena finale in un labirinto ghiacciato. aggiudicato uno dei primi 10 posti nella mia personalissima classifica. un pensiero malsano il mio. perditi per trovarti dicono alcuni. mettiti in dubbio per ricercare la vera verità. e se io mi perdessi per il solo gusto di perdermi? perché nessuno lo ha mai considerato. si mangia per fame ma anche per gola; si beve per sete ma anche perché il vino e così buono; ma allora perché non perdersi giusto per farlo. se davvero gli uomini inseguono la lietezza e il divertimento nella vita, quanto di piu lieto di tracciare una strada che ti possa far dire che ce l'hai fatta "nonostante". e se non ce la fai? pazienza. non ce l'avresti fatta comunque. non è il labirinto il problema ma chi lo attraversa. chi rimane lontano dal labirinto lo fa per non esserne inghiottito, inconsapevole che aggirare per paura di attraversare ti inghiottirà lui nelle lussuose vesti dell'autocommiserazione. perché sono l'immagine che a me dipingo. "in fondo non ce l'avrei fatta" e questa che risuona come giustificazione sufficiente ci permette di dormire a sogni tranquilli. almeno fintanto che non è il minotauro a iniziare a incalzarci. è lì forse che ci si rende conto di come un approccio attivo in cui decido consapevolmente quando e con cosa scontrarmi mi avrebbe arrecato più possibilità di vittoria rispetto a un improvviso avvento di un che di indesiderato nei cui riguardi non posso che essere tanto impreparato come Arianna una volta assestato il colpo dell'abbandono del suo amato. 
trovate il vostro filo e usatelo prima che il tempo sia tanto avaro con voi da non permettervi neppure di sbrogliarlo.

quanto cinismo. 

pillole testo di cassy
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