Svevo: tra letteratura e alchimia

scritto da Miss Nobody
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SVEVO: TRA LETTERATURA E ALCHIMIA

L’ultima opera di Italo Svevo[1], ‘’La Coscienza di Zeno’’ rappresenta il riscatto verso l’inettitudine, intesa come incapacità di vivere. Volgendo uno sguardo più approfondito all’opera e paragonandola con gli altri due romanzi del poeta, possiamo notare come ogni opera di Svevo indichi una fase precisa della sua vita:

-        dapprima, con ‘’Una vita’’, egli intende descrivere la sua condizione di incapace e perdente, attraverso la storia di Alfonso Nitti, impiegato piccolo borghese che sogna il successo letterario (proprio come lo stesso Svevo) e che finirà per suicidarsi;

-        successivamente, in ‘’Senilità’’, egli si racconta attraverso Emilio Brentani, impiegato come Alfonso, ma che già gode di una piccola fama letteraria e che, anziché essere vinto dall’inettitudine, inizia a sviluppare un certo distacco dalla sua vita, dal suo corpo mentale e dal suo corpo emozionale, finendo, però, con l’isolarsi da tutto e da tutti (in realtà, Svevo sta iniziando a sviluppare l’IO OSSERVATORE- colui che osserva l’apparato psicofisico dall’esterno, senza giudicarlo, e che serve per poter arrivare all’apertura del Cuore);

-        in ultimo, con la Coscienza di Zeno (dopo aver creato l’Io Osservatore), Svevo si riscatta dell’inettitudine, – a suicidarsi, infatti, sarà il cognato del protagonista, Guido, persona poco affidabile che perde il suo patrimonio investendolo sproporzionatamente. Zeno, il protagonista, è un uomo in cammino verso il risveglio, che redige quotidianamente un diario (come consigliato dal suo psicanalista) e che, alla fine, si dichiara completamente e orgogliosamente guarito interrompendo, così, la terapia con il dott. S, che per vendetta pubblicherà il suo diario. Attraverso il diario, Zeno ripercorre la sua vita, fin dall’infanzia, cercando di capire le origini delle sue nevrosi, le origini del vizio del fumo e cercando di smascherare l’ipocrisia della piccola borghesia, attraverso il conflittuale rapporto con il padre. Egli sarà un vincente, capovolgendo, però, il concetto di <> e <>: i malati, ora, saranno le persone sane, in quanto ottuse e conformiste; i sani, invece, saranno coloro i quali sono stati sempre considerati ‘’malati’’ dalla società, i ‘’diversi’’, gli anticonformisti.

Svevo, nelle sue opere, ha specificatamente descritto il suo percorso alchemico:

-        inizialmente inetto, viene vinto dalla vita e si suicida: questa fase, in alchimia, viene identificata come NIGREDO, ossia come inferno. Può essere, infatti, paragonata al girone infernale di Dante. Nella nigredo, l’essere umano è chiamato a distruggere il suo io, le sue personalità e le emozioni cristallizzate nella sua psiche. E’ un vero e proprio inferno da attraversare. Si prova e si riprova finchè non se ne esce vincenti (il protagonista del primo romanzo di Svevo, infatti, si suiciderà);

-        superata la fase di nigredo, nel secondo romanzo possiamo notare come Svevo inizi a risvegliarsi: inizia la fase ALBEDO, fase di distacco e di costruzione dell’IO OSSERVATORE (come già detto precedentemente). Nella simbologia alchemica il piombo della Nigredo durante l’Albedo diviene argento. Attraverso l’auto-osservazione, l’alchimista inizia a sviluppare il <> e ad essere presente nel qui e ora. Come il protagonista del secondo romanzo di Svevo, che sceglierà di non togliersi la vita e che si distacca osservando la sua vita ‘’da fuori’’, sul piano emotivo l’alchimista non scappa o non reagisce più di fronte alle influenze esterne, impara vederle e ad osservarle per dissolverle.;

-        ultima fase del percorso alchemico è la RUBEDO, fase in cui lo spirito si manifesta attraverso l’individuo. In questa fase, non esiste più la separazione tra sé stesso e l’altro, poiché in contatto e consapevole che la stessa fonte di vita dentro di lui è in tutto il creato. L’alchimista durante il giorno rimane presente a sé stesso. In questa fase, Svevo, inserisce il protagonista del suo ultimo romanzo, Zeno. Colui che ha reso coscienza di essere stato incosciente tutta la vita. Zeno non ha ancora raggiunto l’illuminazione, ma, attraverso anni di terapia e soprattutto attraverso la redazione quotidiana del suo diario, è riuscito ad aprire le porte del Paradiso, che potrebbero portarlo all’identificazione con il suo Sé superiore.





[1] Italo Svevo, pseudonimo di Aron Hector Schmitz (Trieste, 19 dicembre 1861 – Motta di Livenza, 13 settembre 1928), è stato uno scrittore e drammaturgo italiano. Di cultura mitteleuropea, ha tratto il suo pseudonimo dalle due culture, italiana e tedesca, che formarono la sua educazione. Impiegato di banca, attività a cui fu costretto per motivi economici, iniziò a cimentarsi con la scrittura in articoli e racconti. Nel 1892 scrisse il suo primo romanzo, Una vita, a cui seguirono Senilità (1898) e la sua opera più celebre La coscienza di Zeno nel 1923 che lo pose all'attenzione della critica. Formatosi sugli scrittori realisti francesi, sulla filosofia di Schopenhauer e gli scritti di Sigmund Freud, Svevo introdusse nella letteratura italiana una visione analitica del reale, sottoposta a una continua interiorizzazione, sempre attenta ai moti della coscienza. L'indagine sull'inconscio, spesso mutuata dall'ironia e dal grottesco, diventa protagonista delle sue opere che presentano sempre un eroe negativo, preso da una "malattia" che altro non è che la condizione di crisi esistenziale di una società priva di valori.

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