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Anni fa, al termine di in una nuotata, uscivo sgocciolante dalla piscina quando un uomo dal pesante accento genovese mi fermò e mi disse: “ Tu devi venire a nuotare con la squadra”. Avevo poco meno di cinquant'anni: troppo vecchio per nuotare in squadra, pensai. Io, che avevo sempre praticato il nuoto in solitario, espressi i miei dubbi. Ma il coach, Bartolo era il suo nome, replicò deciso: “Vedo che sei un bravo nuotatore”.
Intrigato, e incapace di resistere all'adulazione di un tecnico del settore, cedetti e mi unii al suo gruppo di nuotatori, modificando sensibilmente gli orari che regolavano la mia vita fra il lavoro e gli impegni familiari. Gli allenamenti iniziavano a giorni alterni alle cinque e mezza di mattina, quando la maggior parte delle persone normali è rannicchiata sotto le coperte. Ma non importava, perché per quanto sonno potessimo avere, al termine dell'allenamento eravamo sveglissimi, addirittura euforici. Si godeva del cameratismo che si era creato, uniti da desiderio comune di migliorarci, anche se eravamo a livelli diversi.
Un giorno alcuni di noi iniziarono a lamentarsi degli scarsi progressi nei tempi di nuotata, a mugugnare che i tempi erano sempre gli stessi.
Bartolo, che era un filosofo del nuoto, sorrise e disse: “Siete tutti confusi! La velocità non è un obiettivo: è il risultato di una tecnica bella e perfetta”. Per lui la cosa più importante era l'eccellenza, l'efficienza della bracciata, il corretto alternarsi del respiro col movimento delle braccia. Quando padroneggiavi quelle, sosteneva, la velocità sarebbe seguita in modo naturale ed era semplicemente l'effetto collaterale del nuotare bene.
Ricordando queste parole, mi accorgo che in esse c'è un insegnamento che va al di là della piscina. Volevamo nuotare più veloci, più intensamente ci provavamo più la velocità si teneva alla larga. Lo stesso succede con la felicità: tutti vogliamo essere felici, ma più direttamente ci impegniamo a trovarla più ci sfugge. Un fenomeno questo che molti sperimentano sulla loro pelle. Pensare, per esempio, alle vacanze. Siamo eccitati all'idea di andare in spiaggia o in montagna, al rilassamento che seguirà con tanto tempo libero a disposizione. Iniziamo a pianificare ciò che faremo, tutto quello che dovremo portarci, quali strade sarà meglio percorrere, quali ristoranti frequentare. Non passerà molto tempo prima di sentirci stressati da tutte queste incombenze.
Le ricerche dimostrano che pensare troppo a come essere felici produce l'effetto contrario. I ricercatori dietro a questo studio, chiamato “Il tempo che svanisce alla ricerca della felicità”, hanno diviso in due gruppi i partecipanti secondo criteri casuali: il primo gruppo doveva scrivere dieci cose che potevano renderli felici, mentre l'altro dieci cose per dimostrare che erano felici. A tutti i partecipanti veniva chiesto in che misura fosse la percezione del tempo sfuggito di mano e quanto fossero felici in quel momento. Solamente quelli del primo gruppo si sentivano a corto di tempo e nettamente meno felici. Una causa rilevante di questi scompensi è stata attribuita alla continua ricerca di app per condivisioni virtuali (facebook, whatsapp e simili), o scaricare applicazioni per apprendere funzioni che facilitino l'esistenza, creando situazioni di stress, e fanno dire ai ricercatori che si sta evolvendo una popolazione di esauriti.
I rimedi che indicano stanno tutti nella socialità reale, frequentare amicizie, fare qualcosa che ci piace fare insieme. Gli studi dimostrano che le buone relazioni sociali sono indicatori più concreti di una vita felice.
Il che mi riporta al nuoto. Quando nuoto ho la sensazione di avere tutto il tempo del mondo, la vita di tutti i giorni svanisce nel momento in cui entro in acqua con la squadra, uniti dallo forzo fisico, dagli scherzi e dalle battute sulla vita. La felicità sta nelle piccole cose.
La tecnica è migliorata grazie a Bartolo. Da qualche anno non è più fra noi ma i suoi insegnamenti restano nella fluidità della nuotata, nella gambata più costante e, nonostante l'età che avanza, spesso riusciamo ad essere più veloci
Alcuni affermano che il nuoto è un ipnotico naturale in grado di stimolare concentrazione e nostalgia. Del nuoto in solitario in mare aperto sperimento la veridicità di queste affermazioni. Il corretto alternarsi di bracciata e respirazione innesta il pilota automatico, la testa si svuota, la mente si distacca dal corpo, la propria biografia si attenua fino a scomparire e al suo posto si materializza una successione di immagini assopite, fino allora nascoste negli angoli più remoti della memoria, acquistano lucidità e risvegliano ricordi perduti nel tempo.
Se non è questa la felicità, le somiglia tantissimo.
N.B.
Il testo comprende in parte un articolo sul nuoto pubblicato qualche anno fa sul quotidiano “La Repubblica” per sottolineare molti aspetti comuni di chi pratica il nuoto in modo abitudinario e condivide le stesse sensazioni.