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Nereide
Vedo un ammasso di cielo
nei tuoi occhi grigi, tu che
levi il lamento della pioggia
sulle mie vesti non ancora umide.
Odori del mare salato e
lattigioso in burrasca, tu che
coi baci mi slavi sul viso
la salsedine dell'oceano.
Sulla riva schiuomosa ove il
mare bagna il cielo, tu ridi
scalza e spettrale, chinata al maestrale.
Ridi e inondi di lacrime un
orizzonte che temevo chiuso,
uno scroscio che sapevo cessato.
Mi sussurravi che il vento
sarebbe scemato, placato dall'onda.
E invece ti guardo, e il mio
cuore brama in tempesta.
Il Desìo si nutre della violenza dello scrosciare,
e mai prima d'allora m'era parso così oscuro questo bianco mareggiare.
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Inizialmente, era di mia intenzione scrivere qualcosa di estremamente erotico e crudo: volevo rappresentare le Nereidi come ninfe subdole e proprie di un'arte seduttrice violenta, caotica come lo è mare in tempesta; creature dalla pelle bianchissima e dalle carnose labbra, dai capelli corvini e dal collo sinuoso decorato dall'oro e dalle preziosità perdute nei fondali dell'oceano.
Poi però le visioni che ho della spiaggia, piatta, celestiale, che visito sempre in estate hanno preso il sopravvento. La nudità pericolosa della poesia si è così mutata nell'annunciarsi grigio della tempesta, quieto solo negli occhi di una Nereide non più maligna, ma spettrale, quasi un riflesso nell'acqua.
E la tempesta erotica, travolgitrice dei più crudi sentimenti, si è trasfromata semplicemente nell'amore più intenso.
Quello violento, simile alla tempesta schiumosa di un mare già profondo a riva.