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Il bosco era la sua dimensione innocente in un mondo di illusioni e artifici dello spirito, dove le bambine della sua età vagavano in cerca di una identità che lei aveva acquisito dai monti, dalla campagna, dalla sua famiglia così diversa da tutte le altre.
Lucrezia aveva nove anni e la sicurezza di chi avesse già deciso cosa fare della propria giovinezza, prima che i temporali dell'adolescenza si facessero sentire con i loro acquazzoni bollenti e le nubi impenetrabili del cambiamento.
Lucrezia amava la natura, gli animali della fattoria, i frutti di stagione, il sole di maggio e le noccioline caramellate adagiate su una foglia di alloro che preparava sua nonna.
Lucrezia giocava a perdersi nel bosco non lontano da casa e del resto non sapeva nulla, non gli interessava, non ne avvertiva il bisogno. Pregava con la sua famiglia, dava da mangiare agli animali, aiutava nella semina, prendeva parte alle faccende domestiche e andava a scuola. Giù, al villaggio, sempre non lontano da casa.
Un giorno, proprio a scuola, la sua compagna di banco le disse che al di là dei monti, verso il mare ma ancora più in là, c'era una guerra, una cosa brutta, tante bombe, molte case distrutte, tantissima gente in fuga verso il mare e verso le montagne. I maestri, il sindaco, le autorità, consigliarono di fare attenzione d'ora in avanti, perché chi fugge, se può, non va mai molto lontano da casa.
Lucrezia e la sua famiglia non avevano la tv in casa né gli smartphone, la loro religione diceva che non ne avrebbero avuto mai bisogno, ma il padre iniziò a comprare il giornale e a scendere in paese sempre più spesso. Perché voleva sapere. Anche lei voleva sapere. Sapere perché in una guerra c'è chi fugge e c'è chi resta, chi piange e chi continua a fare la guerra. E soprattutto, perché esistono le guerre quando la vita ci ha donato tutto quello che di cui abbiamo bisogno: gli alberi, i fiumi, gli uccelli, l'aria della sera a giugno, le nuvole al tramonto; la primavera e l'autunno.
Arrivarono i giorni del solstizio e in campagna, come al villaggio, ci si preparava per la notte di San Giovanni.
Insieme a sua madre raccolse fiori spontanei ed erbe aromatiche da lasciare a bagno tutta la notte come vuole la tradizione.
Al mattino, con l'effetto della prima rugiada, avrebbero usato quell'acqua per lavarsi il viso e il corpo come segno di gratitudine.
Lucrezia era felice perché quella sera, alla festa dei falò, avrebbe incontrato alcuni dei suoi compagni di classe del villaggio e avrebbero mangiato caramelle gommose e giocato a nascondino.
La luce dei falò si sparse lungo tutta la valle, dai monti ai villaggi, trascinando con sé miasmi di cenere resinosa che rendevano l'aria tiepida come un abbraccio gravido di millenni.
Lucrezia si aggirava tra le bancarelle in cerca degli altri compagni e tutte le volte che ne scovava uno correva a perdifiato per non farsi soffiare tana.
I suoi occhi erano lapilli di stelle in una galassia indifferente.
Quando toccò a lei nascondersi decise che era arrivato il momento di fare sul serio. Basta con i nascondigli facili. I suoi compagnetti non si allontanavano perché intimamente temevano l'oscurità oltre le luci, mentre lei era abituata a perdersi tra le fronde e i cespugli dove i gufi custodiscono i segreti più indicibili e l'acqua dei ruscelli intona un'ode alla luna.
La sua chioma, separata in due treccine color grano, sembrò brillare prima di scomparire nel bosco.
La soffice oscurità la avvolse con i suoi umori di muschio e graminacee, sfumando i contorni e rendendo via via più incerto l'orientamento.
Adorava perdersi tra le fitte ombre degli alberi, una sensazione inspiegabile che le provocava un brivido talmente intenso da bloccarle il respiro.
Si fermò alle pendici di una possente sequoia che emanava una sottile nota di mandorle e scoppiò a ridere quando udì le voci dei suoi compagni che la chiamavano a squarciagola. "Me ne starò qui per un po'. Poi, quando si saranno stancati di cercarmi, uscirò.
Saranno tutti sorpresi!" Pensò tra sè.
Lentamente, le vibrazione della festa si attenuarono e la notte si fece simile alla pece.
Lucrezia si voltò di scatto parandosi il volto come se si aspettasse di essere colpita da qualcosa che era emerso improvvisamente dalla boscaglia.
Un lupo, un cinghiale, un cervo mamma che protegge i suoi piccoli...
Qualsiasi cosa fosse era lì, davanti ai suoi occhi, che per lo spavento rimanevano chiusi.
Quando li aprì, un misto di sorpresa e inquietudine la paralizzò.
Le sue pupille vagavano in cerca di una via di fuga nell'oscurità, ma non la trovarono. Trovarono invece i volti indifesi di un'intera famiglia di rifugiati che la fissavano con gli occhi spenti di chi non ha più lacrime da versare.
Lucrezia fece un passo indietro, poi un altro, e quando si accorse che quella gente non si muoveva iniziò a correre, ma inciampò quasi subito cadendo in avanti.
Per una frazione di secondo sentì un dolore sordo al mento, poi si accorse di essersi sbucciata mani e ginocchia sul terriccio rinsecchito ai piedi della sequoia. Non aveva fatto neanche un paio di metri ed era finita gambe all'aria.
Poi avvertì un magone alla gola e iniziò a piangere soffiandosi sui palmi feriti.
Pensò a sua madre e il pianto divenne un gemito sommesso simile a una nenia.
Una mano, morbida come seta, le sfiorò i capelli. Lucrezia restò immobile, senza neppure voltarsi.
Una bambina, più o meno sua coetanea, le si era seduta accanto sorridendole, mentre le sue mani presero quelle di Lucrezia.
Quando la bambina si avvicinò per soffiare sulle ferite, Lucrezia scorse il suo viso nella penombra della luna e un bagliore quasi accecante scintillò in quegli occhi misteriosi e così belli.
Si sentì meglio e si mise a sedere.
Le due bambine si tennero per mano per un lungo lasso di tempo nel quale le loro anime, i loro ricordi e le loro paure si unirono a formare un denso mosaico di speranza e solidarietà.
Poi, senza bisogno di parlare, Lucrezia annuì e tornò alla festa.
D'un tratto, l'aria parve a tutti più respirabile, come se un tenue benessere si fosse posato sui cuori della campagna in festa e tutti e tutte ne stessero gioendo.
Il resto della serata Lucrezia lo passò a fare avanti e indietro a portare caramelle, panini e acqua nel bosco, perché è proprio della natura profonda delle cose custodire e prendersi cura di ciò che è più fragile e prezioso a questo mondo.
E quando l'alba di una ritrovata umanità giungerà da oriente «il vento intonerà un canto tra mille rovine».