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"Purtroppo non abbiamo buone notizie...
non ce l'ha fatta".
La malattia eccelle in furbizia.
Sa dove nascondersi e solo la morte vince a questo gioco.
Una noce si abbuffa della tua vita per saziare il gheriglio,
un cervello il cui acume acumina i tuoi aculei.
So di averti strappato un sorriso, abbassa le lance.
Ora la tua difesa è anche la sua, alleato parassita.
Sei stremato.
Ti fai largo tra quelle che per te sono sequoie verdeggianti.
Talmente stanco da non scappare da signore che ti offrono carote.
A te, sterminatore di vermi.
Eppure é piú forte la speranza di farti notare.
Il tuo fascino non vacilla e mi fermo da ingenuo esploratore.
Con la punta del dito ti accarezzo la fronte dolcemente,
ma non mi giunge calore.
Il tuo respiro intermittente ti dilata i fianchi,
come un bimbo che gonfia invano un palloncino.
Lo scolo bianco che hai sugli occhi ormai ti annebbia la vista,
ma conservi la forza per credere a un ultimo miraggio.
Con umiltà disarmi i tuoi aculei,
di fronte ad uno sconosciuto che nemmeno riesci piú ad inquadrare.
La vedo.
La noce.
Vuole farsi beffe dell'evidenza, ripugnante,
si camuffa da innocente.
Ora sei con me,
mi mostri i tuoi occhi
e per un attimo scorgo il tuo nome,
prima che il sollievo li metta a letto.
Ti adatti tra le mie mani,
contro il mio petto.
Ti accucci.
Ti arricci nel tuo nuovo nido, la mia giacca.
Tra mezz'ora ci siamo, resisti.
Sei cullato dal ricordo di te cucciolo,
ancora ignaro della funzione di tuoi spilli,
li usavi per tessere rapporti spontanei, non ancora corrotti da brame di conquista.
Sappiamo com'é andata.
La mia sofferenza dilaga e si sincronizza con il ricordo del tuo respiro affannoso.
Vorrei avere il potere di riportarti indietro,
ma è strano, ti sento.
Tu ci sei.
Perché?
Perché amico mio,
non è vero che non ce l'hai fatta.