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Era da tempo, sai
dal giorno nel quale si aspettano i ritorni
quando le voci si allenano perdutamente
con la punta dell’esistenza piantata nelle suole
al semplice consumarsi
E mentre il ghigno del vuoto diventa bufera
e un altro crepuscolo mi cade dal petto
riconosco l’antico odore del silenzio
quello strano sentore di mutamento
sfogliando i resti della tua meraviglia
Parlerò di te
di una tenerezza che perde il buio delle lacrime
della tregua di un albero che bisbiglia
come un abbraccio che svanisce
nella preghiera di un istante
Era da tempo, sai
che non sorridevo alle mie ombre
nascosto dal lieve bacio che richiama le ortiche
come certi cacciatori di nostalgie
che succhiano miracoli dalla cannuccia
A volte
sento qualcuno apparecchiare
piangere nella notte, camminare sui tetti
e quando sanguino svernando l’inverno
raccolgo i palpiti coi piedi bagnati d’assenza
di come i sospiri diventano polvere azzurra
in questo mio corpo appeso in una gruccia
travestito di giardini
E così, scrivo ancora del nostro amore
su questo diario di carne narrante
con i turisti del dolore che bisbigliano giocosi
lungo i ruscelli delle mie ossa
lasciandomi quasi libero di vagare
negli alambicchi
dove distillo la liturgia della dolcezza
Ti guardo ancora una volta
con gli occhi chiusi pieni di cristalli
con l’anima fusa in una cisterna
dove nascondo isole dalle porte che sbattono
e i grezzi tormenti
di una lunga carovana di migrazioni
in attesa di un’altra te
in un’altra vita