O poeta é um fingidor.
Finge tão completamente
Que chega a fingir que é dor
A dor que deveras sente.
E os que lêem o que escreve,
Na dor lida sentem bem,
Não as duas que ele teve,
Mas só a que eles não têm.
E assim nas calhas de roda
Gira, a entreter a razão,
Esse comboio de corda
Que se chama coração.
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Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che davvero sente.
E quanti leggono ciò che scrive,
nel dolore letto sentono proprio
non i due che egli ha provato,
ma solo quello che essi non hanno.
E così sui binari in tondo
gira, illudendo la ragione,
questo trenino a molla
che si chiama cuore.
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Beh, pare che abbia ragione, il buon Pessoa: nel poeta sono racchiuse tre persone. Una è quella che lui crede di essere, un’altra è quella che viene percepita da chi legge, e la terza è quella che il poeta realmente è. Naturalmente tutto ciò è valido per chiunque, anche se non si definisce poeta. Forse questa tricotomia si accentua in chi usa la fantasia per imbrattare fogli con parole, e nel far questo perde talora il contatto con la realtà per immergersi in mondi che non ci sono. È pur vero che la Verità assoluta non esiste: c’è quella che il poeta vuol rappresentare, c’è quella che nelle sue parole legge il lettore, e che non potrà mai essere la stessa di chi scrive (vuoi per diversità di esperienze vissute, per sensibilità, per educazione…), e c’è la Verità interiore, spesso inconscia, che neppure il poeta riesce a conoscere e dunque, tanto meno, ad esternare.
Addendum: Hermes (Mercurio), il messaggero degli dei, e degli dei verso gli umani, era parimenti il dio dei viaggiatori, degli sportivi, dei ladri, dei truffatori, dei commercianti, e, udite udite, della letteratura e dei poeti... Quindi il poeta è un fingitore, e anche un truffatore ???
Autopsicografia, di Fernando Pessoa testo di Andrea Guidi