Non aver paura di uscire

scritto da L.S.
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L.
Autore del testo L.S.

Testo: Non aver paura di uscire
di L.S.

Non ho mai avuto grandi abilità nella scrittura, ma per la prima volta, racconto una parte buia della mia vita, durata dieci anni.
Avevo 12 anni ed era il 2009, e a quell’età si sa, inizia l’adolescenza, le prime feste in casa con gli amici, rischio o verità, il gioco della bottiglia, e di conseguenza anche i primi baci e le cotte. 
Eccomi qui, che passeggio nel mio piccolo paesino, ero in villetta con gli amici e per raggiungere mamma e mia sorella in piazza dovevo attraversare un ponticello. Un amico, si offre di accompagnarmi, ma li, su quel ponte si ferma a parlare con altri ragazzi e io vado via. È stato il preciso istante in cui la mia vita è cambiata. Nel gruppo, un ragazzo mi nota, chiede il mio numero e mi contatta; era primavera, dopo qualche giorno avrei compiuto 13 anni, lui ne aveva quasi 15, ero davvero troppo piccola.
Si inizia a parlare, il giro in scooter, i messaggi continui, di lì ad un mese, su di una panchina in villetta mi prese sulle sue gambe e mi chiese di diventare la sua fidanzata. E’ così che nascono gli amori adolescenziali, ma, purtroppo, se non si ha lo stesso gruppo di amici, si tende un po’ ad allontanarsi da loro; si è troppo piccoli per uscire spesso, e il sabato pomeriggio preferisci passarlo con il fidanzatino. 
Il mio primo errore, inconsapevolmente ho perso tutte le mie amicizie, ed ecco che arriva l’estate; lui mi minaccia dicendo, tu la minigonna non la metti, le tue gambe non le deve vedere nessuno, altrimenti ci lasciamo; io ho solo 13 anni, e lo lascio. 
Passo 3 mesi estivi da sola, il ragazzino di turno che ti corteggia, quello che ti da un bacino, ma, come tutte le cose brutte, il male torna e se non si è forti, ci si lascia travolgere e tu sei troppo piccola per capire queste dinamiche e ti ci fidanzi. Partono i giri in motorino in pieno inverno, alla ricerca dei posti in cui nascondersi per darsi un bacio, e poi ritorna l’estate, e per la seconda volta di fila mi piomba addosso l’affermazione: tu la minigonna non la metti! Passo un mese da single, ma quando lui torna, adesso ho 14 anni, sono grande, so come gestirlo, se mi vuole deve capire che io la minigonna devo metterla, ma io quella minigonna non la misi più. 
Passa un altro inverno, solite uscite in motorino, sempre soli, non avevo più amici, nessuno, anche la mia migliore amica si era allontanata da me. 
Qui, così, partì il vero buio. 
Ero sola, ad affrontare le continue accuse per baci innocenti dati quando non eravamo insieme. Condannata per una carezza, condannata per un desiderio di attenzione che non avevo, condannata per un bacio a stampo dato, ma che lui non avrebbe mai accettato. 
Iniziano le superiori, io in realtà non adoravo studiare, alle scuole medie ero abbastanza menefreghista. quindi ho scelto una scuola che mi avrebbe aperto più porte per un futuro, la scuola che ha fatto mia sorella, una scuola che, caso vuole, fosse prettamente femminile, e ovviamente questo rendeva lui super felice.
Dimenticavo, non l'ho ancora descritto, alto, magro, con la tartaruga (cosa che colpisce un sacco quando si è ragazzine) moro con gli occhiali, naso a maialino e poi bo, non sono brava con le descrizioni. Vestiva sempre in modo impeccabile, pantalone, mai jeans, sneakers di moda in quelli anni, camicia e maglioncino, bo, mi è sempre piaciuta l'eleganza, se tale si può definire. 
So solo che mi aveva colpito il suo carattere. Deciso, sapeva quel che voleva, voleva me, ma poi con il tempo ho capito che non era propriamente così, voleva me sì, ma mi ci voleva diversa. Nella foga del momento non te ne accorgi ma così passano gli anni e inizi a diventare dipendente.
Alle superiori ho avuto la fortuna di trovare Claudia, la conoscevo già, ma non benissimo, siamo state compagne di banco per 5 anni e mi ha aiutata un sacco.
Da quando ho conosciuto lui, il mio corpo mi dava segnali che qualcosa non andava, dopo 3 anni, ho iniziato a soffrire di mal di testa giornalieri, dati da ansia causata da una relazione malsana.
Lo fa per me, lo dice per il mio bene, non devo parlare con i ragazzi perché tutti ci provano con me, non devo raccontare delle nostre litigate con le mie amiche perché "le tue amiche non mi possono vedere" e non sia mai parlarne con mamma e papà, cosa mai penserebbero, loro che non li avevo mai sentiti litigare, e parlarne con la mia sorellona? Naaa è troppo grande per pensare ai problemi dei bambini.
Ma quest’ultima cosa era vera, ero solo una bambina, e quindi cosa pensavo? Cercavo di pensare solo alle cose belle che mi rendevano felice, come le corse in motorino la sera, il momento più bello, io, appassionata di moto, aspettavo ardentemente il sabato sera per quel giro su di un 125, di nascosto da mamma e papà, che mi provocava adrenalina. Volevo prenderlo uno scooter, ma tu sei donna diceva, le ragazze non portano la moto, ti ci porto io dietro, non c’è bisogno che la prendi tu, ed accantonai così il mio desiderio. 
Ma poi lui compì 18 anni, e io ne avevo 15, allora parlai con mamma con aria decisa e le dissi, è inutile che ci prendiamo per i fondelli, ti dico dove vado e con chi sto, almeno lo sai, ma non farti prendere in giro tanto io in auto ci salgo, lui con la macchina non verrebbe mai a prendermi a piedi. Da quel momento non era più necessario portarmi in giro, poteva chiudermi in auto, non potevo guardare neanche fuori dal finestrino, perché ovviamente avrei messo gli occhi su un altro ragazzo, e per evitare litigate io non ci guardavo più da quel finestrino, cosicché nessuno potesse vedermi, o parlarmi, o salutarmi. Gli amici, neanche i conoscenti, che se per sbaglio mi salutavano, lui gli chiedeva subito cosa stessero guardando o salutando, un giorno uno, un giorno l’altro e io ero sola, senza amici e senza conoscenze. 
Di lì a poco doveva prendere la patente per portare i camion e mentre una sera tornava da Martina, fece un incidente con la macchina che gli provocò una cicatrice su metà fronte, sfregiato, questa è la parola che usava per descriversi, una persona che di lì a poco, con quel suo nuovo aspetto esteriore avrebbe ancor di più rinchiuso me per evitare io andassi via per il suo aspetto per lui rovinato dall’accaduto.  
Non ricordo bene come siano andate le cose, era un susseguirsi di serate chiusi in casa, ormai in famiglia, divano, sonno, divano, tv ed ancora divano. In quel periodo facemmo l’amore per la prima volta, non durò per molto, la voglia non era il massimo, si è piccoli, non si conosce il piacere in sé per se, non mi pensava, mi usava per venire, prima una volta a settimana, poi una volta al mese. Il desiderio non c’era, ma per me era normale così, non potevo sapere realmente come dovesse essere un rapporto d’amore. 
Ma poi…. Non è successo assolutamente nulla, continua il buio, zero ricordi, zero emozioni, per anni, queste sono le poche cose che ricordo. Il dolore è però tuttora nel mio cuore. Passa così il tempo, molto apatico.
Avrò avuto 17 anni, ero in 4 superiore, gita nella bellissima Firenze, lui non voleva io ci andassi, ero magrissima, le sue continue critiche mi fecero perdere un sacco di peso, mi allenavo tutti i giorni, in casa, perché andare in palestra non era fattibile, troppa gente con la quale parlare, flirtare, scopare. Perché sì, io per lui ero una facile, una che andava a letto con tutti, come se non mi conoscesse. Se io fossi stata veramente una facile lui si sarebbe schifato di stare con me, ma questo l’ho capito solo da grande. 
la sua insicurezza era tale da dubitare di tutti, anche del suo migliore amico. Un pomeriggio ero a casa ad aiutare mia madre e lui dormiva, mi mandò un messaggio appena sveglio al quale io non risposi perché aiutavo; scrisse anche al suo amico che a sua volta dormiva, si presentò sotto casa dell’amico convinto di trovarmi lì a fargli le corna. Quante accuse ho dovuto subire. 
Dopo questa piccola parentesi, partii finalmente per questa gita, ci eravamo lasciati, perché ovviamente non voleva io ci andassi. 
Nell’hotel c’era un’altra scuola, prettamente maschile, napoletani, eravamo insieme ad ora di cena nell’androne ma niente di che. A fine serata scendemmo, eravamo 3 amiche, a fumare una sigaretta; ad un tavolino all’esterno dell’hotel 3 ragazzi, con i quali si inizia a parlare, una chiacchiera tira l’altra, i giorni passano, la terza sera, di notte, mentre parlavo con un ragazzo, di un’intelligenza assurda, non spavaldo, non montato (come si usava dire), mi prende e mi bacia. 
Ovviamente per me trauma, tornata a casa non riuscivo a guardare il mio ragazzo in faccia, perché si che ci eravamo lasciati, ma io ormai ero sua e se anche solo un saluto era sbagliato figuriamoci un bacio. Bacio però al quale lui non crede, perché non era un granché a letto e quindi necessariamente io dovevo trovare conforto sessuale in altri. Ma ovviamente così non era. 
La sera del mio rientro lui mi costringe ad andare a letto insieme, anche se io non volevo, piangevo, non è durato molto, mi son levata, ed ho continuato a piangere, quella stessa sera, dopo avermi portata a casa è andato in un paesino vicino per portarsi una,  vero o bugia non l’ho mai saputo, non so se lei lo abbia rifiutato quella notte (quello era il mio sentore) ma lui venne da me a dire che aveva fatto più di quello che avevo fatto io, più di un semplice bacio, lui l’aveva scopata (poverina) ma nonostante ciò io ero ancora in difetto e dovevo farmi perdonare, come? Non potevo più fare gite, non potevo più studiare il pomeriggio a casa delle amiche, non dovevo più vivere. Ma quando sei manipolata mentalmente, tu, decidi di non vivere più.
Magari sembrano delle sciocchezze, ma tutto ciò vissuto con gli occhi di una bambina non è bello, è una libertà violata, un’innocenza non vissuta, venivo considerata sempre una poco di buono, ed ormai dentro di me mi ci sentivo tale.
Anche solo se salutavo un vecchio amico con un ciao da lontano, ero costretto a dirglielo e mi ci faceva sentire in colpa perché io, per lui, mi sarei dovuta girare dall’altra parte e non salutare. 
C’è stato il matrimonio di mia sorella una lamentela continua, ci mise ad un tavolo con mia cugina ed il fidanzato, una sua amica con il fidanzato, ed un’altra coppia, eravamo le due persone per chiudere il tavolo da otto. Mia sorella mi chiese scusa per questo brutto accoppiamento di persone al tavolo, ma tanto potevo stare alzata tutto il tempo, era giusto un punto di appoggio; ma lui non perdonava questa cosa, eravamo residuali. 
Mi rovinava tutto sempre, tutte le occasioni dalle più importanti alle più sciocche, dalle uscite con la sua famiglia, dove puntualmente io in macchina piangevo per le sue continue accuse e una volta arrivati al pranzo o alla cena, dovevo fare finta di niente, dovevo asciugare le lacrime, stare zitta e sorridere. 
Oggi io non riesco più a far finta di niente. 
Ricordo una sera con il nostro solito gruppo, bugia, con il gruppo di mia sorella che vedendomi sempre chiusa in casa iniziò a farmi uscire con lei, parliamo di ventisettenni io avevo solo 17 anni. Iniziò ad uscire in questo gruppo una ragazza che io conoscevo, 15 anni più grande di me, si sentiva con un nostro amico, e durante la serata lui, Antonj iniziò a ridere e scherzare come un matto con lei, la serata si fece divertente, allora iniziai a ridere anche io, ma in quell’istante mi travolse uno sguardo di quelli mai visti. 
In macchina, da soli, mi riprese, non potevo ridere, ero esagerata, non avevo una risata delicata, non dovevo eccedere, dovevo rimanere nel mio e non farmi notare, non dovevo essere me stessa, non potevo essere felice. Non so se è chiaro il concetto, non potevo più ridere.
Arrivarono i miei diciott’anni, cavoli stavo crescendo. Del mio compleanno stette tutta la serata fuori, nonostante ci fosse tutta la sua famiglia. Mi divertii tanto c’erano le mie amiche di scuola e gli amici con i quali uscivamo solitamente, i parenti, gli amici dei miei genitori, eravamo davvero tanti, erano tutti lì per me tranne lui. Lui era lì ma perennemente fuori a fumare, prima con uno poi con un altro, ma per fortuna io ho passato una serata bellissima a ballare come una matta che a divertirmi. 
Lui mi regalò un viaggio, il nostro primo viaggio insieme, tre giorni a Roma. Penso questo sia stato un forte incentivo allo stare insieme, ci piaceva un sacco viaggiare, ad entrambi. Devo però ringraziare i miei genitori che mi hanno sempre dato la possibilità di poter partire perché ovviamente io ero piccolina per avere un lavoro e studiavo, e lui pagava solo per sé, come è giusto che sia. Abbiamo viaggiato un sacco siamo andati a Londra, in Croazia, a Parigi, abbiamo girato l’Italia in macchina, abbiamo visitato parecchi posti. 
Però questo non compensava il dolore che provavo. 
Tornavamo dai viaggi sempre peggio, durante i quali era un continuo litigio anche perché se ad esempio un animatore per le scale salutava, se si era permesso di salutare allora io avevo fatto sicuramente la scema con lui, ma quando? Non mi si staccava un attimo, quando avrei dovuto fare la scema con un animatore. Ogni viaggio era una litigata ogni giorno ogni istante. Con il passare del tempo mi rendevo conto che tutte le cose che mi piaceva fare e non le facevo più, amavo il mare ma ci andavo due volte l’anno perché lui doveva lavorare con il camion dell’acqua, perché lui girava casa per casa e aveva giustamente i suoi clienti con i quali socializzava tutto il giorno e io dovevo rimanere chiusa in casa e non parlare con nessuno. 
Quando a 19 anni mi sono diplomata volevo continuare a studiare, non volevo buttare la mia intelligenza per stare chiusa in casa a fare i servizi, a lavare le Robe, ad un manipolatore, me ne rendevo conto perché lui non voleva io lavorassi e quindi decisi di continuare a studiare e volevo tanto fare ingegneria meccanica. Quell’anno la levarono da Taranto, stava solo a Bari, ad un’ora da casa. Quando io gli esposi la mia volontà di spostarmi per studiare lui mi disse che io non tenevo a lui, non tenevo al nostro rapporto, che stavo buttando gli anni passati insieme, esattamente sette fino a quel momento, rendiamoci conto che avevo 12 anni quando sono entrata in questo incubo e io a 19 anni ho deciso di rimanere nel mio paese con lui per non perderlo mettendo da parte i miei sogni nuovamente. Ho continuato a studiare se la mia seconda scelta però, economia. Quando metto una cosa in testa non ci posso fare nulla devo portarlo a termine, però in questi tre anni mi sono resa conto di una cosa. In questo periodo dove avrei accettato volentieri una mano tutte, tutte, le persone che mi volevano bene si erano rassegnate, avevano smesso di lottare e di cercare di farmi capire in cosa mi fossi cacciata. Nessuno più provava a tirarmi fuori da quell’incubo quando io ne avevo più bisogno, quando io ho necessitavo in tutto e per tutto di una mano. 
Quando feci vent’anni festeggi a casa, in tavernetta, con i miei genitori, lui e i suoi genitori. Mi diede un regalo, nella scatolina c’era l’anello di fidanzamento con una lettera bellissima, strappalacrime, una promessa di futuro insieme. 
Da un giorno all’altro ho iniziato a guardarmi allo specchio e piangere, ho capito cos’era la depressione. È brutto, è una trappola, ti rendi conto di quello che sta succedendo, ma non riesce a fare nulla, riesci solo a piangere e rimanere ferma dove sei. Questo mio cambiamento radicale ha fatto scattare un campanello di allarme in famiglia e mi hanno “costretta” ad andare da uno psicologo. 
Se non ricordo male ho fatto due o tre sedute, soldi buttati, andavo lì e piangevo. Lei continuava a chiedermi se il problema non fossero tutte le cose che mi circondavano, come lo studio ad esempio, mi chiedeva espressamente se io stessi bene con quella persona, se quella persona potesse essere il mio problema, e nonostante tutto io non riuscì a dire di sì. Uscivo di lì piangendo ma non ammettevo di avere una persona tossica al mio canto. 
I tre anni di università passavano, il mio gruppo era formato da sette ragazze, tutte fidanzate, e tutte libere di organizzarsi tra di loro, anche solo una sera al mese, ma io non potevo.
Il giorno della mia laurea, non so quanti episodi sto saltando in questo momento, ma credo si sia capita la situazione in generale, si presentò lì senza neanche un mazzo di fiori, mi disse: tanto sapevo che ne avresti avuti tanti. Di lì la bassezza del gesto, quanto volevo io per questa persona? Non lo so ancora. C’era una specialistica collegata al mio indirizzo di studi, lì a Taranto, solo una, generica. Per fortuna mi sono infatuata di un corso di laurea magistrale presente a Bari, e lì, a distanza di tre anni, lui mi mise di nuovo di fronte alla stessa scelta, il mio futuro o lui. Questo perché, perché in questo periodo, il padre aveva ingrandito la sua attività acquistando un deposito per i camion autonomo, senza essere più in affitto, su questo deposito vi doveva essere casa nostra. 
Io ho una casa, continuavo a dirgli, perché dobbiamo spendere soldi per costruirne una quando ne abbiamo già una, e lì partiva il suo orgoglio, il suo non volere mai niente da nessuno, si doveva realizzare da solo. Ma io non potevo farlo, perché per realizzarmi e per fare quello che volevo dovevo studiare ed andare a Bari e lui non voleva, allora ho deciso di iscrivermi comunque e di fare avanti e indietro con il pullman. 
Sono durata per un mese e mezzo, mi svegliavo la mattina alle cinque, mi preparavo, prendevo il pullman alle sei e andavo a Bari, arrivavo alle 7:30, molte volte le lezioni erano anche alle 10, con orari spezzati tra mattina e pomeriggio e quindi mi toccava prendere il pullman serale delle 20 con il quale arrivo a casa alle 21:30. Cenavo, lui veniva a prendermi, andavamo a fumare una sigaretta sul deposito dei camion e andare ad osservare l’aria dove ci sarebbe stata casa nostra, la mia prigione, una casa con telecamere, per controllare chi facessi entrare in case, per controllare se mi fossi stata capace di uscire senza avvisarlo. Tornavo a casa a mezzanotte, facevo una doccia dopo una giornata e all’una andavo a letto. È di nuovo il mattino dopo alle cinque mi svegliavo e così per un mese e mezzo, dormendo sempre e solo 4h a notte, e guai se non mi vedeva per un giorno, non potevo chiedergli di riposare per una sera, perché doveva guardarmi negli occhi ogni giorno, e capire dal mio sguardo se io fossi effettivamente ancora nella sua trappola.
Ma poi sono crollata e ho deciso di prendere una casa, una stanza. Da quel momento sono iniziati i ricatti, che se io avessi preso casa non potevo vedermi con una mia amica che era a Bari per andarmi a fare una pizza (non lo potevo fare nel mio paese, figuriamoci lì), che dovevo rientrare sempre per vedere lui, che sarei dovuta rimanere a Bari solo i giorni necessari in cui avevo lezione, ma in realtà così non era perché più passavano i giorni e più lui desiderava che io me ne andassi per potermi lasciare, perché la sua impossibilità di avere il controllo su di me lo avrebbe logorato. 
Come una scema quando presi Casa cerci un posto in cui poter far venire lui a dormire, ma lui non voleva perché non era una cosa decisa da lui, perché a lui non andava bene che io potessi istruire la mia mente, e non voleva io capissi quanto valessi realmente e che senza di lui ce l’avrei fatta. 
Quando ho preso Casa lui mi ha lasciata. 
Inutile dire che due giorni dopo si è presentato con una Rosa. 
Come tante volte era già accaduto in passato, questa volta non ho ceduto e l’ho lasciato andare. Qualche giorno dopo si presentò a Bari, fece una scenata, voleva io scendessi di casa, ma per fortuna, dato il suo orgoglio non sapeva nemmeno dove io abitassi. 
Raccontata così sembra una cosa molto semplice ma ci sono state urla e pianti. Insomma, gli facevo schifo, gli avevo voltato le spalle, avevo voltato le spalle al nostro futuro insieme. Futuro del quale lui mi parlava, futuro che io avrei passato chiusa in quella casa, per controllarmi, per continuare a manipolarmi, in una vita che non mi avrebbe permesso di avere un lavoro, di realizzarmi, di scoprire il mondo, le relazioni umane, ma soprattutto la bellezza dell’amore che oggi provo.
Siamo nel 2024, la mia libertà è iniziata alla fine del 2019.
Il 28 marzo del 2022, lui è morto, folgorato, sono ritornata per l’ultima volta in quella casa, dove ho passato anni della mia vita, la prigione della quale mi ero liberata ha fatto sì che io non riuscissi più a metterci piede. Ero sul ciglio e piangevo. Non potevo crederci. La persona che mi ha fatto tutto questo oggi non c’è più.
Ho avuto necessità di scriverlo per tirare fuori tutta la rabbia ma soprattutto per ricordare che non si deve avere paura di uscire, mai.

Non aver paura di uscire testo di L.S.
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