IO VADO IN RUSSIA
E' bello vedere Marco e Fabio scambiarsi un'amichevole stretta di mano. Non si sono parlati per quasi due anni, ma è proprio vero che il tempo mette a posto tutto. Ed è strano il destino se mi ritrovo qui, accanto a loro, tenendo per mano proprio colei per la quale loro stessi hanno in passato litigato. Perché Anna, sapete, è fatta così: è affettuosa e gentile nei confronti di tutti e molti (Marco e Fabio compresi) interpretano spesso 'male' i suoi atteggiamenti.
Fabio si gira verso di me e mi strizza l'occhio. "Ciao Carlo. Trattala bene la 'nostra ragazza', mi raccomando."
"Puoi starne certo" gli dico io.
"Sei sempre il solito volpone" mi dice Marco colpendomi scherzosamente la spalla. "Noi due a litigare e tu che te la godi, eh?"
Sorrido e annuisco.
I due salgono poi in macchina e si allontanano.
"Non vorrei essere al posto loro" dice Anna.
Io sollevo le spalle. "Beh, non devi farti dei sensi di colpa. Sono loro che hanno frainteso le tue intenzioni, e lo sanno molto bene, credimi."
"Sì, però..."
Prima che possa finire di parlare, la bacio delicatamente sulle labbra. Poi le metto il braccio attorno alla vita e risaliamo nel nostro appartamento.
Improvvisamente mi gira la testa e stringo gli occhi.
"Cos'hai?" mi chiede lei cercando di sorreggermi come può.
"Non lo so. Un po' di stanchezza forse."
Sento un peso enorme che gravita sopra la mia testa. Guardo bene le scarpe. Sono nuove, le ho appena acquistate ieri. E mi sono anche costate un bel po'.
"Perché ti stai guardando la punta dei piedi?" mi chiede lei, visibilmente preoccupata.
"Niente, cara, non è niente, ho solo bisogno di riposarmi un po', tutto qui"
Anna mi accompagna verso il divano del soggiorno e mi ci sdraio sopra.
Chiudo gli occhi e sento grattare alla porta. Sorrido nel sentire Anna rimproverare la gatta che è rimasta chiusa in bagno.
Ieri pomeriggio sono uscito un po' prima dall'ufficio e ho raggiunto in macchina un negozio di calzature. Il primo che ho trovato sulla strada. Spinto dal bisogno d'acquistare un paio di scarpe nuove (quelle che indosso ai piedi sono vecchie e hanno le suole lisce quasi più dell'olio) entro e mi si avvicina una commessa sui vent'anni o poco più che mi saluta con garbo e cortesia e mi chiede cosa desidero acquistare. "Delle scarpe, è ovvio" le rispondo scherzando.
E lei, abbozzando un timido sorriso mi chiede quali.
"Simili a quelle che sto indossando e soprattutto comode" le rispondo io.
La commessa annuisce. Mi fa vedere due paia di scarpe che a me però non piacciono. Allora me ne mostra un terzo e questa volta sembra avermi convinto. Le provo, sono robuste, il colore mi piace e le sento in effetti molto comode. Le rimetto nella scatola, pago, esco e, mentre cammino verso la macchina, incrocio Marina.
Lei prosegue come se nulla fosse, incurante della mia presenza. D'altra parte non posso darle torto: sono passati molti anni dai tempi del liceo e difficilmente potrebbe riconoscermi. Prima ero un capellone magro come un chiodo; adesso invece sono grasso e pelato come una palla da bowling.
Potrei andarle vicino e chiederle "Ehi, Marina sono Carlo, il tuo compagno di classe, ti ricordi di me?" ma finirei quasi sicuramente per fare la figura dell'idiota. E sono poi davvero sicuro che sia proprio lei e non invece una che le assomiglia?"
Con questo dubbio nella mente risalgo in macchina e chiudo per un attimo gli occhi. Marina, la mia compagna di classe preferita, ma anche il mio primo vero amore. Il mio primo bacio, la mia prima volta a letto, la mia prima volta di tutto insomma; per poi perdersi di vista alla fine della scuola. Cose che capitano, dopotutto: sono né più né meno che le classiche storie d'amore che nascono e finiscono, episodi di banale quotidianità raccolti tutti, con maestosa perizia, in una vita che li rappresenta degnamente...
Riapro gli occhi. Mi alzo, e mi accorgo di sentire un gran caldo.
Mi alzo e vado in cucina. Mia moglie è indaffarata a mettere in ordine il frigorifero.
"Senti Anna, c'è mica del gelato?" le chiedo.
"Non lo so" risponde lei. "Guarda un po' se ne è rimasto ancora qualcuno."
Apro lo sportello del freezer. C'è di tutto: piselli, fave, carne, sofficini, ma di gelati neanche l'ombra.
Poi, guardando meglio, mi accorgo che in un angolino spunta il disegno di un ghiacciolo. Allora tiro fuori diverse scatole e finalmente arrivo a prendere l'"oggetto del desiderio".
"Hai trovato qualcosa?" mi chiede.
"Sì, ghiaccioli al limone" le rispondo io.
"Ne prendo uno anch'io" mi dice lei.
All'improvviso sentiamo di nuovo grattare alla porta: mia moglie si alza di scatto, urtandomi e facendo cadere sul pavimento la scatola dei gelati. Si ferma per un attimo a guardarmi, e va poi ad aprire la porta. La gatta entra in cucina, si guarda un attimo in giro e s'accuccia su una sedia come se niente fosse.
"Beh, ci dovrebbero essere delle tavolette di cioccolata da qualche parte" le dico io sollevando le spalle.
"Ma quale cioccolata" risponde lei chinandosi e raccogliendo la scatola. "E' la scatola che è caduta per terra, mica i gelati".
"Hai ragione" rispondo io. In effetti non so perché ho pensato che con la caduta della scatola si dovessero in qualche modo sbriciolare i ghiaccioli in essa contenuti. Comunque non me ne preoccupo più di tanto e mi accingo ad andare a sedermi sul divano del soggiorno con tanto di ghiacciolo in mano.
"Vuoi che prendo anche della Coca-Cola?" dice Anna.
"Boh" rispondo io. "Portala pure qua e poi vediamo."
"E le patatine?"
"Sì, se vuoi prendiamo anche quelle. Già che ci sei, porta pure qui tutta la cucina che facciamo più in fretta".
Scoppio a ridere mentre osservo mia moglie che allunga un braccio per aprire lo sportello della credenza.
Strizzo gli occhi e guardo fuori. Fino alla settimana scorsa il freddo era polare e adesso invece c'è un sole che spacca le pietre. E' incredibile come in questi ultimi anni il clima sia diventato così instabile. Ma tanto non credo che in Russia soffrirò il caldo più di tanto.
Mi chino in avanti lentamente e strizzo di nuovo gli occhi. Sono esausto. Da due settimane sto dormendo sì e no un paio d'ore scarse a notte: di cosa dovrei stupirmi?
Devo trovare il coraggio di dirglielo.
Anna sta arrivando con la bottiglia di Coca-cola, due bicchieri di plastica e una grossa busta di patatine.
Mi riappoggio allo schienale del divano e continuo a succhiare il mio ghiacciolo.
"Non è buffo tutto ciò?" dice lei sedendomisi accanto.
"Perché?" domando io.
"Coca-cola e patatine. Dolce e salato."
"Come noi due, tesoro."
"Io il dolce e tu il salato, vero amore?"
Annuisco. Prendo un bicchiere, lo riempio e lo poso sul tavolino.
Anna lo urta con il gomito mentre cerca di accendersi una sigaretta. La coca-cola mi cola sulle scarpe e mi alzo di scatto in piedi.
"Cazzo, le scarpe nuove" esclamo.
"Scusami, vado subito a prenderti uno straccio" risponde lei.
Io mi risiedo e scuoto la testa. Dopo un'attesa che mi sembra interminabile Anna ritorna porgendomi un panno bianco. Me le asciugo con cura, notando con un certo sollievo che la pelle non sembra essersi rovinata.
Anna scoppia a ridere.Ma la sua risata è sarcastica, oltre che isterica.
"E adesso cosa ti prende?" le chiedo.
"Non so cosa dirti" risponde lei. "Me la manderai comunque una cartolina dalla Russia?"
Io la fisso, sbattendo le palpebre. "Come sai che..."
"Oh, lo so e basta" m'interrompe lei. "Pensi forse d'aver sposato un'oca giuliva?"
"No, il fatto è che..."
"Il telefono, Carlo" m'interrompe nuovamente lei. "Quando parli al telefono ti sentono persino i vicini. Vuoi forse che non ti senta io?"
"E' il lavoro, Anna. Vado in trasferta con la ditta e ne avrò almeno per qualche mese."
"Lo so, lo so" risponde lei, piegandosi sul bracciolo del divano e mettendosi a piangere.
Sospiro e scuoto la testa. "Ti prego, non rendere tutto più difficile."
Lei mi fissa. Poi, dopo una lunga pausa, si alza in piedi e va verso la finestra.
"Dove stai andando" le chiedo.
"E dove vuoi che vada?" risponde lei. "A vedere le montagne innevate. Vorrei essere lì questa domenica, a sciare con te e i bambini."
"Bambini?" rispondo io.
"Sì, bambini. Questa parola ti fa tanto schifo forse? B-a-m-b-i-n-i. Come quelli che io vorrei e che tu non sei in grado di darmi."
"Dio mio" esclamo io alzandomi in piedi. "Anna, non vado a divertirmi ma a lavorare per me e per te, lo capisci?"
"Non dirmi cosa devo o non devo capire" replica lei strillando. "Quando due anni fa ci eravamo sposati, avevamo fatto un patto ricordi?"
"Sì, entro due anni avremmo avuto almeno un bimbo ma il lavoro..."
"Lavoro, lavoro e lavoro. Ma non sai parlare mai d'altro?"
"E come pensi di mangiare, eh? Dimmelo, su".
"Io so solo che passo interi pomeriggi a piangere come adesso, Carlo. A piangere. Capisci?"
Annuisco, ma d'altra parte cosa posso farci? Se non vado in trasferta mi licenziano, come mi hanno più volte fatto notare i miei superiori. E se non lavoro non posso pagare il mutuo sulla casa, né tantomeno garantire un futuro a noi due. Figuriamoci a degli eventuali bambini.
Mi risiedo e mi chiedo se tutto questo stia accadendo veramente. Guardo mia moglie e fisso poi il pavimento. Cosa mai andrò a fare in Russia? Cosa ci sarà mai laggiù?
Vorrei portarla con me. Vorrei che anche lei facesse il mio stesso lavoro, ma so già che così non è. Sorseggio la coca-cola e assaggio di tanto in tanto qualche patatina. Mi rialzo ancora in piedi e mi avvicino ad Anna. Sta ancora fissando le montagne innevate. L'abbraccio e la bacio delicatamente sulla guancia. "Vuoi venire in Russia con me?" le chiedo.
IO VADO IN RUSSIA testo di Bondorello