Corpo rotondetto ricoperto da un folto pelo rosso. Testa illuminata da due occhi d’oro. Questo è Arcibold, un gatto che passa le sue giornate muovendosi pigramente tra le stanze di un lussuoso appartamento.
Ogni mattina Orlandino il solerte maggiordomo, gli augurava il buon giorno aprendo la finestra della camera da letto. Arcibold si stiracchiava in attesa che gli venisse servita la colazione. Con la pancia piena si spostava con passo felpato nel salone. Se era una giornata assolata si sdraiava sul divano rosso, posto davanti alla grande porta finestra. Se c’era maltempo, si acciambellava sulla poltrona damascata e contemplava la sua immagine, riflessa sulla superficie di un grande specchio bordato di foglie d’oro.
Era il pomeriggio il periodo della giornata che Arcibold attendeva con più impazienza. Quando la grande pendola della sala batteva le quindici, si presentava il maggiordomo Orlandino che per trentasei minuti gli pettinava il pelo e lo massaggiava. Quando giungevano le prime ombre della sera Arcibold si trasferiva in biblioteca. Si sdraiava su un tappeto decorato con cesti di frutta e attendeva che dall’impianto stereo uscisse la melodica voce di Adelmina Ferrini , gloria della lirica e sua amorevole e devota padroncina.
Questa è la vita del gatto Arcibold, scandita da rassicuranti momenti che la rendono meravigliosamente perfetta. Tutto questo cambiò in una assolata mattina di metà Maggio. Come tutte le belle giornate Arcibold si trovava nel salone, sdraiato sul divano rosso. Tra un pisolino e l’altro, lasciava vagare il suo sguardo dorato sui tendoni colorati delle bancarelle del mercato. Tre piccioni atterrarono sul davanzale della finestra catturandone l’attenzione. Cominciò ad osservane con molto interesse ogni movimento. L’orologio della torre cominciò a battere le undici. Quando l’ultimo rintocco sfumò nell’aria il felino da salotto si era trasformato in un astuto cacciatore.
Arcibold, bramando di stringere tra i suoi denti il corpo di uno dei pennuti spiccò un salto verso il piccione più vicino. Un’invisibile ma solido doppio vetro stoppò il salto del novello cacciatore. Il gatto stramazzò al suolo stordito. Vide le sue prede volare via. Da quel giorno visse con l’unico obiettivo di catturare un piccione. Trascorse le giornate studiando le sue prede.
Una nuova occasione si presentò quando il maggiordomo Orlandino si dimenticò di chiudere la finestra della sala. Arcibold si nascose dietro la tenda e attese. Passò poco che un piccione volò nel salone atterrando sullo schienale di una sedia. Subito dopo ne arrivò un altro che planò sul tappeto. Arcibold gli balzò addosso. Là dove prima c’era un piccione ora c’era solo una nuvola di piume. L’altro che aveva assistito alla scena volo’ via. Ironia della sorte sbatte’ contro la vetrata.
Quando si riprese dalla botta e riaprì gli occhi vide a pochi centimetri dal becco il muso del gatto sporco di sangue e piume. Arcibold gli sorrise mettendo in bella vista i denti aguzzi. Il piccione nonostante lo spavento e la botta riuscì a fuggire. Il gatto per tutta la giornata continuò a guardare fuori dalla finestra. Sul suo volto era stampata un’espressione molto soddisfatta. Quel momento di compiacimento fu interrotto dall’arrivo sul davanzale di un piccione completamente grigio che cominciò a fissarlo in modo inquietante. Arcibold fu assalito da una grande paura. Fuggì nella biblioteca nella speranza che la voce della sua padrona lo tranquillizzasse e gli facesse dimenticare quel terribile sguardo. Non ci fu nulla da fare. Il buio della sera amplificò ancora di più le sue paure. Finalmente si addormentò, ma il sonno non gli portò pace. Un terribile incubo lo venne a trovare. Era acciambellato sulla poltrona damascata e si stava specchiando nel grande specchio dorato. Da sotto la poltrona uscì una densa nuvola di piume che riempì la stanza. Quando si diradò nello specchio non era più riflessa la sua immagine ma quella di un piccione.
- Silenzio! Stà per aprire gli occhi. Silenzio, non voglio che lo spaventiate. Aiutiamolo a lasciare il mondo dei sogni, intoniamo una dolce melodia. Su amici aiutatemi-.
Una straziante cacofonia di suoni svegliarono di soprassalto Arcibold. Davanti a se c’era un topo rosa con il volto incorniciato da due baffi accuratamente attorcigliati verso l’alto. Il topo vedendolo sveglio, cominciò a gridare - Gioia e gaudio, gioia e gaudio si è svegliato. Amici gioite con me-. Arcibold cercò con lo sguardo gli amici di questo strano personaggio, non ne vide traccia. Si trovava in un cassonetto della spazzatura. Il topo accortosi dello sconforto del poverino gli piantò gli occhi addosso e con una vocina da bambina disse. - Caro, mio caro amico, sei tranquillo, calmo e pacatamente consapevole della tua nuova condizione? No, non lo sei. Lo so che sei disorientato, ma qui c’è il tuo amico Gedeone che con immenso amore ti condurrà verso la luce della verità-. Gedeone? Luce della verità? Arcibold doveva rimettere in ordine le idee, ma per farlo doveva far tacere quel fastidioso Topo. Lui ero un gatto e conosceva un solo modo per realizzare il suo desiderio. Fece un balzo, o per meglio dire cercò di prodursi in un plastico balzo felino ma rotolò rovinosamente tra un cumulo di cartacce appiccicose. Nel tentativo d’alzarsi il suo sguardo fu catturato dal riflesso della sua immagine su una bottiglia rotta. Davanti a lui c’era un piccione con gli occhi d’oro che lo stava fissando. Il topo gli si avvicinò, gli mise una zampetta sulla spalla. - Tranquillo. Qui c’è il tuo inseparabile amico Gedeone che ti racconterà cosa ti è successo. Qualche giorno fa tu hai mangiato un piccione della Dama Bianca. Monellaccio questo è una cosa che non si fa, ma dal momento che lo hai fatto, per magia ti sei trasformato nella tua preda.
Il maggiordomo non riconoscendoti ti ha colpito con una scopa. Poi ti ha gettato in questo cassonetto. Non sentirti trascurato. Devi sapere che lo stesso maggiordomo che ti ha gettato nel cassonetto oggi ha tappezzato la città di manifesti con la tua foto. Ti cerca ovunque disperatamente, pover’uomo. Ma tranquillo, stai sereno, tutto ritornerà come prima. L’importante che tu risponda alle domande che ti farà la Dama Bianca. Nel frattempo il tuo amicone Gedeone ti aiuterà a superare questo momento difficile. E’ la prima volta che mi trovo in questa situazione, ma sono molto speranzoso sul successo dell’impresa. Arcibold seguì il topo, anche perché non avrebbe saputo cosa altro fare. Gedeone parlava senza sosta. Quando le ombre della sera cominciarono a lasciare i giacigli, Gedeone si bloccò. Si voltò verso Arcibold e dopo un salvifico momento di silenzio parlò : - Amico è giunto il tuo momento. Vedi questa grande torre che ci sovrasta? Tu devi raggiungerne la cima e aspettare l’arrivo della Dama Bianca.- Il neo piccione guardò spaesato il topo. Avrebbe voluto chiedergli come fare per raggiungere la cima della torre ma tutto quello che gli uscì dal becco fu una sfilza di monotoni – GU, Gu, Gu….-. - Carissimo, non disperarti. Per tutto il pomeriggio ti ho istruito diffusamente su come affrontare questa difficile prova. Ora concentrati e lascia che il ricordo dei miei insegnamenti fluisca nella tua mente. Su coraggio.-. -Istruito diffusamente? L’unica cosa diffusa che hai contribuito a far nascere nella mia testa è stata una terribile confusione-. Questo è quanto avrebbe voluto dire il piccione alla sua logorroica guida ma dal suo becco uscì nuovamente solo una sequenza di – GU, GU, GU-.
Per fortuna durante gli ultimi giorni da gatto Arcibold aveva osservato con molta attenzione i piccioni. Cercò di imitarne i movimenti. Cominciò a sbattere le ali. Lentamente le zampe si staccarono dal suolo. Inizialmente sbandò a destra poi a sinistra. Rischiò di andare a schiantarsi contro i muri della torre, ma per fortuna una colpo di vento lo spinse verso l’alto. Quando raggiunse la cima della torre era già buio. Sotto di lui la città era un tappeto di luci tremolanti. Sopra di lui l’oscurità della notte. Lì tra la terra e il cielo Arcibold era finalmente solo e aveva la possibilità di mettere un po d’ordine tra gli eventi di quell’interminabile giornata. Se solo non avesse deciso di giocare al cacciatore ora sarebbe comodamente acciambellato su un divano in attesa della cena, e non sulla cima di una torre in attesa di un qualcuno che forse lo avrebbe aiutato. I dubbi del piccione – gatto si dissiparono quando i suoi occhi d’oro furono catturati da una bellissima luna piena.
- Bella vero? Lei si che sa come farsi notare!-. Al suo fianco c’era una piccola donna bianca, ricoperta da lunghi capelli d’argento. La fragile creatura allungò le sue braccia verso il piccione e strinse tra le sue mani minute la testa del pennuto. I suoi occhi neri incontrarono per un battito di ciglia , quelli d’oro. Poi lasciò la presa. - Non c’è nulla da fare, i ricordi di Gù sono schiacciati dai tuoi Arcibold. Nella mia lunga vita di fata non ho mai incontrato una creatura così innamorata di se stessa. Ascoltami bene gatto, se non metterai da parte il tuo egoismo sarà la fine per entrambi. Tu rimarrai un piccione per il resto della tua vita e io, la Dama Bianca, non avrò più il potere necessario per tenere al sicuro la città dalle creatura malvagie, che nel tempo ho imprigionato sotto la fontana monumentale della piazza. Tempo fa da questa fontana sono stati rubati due draghetti di bronzo. Se non riuscirò a ritrovarli la mia magia si esaurirà e io scomparirò con essa. Gu era riuscito a scoprire il colpevole di questo misfatto e il luogo dove sono stati nascosti. Poco prima che io riuscissi a parlargli tu te lo sei mangiato. Ma ora basta con le chiacchiere, è il momento d’agire.- La Dama Bianca allungò il braccio, con un dito indicò un punto nel buio. Un raggio di luce si staccò dalla luna e illuminò una chiesa dominata da un campanile ottagonale che sorgeva ai limiti della città vecchia. - Là, tra quelle mura pulsa lo spirito di un uomo santissimo. Vai da lui. Mi auguro possa stemperare il tuo egoismo -. Arcibold guidato da un flebile raggio di luna volò verso la sua meta.
La facciata della chiesa era illuminata da una luce talmente potente da annullare qualsiasi ombra. Arcibold cercò il modo d’entrare. Una sensazione attirò la sua attenzione al campanile. Senza difficoltà vi entrò. Tra un battito d’ali e un saltello Arcibold salì verso la cima. Raggiunse una piccola stanza. Dalle finestre incorniciate da bifore proveniva una brezza fresca. La luce di alcune candele ne illuminava l’ambiente. Sulla parete priva di finestre era dipinto l’immagine di un uomo vestito con dei paramenti sacri. Il tempo ne aveva in parte cancellato i contorni e affievolito i colori. L’unico particolare che gli era sfuggito erano gli occhi. Arcibold gli si avvicinò e ne fu risucchiato. Si trovò in un luogo di luce senza tempo. All’improvviso gli fu tutto chiaro.
- Aribold, Arcibold. Micione del mio cuore che gioia mi dai. Finalmente ti ho trovato, non puoi immaginare quanto ti ho cercato-. Una voce famigliare spezzò quel momento sospeso. Sull’entrata della stanza c’era il maggiordomo Orlandino, o meglio una deforme figura che ne aveva conservato sola la voce. Il corpo del gatto – piccione venne scosso da brividi incontrollati. - Vieni da me mio adorato, vieni, vieni.- la voce di quell’essere deforme cominciò a farsi tagliente. La piccola stanza fu spazzata da un vento gelido, la luce delle candele si spense. Da una finestra a cavallo di un raggio di luna si palesò la Dama Bianca. La reazione del maggiordomo fu fulminea, le scagliò contro un globo oscuro. La forza dell’impatto fece tremare la torre. La Dama Bianca era a terra. Il maggiordomo la sovrastava. Il suo corpo fu scosso da una gorgoglio di urla e risate. Alzò le braccia, e gli scagliò contro un nuovo globo d’oscurità. Un guizzo rosso e grigio deviò l’attacco del demone. L’aria si incendiò .Un terribile urlo sovrastò ogni cosa. Seguì un lungo silenzio. Sul pavimento della piccola stanza c’era il corpo carbonizzato del maggiordomo e quelli esanimi di Arcibold e Gu. La Dama Bianca li raccolse da terra e li strinse a se. Cominciò a cullarli accompagnandosi con questa cantilena.
‘’Scorri d’argento
gorgogliando.
Scorri d’argento
la vita portando.
Scorri d’argento
il cuore purificando.
Scorri d’argento
nel sole brillando.
Scorri d’argento
la felicità cullando.
Scorri d’argento
la vita portando.’’
Quelle parole si fusero con le lacrime che zampillavano come acqua di fonte dagli occhi della Dama Bianca.
Oggi un tiepido sole primaverile illumina la piazza di Faenza. E’ giornata di mercato. L’aria è piena di colori, odori e suoni. Se tu lettore ti avvicinerai alla grande fontana monumentale, che sorge all’ombra della torre dell’orologio forse vedrai sdraiato sul bordo un gattone dal folto pelo rosso con accanto un topo rosa. I due stanno parlando o meglio, il topo stà parlando e il gatto ascolta. - Amico ma che storia pazzesca. Ogni volta che ci penso per un attimo temo di rimanere senza parole. Ti confesso che qualche sospetto lo avevo. Ma tu, non avevi capito che il tuo maggiordomo era in realtà il demone che per indebolire la Dama aveva rubato i draghetti, e te li aveva nascosti dentro? Certo che tipo coraggioso quell’Orlandino. Si era piazzato a due passi dal luogo del suo misfatto, proprio nell’appartamento qui di fronte, in attesa che il potere della Dama si indebolisse a tal punto da permettergli di liberare i suoi fratelli demoni. Meno male che Gu era riuscito a scoprire tutto. Certo però che anche te! Mi hanno sempre detto che i gatti sono molto furbi. Ma forse non proprio tutti lo sono. No? - Il gatto guardava sconsolato il topo e pensava, “ Ma come faccio a farlo stare zitto, potrei mangiarlo. Visto gli eventi passati è meglio di no”. Il gatto si alza, il topo lo segue continuando a parlare. I due scompaiono tra i getti d’acqua che escono dalle bocche delle statue d’aquile, draghi e draghetti che decorano la fontana monumentale. Ma tutto ciò è realtà o solo un buffo gioco innescato della tua mente, alla disperata ricerca d’evasione? Il suono del campanile ti richiama alla realtà. Sono già le nove e tu sei come al solito in ritardo.
Un gatto di nome Arcibold testo di Dragollone