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L’AMICO DELL’ IMPERATORE
Roma, 12 Aprile 65 d.C.
Li ha visti arrivare da lontano attraverso i campi. Lui era negli orti. Gli hanno fatto impressione per come avanzavano: captava la loro foga e una rabbia oscura.
Il centurione l’ha raggiunto, ha estratto dalla cintola il dispaccio e glielo ha porto.
Lucio lo ha afferrato con calma: ha spezzato delicatamente il sigillo imperiale e ha srotolato la pergamena.
Paolina è uscita proprio in quel momento dal vestibolo reggendo un lembo della stola perché non si sporcasse: aveva appena smesso di cadere un po’ di pioggia, leggera ma sufficiente per rendere il terreno fangoso.
Lucio ha volto lo sguardo verso di lei percependo la tensione che portava. Lei voleva capire dai suoi occhi. Si è avvicinata e gli ha stretto l’avambraccio cercando rassicurazione.
Lucio non è rimasto inespressivo come avrebbe voluto.
Il centurione, accanto ai tre milites, ha atteso in silenzio la risposta in un cenno, sprigionando un senso di rincrescimento vagamente accusatorio.
Lui gli ha detto che obbediva mentre non lo abbandonava l’impressione percepita allo strappo del sigillo quando, paradossalmente, ha sentito sé stesso artefice della cessazione di un rapporto.
Nonostante il controllo delle emozioni e dei sentimenti, esercitato negli anni, Lucio ha avvertito forte l’amarezza delle fini: non solo della vita, che pure ama e che non vorrebbe interrompere, ma la fine del legame con l’imperatore che credeva saldo.
Paolina, irruente, gli ha strappato dalle mani la pergamena. Ha guardato le labbra carnose di Lucio, la parte del suo corpo che le ha sempre infuso più sicurezza, e le ha viste livide e tremule. Allora, ha gridato. Ha girato le spalle di scatto e ha raggiunto il vestibolo. L’ancella, che l’ha seguita, poco dopo ha lanciato un urlo dagli interni .
Lucio è rientrato nella villa ed ha visto la moglie accasciata sul pavimento dell’atrium con il pugnale in mano mentre il sangue sgorgava dai polsi.
-Cur? Cur?- ha domandato, conoscendo già la risposta.
-Illa pro te vult mori- ha detto l’ancella accorrendo con i lini.
Il centurione ha fatto ingresso nella domus e, venendo a conoscenza della situazione, ha detto che l’imperatore ne sarebbe rimasto contrariato.
Lucio è impallidito e si è buttato in ginocchio accanto a Paolina, sussurrandole qualcosa all’orecchio, mentre l’ancella cercava di fermare il flusso del sangue.
Ha considerato che la moglie lo ha sempre amato e apprezzato tanto, al punto da volere morire anche lei, mentre il princeps, al quale ha cercato, in tutti questi anni, di offrire un orientamento esistenziale saggio, adesso gli ordina di togliersi la vita.
Eppure il “De Clementia” sembrava aver prodotto i suoi effetti su quel ragazzone che scuoteva spesso i riccioli castani come un vezzoso putto.
-Clementes sumus! Clementes sumus !- diceva sorridendo quando uscivano in carrozza. E il filosofo eletto, “amico dell’imperatore”, constatava che l’imperatore in alcune controversie applicava la giustizia. Ma poi, le cose avevano preso un’altra piega. Purtroppo, il potere assoluto, se cade in cattive mani, produce efferatezze. E come poteva lo stoico sostenere ogni capriccio del princeps matricida? Sì, era al corrente della congiura, ma non l’aveva assecondata. Aveva solo cercato di prendere le distanze esprimendo il desiderio di una vita più appartata fuori dalle mura della città, causa gli studi e la salute malferma.
Lucio, adesso, sa come procedere: utilizzerà lo stesso pugnale di Paolina per tagliarsi le vene, affinché il sangue della moglie si unisca al suo nel momento estremo.
Si è affacciato all’impluvium e ha visto, specchiata nel velo d’acqua, la figura del suo maestro più caro: Attalo. Quello che gli ha insegnato il disprezzo per i vizi. Quello che gli ha fatto sentire, più d’ogni altro, il piacere della virtù. La virtù che egli, invece, non è riuscito a trasmettere all’ incoronato, irriducibile discepolo.
Lucio è inquieto. Gli manca la forza e la serenità di Socrate: è incapace di infondere coraggio agli altri e si farà assistere da un servo nell’istante del trapasso. Sa che deve affrontare da solo la pesante ineluttabilità del Fato..
Si chiede se la stessa sorte toccherà anche a Petronio. Non ha coltivato legame con lui, essendo dedito ai piaceri e al lusso, ma sa che il capo dei pretoriani lo odia credendolo il preferito dell’imperatore.
Oh, tempora, oh mores! Ah, il caro Cicerone! Meglio sarebbe davvero tornare alla Repubblica.
La corte è un luogo di intrighi dove serpeggiano l’invidia e la corruzione. Anche i servi, che si credevano fedeli, sono delatori e così alcune ancelle.
Ecco, Paolina è stata medicata, ricoperta di garze.
Lui, se non riuscirà a dissanguarsi, ricorrerà al veleno e poi…ad altro, chissà.
Ora lo accompagna un pensiero:
la morte sa essere anche dolce e la vita è sempre lunga abbastanza quando la si è vissuta bene.