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“Se le preghiere mie fossero inutili
e i rituali altresì futili e vani?
Se m’attendesse l’assoluto oblìo,
e Dio fosse invenzione di noi umani?”
È questo il cruccio mio, pena cruciale,
la notte mentre fisso il buio pesto
e m’entra nel cervello un chiodo, un tarlo,
finché non odo chioccolare il merlo,
finché l’alba clemente mi palesa
la sagoma di Lei, stesa e dormiente,
con la sua mano tesa tra le sbarre
di una culletta scrigno di un diamante.
E tripudiante il cuore mio rifiata
e rapido si sposa all’intelletto:
trarre uno stratagemma di riscatto
da gemma sì preziosa è presto fatto.
L’altissimo sentire che da sempre,
da quanto uomo visse ci collega,
l’aureo legame che da padre in figlio
ci legherà, già ci legò e ci lega,
sia esso vivo rogo passionale,
o sia nodo platonico e fraterno,
quel sommo sentimento universale,
quel filamento d’oro mi fa eterno!