Contenuti per adulti
Questo testo contiene in toto o in parte contenuti per adulti ed è pertanto è riservato a lettori che accettano di leggerli.
Lo staff declina ogni responsabilità nei confronti di coloro che si potrebbero sentire offesi o la cui sensibilità potrebbe essere urtata.
Oggi non sono uscito perché ho detto che avevo le mie cose, che non mi sentivo troppo in forma. Mi stufo della mia febbre e delle mie bugie. Quel malessere che mi porto dentro mi passerà, lo so. Adesso preferisco così: quelle attenzioni non richieste, quelle soddisfazioni infantili.
Adesso.
E poi? Domani sarà un altro giorno. Alla fine, perché no? Esco, anche se ho detto una mezza verità. Ho voglia di fare due passi, lontano da una casa che mi sta stretta e da una relazione che fatico a gestire appieno, certe volte. Capirà quando torna. E se non capirà, le spiegherò tutto io.
Mi ricordo ancora quando la vidi la prima volta. Era bellissima. La incontrai al giardino zoologico, in città: flessuosa, bellissima… così bella che mi venne l’istinto di parlarle. Lei mi guardava, e già i suoi occhi mi parlavano. Capii, in quel momento, che tra noi sarebbero bastati solo gli sguardi per capirci. Le chiesi se volesse dei cracker che stavo mangiando; lei accettò, e ne mangiò con quella passione che avrei conosciuto bene in seguito. A dir la verità, avrei conosciuto bene molte altre cose, in seguito.
Esco, scappo, vorrei correre via, ma basta anche fare quattro passi intorno all’isolato: il rumore del traffico e il vociare della gente fuori dai bar, in sottofondo. Magari, quando rientro in casa, metto su un disco: così almeno si stupirà di quel silenzio evaporato via.
La mia ragazza. Mi sprona sempre a fare qualcosa, anche quando sono poco incline a farlo, con quel linguaggio segreto tra noi due che non si esprime a parole ma a gesti, a sguardi. È più grande di me, o almeno la sento più grande, anche se non so quantificare di quanto. Certe volte mi metto a riflettere su questo fatto e penso che è qualcosa che ha a che fare con un tempo antico di milioni di anni, al di là dell’homo sapiens. E tutto questo mi è rivelato da quegli occhi in cui cala la mia vita di uomo, e forse la vita di tutti gli uomini. Come se quegli occhi fossero alle scaturigini della creazione e, attraverso di essi, mi immergessi in un sonno creatore, in un’acqua di Lete in cui far finalmente assopire le mie angosce e paure, davanti alla semplicità e al sublime del naturale, della natura in tutto il suo splendore e magnificenza. Ma in fondo, forse è molto più semplice, e tutto questo sono mie fantasie al limite dell’allucinato, non lo so. Mi piacciono le ragazze più grandi, tutto qui. Danno quel senso di protezione che consente di… respirare meglio, ecco tutto.
Sì, lo so, l’età che ho mi dovrebbe portare a ragionare diversamente, ma cosa ci posso fare? L’amore, quando ti prende, è come un mal di testa: per farlo passare ci vuole tempo, anche se preferisci rimanere sotto le coperte a riposare e stare a distanza di sicurezza dalla banalità di tutti i giorni. È come la febbre: dà un sacco di brividi e ti fa venire voglia di qualcosa di caldo, di corroborante. E se con la febbre cerchi una tisana e una coperta, con l’amore cerchi l’abbraccio di una persona e il suo corpo da stringere forte.
Divento un bambino piccolo che, di fronte a tante opzioni, fatica a decidersi: è l’eccesso di felicità, anzi, la paura di essere troppo felice. Sono incapace di scegliere adeguatamente tra bisogni e desideri, tra realtà e fantasia, tra prospettiva e accaduto. Tra Lei e me.
La voglio e non la voglio, come si potrebbe dire sfogliando una margherita. Poi mi si avvicina, e tutto torna a essere normale.
Se si può parlare di normalità, quando il cuore ti batte a mille e ogni pensiero vortica attorno a Lei, lampada per la mia mente da falena ubriaca. Mi manca quando è in casa ma non è vicina a me. Ne avverto il bisogno come dell’aria nei polmoni, come del sole sulla pelle. Ma come il sole che, se troppo, scotta, e come l’aria che, se viziata, asfissia, ogni tanto la preferisco lontana, quando mi si avvinghia addosso con i suoi pensieri assurdi. Poi, però, divento un coacervo di contraddizioni, come la notte e il giorno nella stessa stanza. Allora la cerco, non appena è uscita; la evito, quando sta per tornare.
È questa la nostra guerra, senza sfoderare armi: il ritorno alle origini, allo stato animale, al bisogno infantile di accudimento e di prendersi cura l’una dell’altro.
Tuttavia, anche in questo idillio d’amore — che in fondo è, appunto, una malattia — ci sono i problemi, le incomprensioni, le difficoltà. Per esempio con Lei. Uso la lettera maiuscola perché è, al momento, la persona più importante del mondo per me.
Domani, forse, potrei dire “lo era” o “non lo è mai stata”. Adesso però è. Anche se iniziano a infiltrarsi i dubbi, i “se”, i “però”, le prime scheggiature, i primi segni del tempo.
Come è normale che sia, è così per tutti.
Alla fine, allungo i miei passi e i miei orari, facendomi vagare a lungo senza meta. Alla fine, torno a casa, da Lei, la mia Stella Polare.
La strada la conosco, le chiavi le ho. Quando rientro, è seduta sul divano. È tornata, è ancora lì. È sempre Lei. Mi guarda strana, scuote la testa. Negli occhi leggo “sei sempre solito”.
Continua a fissarmi, sembra che sorrida. Le accarezzo la testa, ma vedo che fa uno scarto, come se le desse fastidio, e noto uno strano luccichio nei suoi occhi, due biglie nere.
Purtroppo per me, la accarezzo ancora. Sento solo gli artigli affilati che mi penetrano nella pelle del viso. Poi non sento più nulla.