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Balze d’un roccioso monte,
fra di voi, un dì sbocciò,
all’argenti d’un chiar fonte,
vago un fior che dir non so.
Ninfe e fauni, tutt’intorno,
a vederlo voller gir;
dopo l’alba giunse, ‘l giorno,
quel fior mite a discoprir.
I color suoi chiari e belli
al Sol, tosto, il fiore aprì
ei profumi suoi rubelli
sparse intorno tutto il dì.
Poi perlacea in ciel la Luna,
pel notturno e fosco horror,
cheta franse l’aura bruna,
col suo rao su quel bel fior.
La corolla fresca e vaga
di quel fior chiudeasi ‘n su,
de la sua beltade paga,
non volea schiudersi più.
Ma il Sol se l’ebbe a scorno,
molto assai si disdegnò,
lampeggiando tutt’intorno,
le procelle discacciò.
Poscia, con i rai fulgenti,
il bel fonte inaridì,
e, fra l’arsi sassi ardenti,
vago ‘l fior, alfin, languì.
Un ricordo molto spento
di quel fior rimasto v’è,
né più s’ode alcun lamento,
verso ‘l Sol che l’abbattè.
Così voi, vaghe donzelle,
se vi chiuderete ancor,
come al fior, senza procelle,
inaridiravvi ‘l cor.
Ammaestramento abbiate,
di quel ch’ebbi a ricordar,
del disdegno dispogliate,
disponete d’ allietar.