Una spuma color porpora

scritto da Natale Bonagiunta
Scritto 3 anni fa • Pubblicato 3 anni fa • Revisionato 3 anni fa
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Autore del testo Natale Bonagiunta
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Così, ogni tanto sperimento anche un pò di prosa, con scarsi risultati!
- Nota dell'autore Natale Bonagiunta

Testo: Una spuma color porpora
di Natale Bonagiunta

Col volto cupo, nella cameretta, seduto nella piccola sedia dei giochi, teneva il posacenere sulla gamba destra e con la mano si asciugava la fronte con fatica, sospirava poi, si lasciava cadere il braccio a penzoloni e nel frattempo teneva fra l'indice e il medio quella mezza sigaretta bruciata; alzando bruscamente la mano, un grumo di cenere cadeva verso il pavimento, si frantumava in polvere nel tappeto di plastica della bimba e così si macchiava di grigio. Nulla che un piede 42 non potesse spingere via con un sol colpo, così faceva.

Era notte, la luce dalla serranda non traspariva se non per il fatto che ci fossero fresche fenditure di luna che attraversavano la stanzetta da lato a lato, lame di ghiaccio nell'aria che illuminavano il buio profondo; i rivoli di fumo ascendendo al cielo facevano una danza di chiaroscuro con la luce, così da lasciar vedere solo alcune parti del loro volteggiare per poi sparire di colpo nell'oscurità. Era una lunga notte estiva, afosa, umida, bagnata, si sudava stando fermi. Fissava la culla in legno d'un bianco così candido che sembrava brillare di luce propria. Ai suoi occhi però c'era solo oscurità e un fievole candore sul piccolo cuscino foderato con una seta fina, un lenzuolo leggero che al passar di quei pochi sospiri di scirocco si increspava come il mare in tempesta; allora diventava un oceano buio e profondo, e lui era un naufrago senza scialuppa, con un tronco fragile a cui aggrapparsi, eppure non sembrava patire quella nausea, ad ogni onda beveva acqua salata, veleno, e con le dita raggrinzite si asciugava la lacrima strofinandosi poi gli occhi, alzando il volto al cielo e sbuffando un urlo silenzioso di dolore lancinante al petto, allora si piegava su se stesso, si contorceva e si accasciava al suolo, sbatteva i pugni sul pavimento e rantolava pieno d'odio, poggiava la testa in terra sostenendosi con una mano e l'altra la avvicinava alla pancia, l'afferrava e la stringeva, come se stesse stringendo lo stomaco stesso e poi con un movimento fulmineo, come se volesse strapparsi via l'intestino, ritraeva la mano che batteva sul suolo e un tanfo risuonava nell'aria.

Allora singhiozzava la sua sofferenza intestinale.
Riprendeva fiato.
Ispirava ed espirava. Lento.

Lento poi si accingeva ad alzarsi, e nel buio, battendo la mano nell'aria, cercava un appiglio, allora si alzava, col volto ancora piegato dalla sofferenza, occhi gonfi, palpebre chiuse, stringeva i denti e li digrignava, poi si lasciava andare ad un sorriso patito che disegnava la curva della rabbia che provava quando la notte, quando tornava, entrava nella cameretta e lei non c'era ad aspettarlo dormiente illuminata a mezzo volto da quella luna calda estiva, con l'espressione rilassata sognante che accennava sorrisi nel sonno, i pochi capelli che le accarezzavano le gote e per il resto distesi nelle lenzuola leggere. Erano così quasi tutte le notti da quando lei se n'era andata, e bruciava come quella sigaretta ancora accesa, lasciata cadere dopo le urla silenziose, la raccoglieva e tirava ancora qualche boccata tremante e veloce, per poi spegnerla con foga e tirare giù anche il posacenere. “Domani sistemo”, diceva fra se e se, mentre voltava le spalle alla scrivania e si accingeva a varcar l'uscio della porta. Camminava lento verso il suo letto, appoggiandosi di tanto in tanto alle pareti lisce, trascinando quell'ultima speranza di vita verso un nuovo giorno. Si accasciava sul materasso e si spogliava di fretta lanciando gli indumenti verso la poltrona accanto, chiudeva gli occhi e sperava di dormire.

Nel sonno però tornavano gli incubi, e la vedeva sorridente accanto alla sua donna, correre nei prati della villa di città, saltellando di qua e di la tra i fiori e qualche estraneo, che con tenerezza la osservava esprimere la sua fanciullezza ingenua.
-Ciao piccola,- le dicevano e lei li guardava con sospetto, incuriosita s'avvicinava e balbettava qualcosa: -Adaa-da, ofia, ma ma ma, ao!!
Sorridevano i passanti e lei continuava a correre ed urlare la gioia. Nel sogno poi rivedeva il viso della donna, lo fissava e scuoteva la testa.
-Cosa scuoti la testa, Anna?- le chiedeva, lei non rispondeva, continuava a tenere gli occhi su di lui e scuoteva ancora la testa, -Non ti capisco.
Spostava lo sguardo verso la bimba convinto di trovarla ad osservare qualcosa da vicino in quell'ancestrale desiderio di scoprire il circostante, ma non la trovava. “Dov'è?” Si ripeteva, e con gli occhi scrutava tutto il parco ma ancora non la trovava e allora si voltava nuovamente verso la donna che scuoteva la testa, scuoteva, scuoteva. Cominciava a gridare e chiamare la bimba:
-Dove sei? Dove ti sei cacciata monellaccia?
-Eni ca, pua pa pà!
-Arrivo amore mio!- e così si ritrovava davanti un cespuglio pieno di rovi.
-A quetta atte pa pà!- la voce, non v'erano dubbi, veniva da oltre il cespuglio e così lo attraversava incurante del fatto che fosse un fitto arbusto pieno di spine. Usciva dalla boscaglia infine martoriato perchè ogni piccolo rametto, ogni rovo, ogni spina erano fonte di profonde ferite e scorticamenti; si guardava le braccia e vedeva la carne viva pulsare al ritmo cardiaco, alzava lo sguardo ma davanti a lui non c'era la bimba, c'era una spiaggia e si stagliava un mare mosso, grigie nuvole e un'atmosfera tiepida, cupa. In lontananza poteva vedere, forzando gli occhi, galleggiare qualcosa. Allora, spaventato e intimorito si avvicinava alla riva sulla quale le onde trasportavano una spuma densa color porpora, alzava lo sguardo e finalmente riusciva a distinguere gli oggetti che si adagiavano sull'acqua: erano corpi. Uno apparteneva ad una donna, adulta, l'altro era un neonato, immediatamente una onda lo travolgeva e lo soffocava.

Di botto si svegliava, col fiatone, ansimante stringeva le lenzuola, tendeva il braccio verso il comodino e cercava con la mano la luce facendo cadere un bicchiere di vetro che, schiantandosi al suolo, gridava nella notte la frattura.

Una spuma color porpora testo di Natale Bonagiunta
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