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S’arresta
Per un attimo soltanto
-raro, prezioso, immobile-
La storia mia che fugge e vortica
che mi travolge, stravolge e Strema
Si schiantano
I resti di me, esangui
Su margine frastagliato e aguzzo
Di costiere mai vedute,
pur sofferte
La nostalgia m’assale
Della quiete già assaporata
Di quella sol agognata e mai goduta
Ed Ora,
Che mi si palesan innanzi
Di nuove praterie e distese
-Ove coricarmi e perdermi-
cosa me ne faccio, in fin ? Cosa?
Profuga e apolide
M’addentro in novella, rinverdita vita
Ma non so che farmene
Non ricordo, non più
qual passo usavo movere,
per primo
Che scelta ho? Al bivio tra’l vivere e’l capitolare
per timor del Mondo , del Vero?
Mi cimento, pur inadeguata,
-pur spaurita e infinitesima
M’incammino
sprovvista di certezze
e di rosa dei venti
Mi guardo, allora, m’osservo
-Com fluttuando nell’aeree
fuori di me, oltre me-
Mi scruto e mi scorgo vivere
Quel che vedo:
Un infante elettrico ed elettrizzato
Che per le vie d’un bosco fitto
-Non bada mica a ombre, boati e timori-
Ma
-incauto e svolazzante-
Estirpa fiori, trafuga profumi e sentori
Tremendamente vorace
-Affamato del mondo-
Lo vuol per sé, lo brama e rivendica
Così io
Indifferente al sangue che sgorga
-copioso e denso-
Serro tra palmi lividi
Le carnose, odorose rose
della (mia) nuova Primavera