Incantesimo d'amore (Andrea)

scritto da Deaexmachina
Scritto 5 anni fa • Pubblicato 5 anni fa • Revisionato 5 anni fa
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Nato da un'idea di ELI ARROW (che ringrazio per l'invito alla collaborazione) .... io ci ho messo del mio nel creare il personaggio maschile: vi rimando a lei per la compiutezza della storia (stesso titolo)
- Nota dell'autore Deaexmachina

Testo: Incantesimo d'amore (Andrea)
di Deaexmachina

Era stata una fortuna sfacciata trovare quell’angolo di paradiso a pochi euro, appena fuori città. Quel conglomerato di appartamentini con l’uscio sul ballatoio, la ringhiera continua sul cortile ben curato, quegli adorabili vasi di gerani rossi, i vicini non troppo vicini: per il timido Andrea era stato amore a prima vista. Nel suo animo romantico, era una sorta di Eden in mezzo al caos; a quello ci era costretto ogni giorno, per lavoro, ma il suo angoletto di pace era stato un vero e proprio dono dal cielo.
Con la nebbia perenne di Milano, era magia osservare i sottili giochi di sfavillii di rugiada fra le aiuole, fumando una sigaretta in assoluta solitudine, con le braccia posate sulla ringhiera umida.
Animo gentile Andrea, talmente timido da sentirsi al sicuro in quella nebbia.
Ci era emigrato appositamente, sperando che non fosse una leggenda metropolitana e, sebbene non fosse sempre così grigia come auspicato, Milano era decisamente meglio del paesino così ottuso nella fascinazione dei riti pagani e delle più astruse scaramanzie.
Si era pensato di fargli fare un qualche rimedio alchemico per quella sua goffaggine da guance rosse: era un bel ragazzo, intelligente, a fronte di cosa avrebbe mai dovuto avere timidezza?
E Andrea se n’era fuggito, facendo appello a tutta la sua forza per inoltrarsi su sentieri sconosciuti, tutto mirato a trovare il suo posto nel mondo.
La vera magia era quella naturale. Non c’era alcun valido motivo per voler alterare l’indole o il destino di qualsiasi persona.
E vabbé, era un insicuro, la voce gli veniva meno spesso, ci voleva un po’ per farlo aprire, per fare conoscenza; non era poi così grave.
Una di quelle sere beate in solitudine, lei era apparsa come un miraggio dabbasso: i capelli scompostamente raccolti sul capo, un vestitino a fiori senza pretese, ciabatte sbarazzine alla fuggi fuggi. Sicuramente era scesa a ritirare la posta col favore del buio, in abbigliamento da casa, pulcino ancora nel guscio, proprio come lui. I loro sguardi si erano incrociati in traiettoria dritta (abitavano dirimpetto) e avevano imporporato il viso in un sorriso di riconoscimento tra simili.
In quel tempo sospeso senza azioni, Andrea si era deciso a sollevare una mano in segno di saluto, meravigliandosi di se stesso. Non si era chiesto nemmeno per un istante cosa avrebbe conseguito quel gesto, anzi: ci aveva sperato che qualcosa accadesse, che almeno uno fra loro si decidesse a spaccare il guscio e zampettasse goffamente verso l’altro.
E lei si era sbrigata ad aprire la porta di casa per scomparirci dietro, stupendolo sul filo di lana con un imbarazzato gioco di dita che doveva apparire come una qualche risposta di saluto.
In quell’inizio fatato, non c’era stato alcun brivido di sentimento.
Tutti hanno bisogno di un minimo di socialità, qualcuno con cui condividere un po’ di fiato sincero e Andrea si era incaponito che lei, Gigliola, potesse comprenderlo, anche con qualche silenzio di frammezzo, se proprio non riusciva a pronunciarsi.
Rotti gli indugi, era sceso in cortile con una pizza in scatola e due birre, un modo come un altro per avvicinarla; di certo sarebbe stato più facile, rispetto a chiedere informazioni ai vicini con evidente imbarazzo.
Quei sorrisetti saccenti la dicevano lunga riguardo all’innata ritrosia della sartina del seminterrato a dare eccessiva (se non nulla) confidenza a chiunque. Valeva la pena tentare e la scusa della pizza aveva funzionato.
Era molto più timida di lui, Gigliola. Ma sapeva metterlo a suo agio, col suo sguardo basso, l’incarnato roseo, il sorriso appena accennato, ad Andrea non importava che, spesso, i suoi fossero monologhi: l’ascoltava con interesse, ne era certo, e si sarebbe sciolta, col tempo.
Parlare con lei era estremamente naturale, di qualsiasi cosa e, miracolo da prima pagina del paese natio, Andrea si era fatto più sicuro, passando, in breve, dal romito lavorio alla macchina del caffè direttamente al bancone del bar, dal capo chino alla schiena dritta.
Arduo districarsi, invece, fra i pensieri scapigliati di Gigliola che, dal canto suo, aveva fatto qualche passetto in avanti non distogliendo più tanto spesso lo sguardo e volgendo a risate espanse i primi sorrisini ritrosi.
“Di che segno sei?”, gli aveva chiesto leggendo la pagina dell’oroscopo.
“Io non credo a queste cose. Vengo da un paese in cui si ricorre agli intrugli per risolvere le cose...”, ritrovando, per un istante, il disagio delle origini.
Velocemente aveva cambiato discorso, per non ricordare un’adolescenza segnata da triviali riti e scaramanzie, sperando che il viso di lei acceso d’interesse si spegnesse altrettanto velocemente.
Amici, lo si poteva ben dire dopo tutto quel tempo, almeno da parte di Andrea.
Quando una situazione si cristallizza senza sbocchi, che ci si creda o meno alla sorte, accade qualcosa che rimette tutto in discussione, costringendo ad analizzare meglio se stessi.
La graduale uscita dal guscio, unita all’avvenenza di cui era dotato, aveva calamitato le grazie voluttuose di una collega e, una sera, era avvenuta la rottura dello status quo.
Passando per il cortile, con le braccia a polipo della tipa, Andrea non si era accorto degli occhi sorpresi facenti capolino dalla sartoria interrata. Era salito nel suo appartamento conscio che qualcosa sarebbe successo, eccitato e teso come uno scolaretto. E, all’apice dell’eccitazione, con lei sinuosa a muoversi a cavalcioni sui calzoni ancora allacciati, si era tirato indietro.
All’occhiataccia delusa della rinnegata vamp, Andrea si era scusato mille volte e si era preso la porta in faccia senza batter ciglio.
L’indomani l’avrebbero deriso tutti, avrebbe dovuto farci i conti col viso avvampato e gli sfottò ma, in quel preciso istante, aveva semplicemente voglia di confessarsi carta e penna.
“Cara Gigliola,
mi è più facile scriverti che scendere in cortile ad aspettarti. Eppure le parole scritte non renderebbero minimamente le sensazioni che sto provando. Dovrò trovare il coraggio di fiatarle, a te che sei…
Ci penserò stanotte a cosa dire, sono un disastro”, e aveva concluso invitandola a cena dopo un paio di giorni a casa sua.
La luce della sartoria era spenta quando, pieno di angoscia, con le mani sudate, aveva spinto il biglietto imbustato sotto l’uscio di casa di Gigliola.
Incantesimo d'amore (Andrea) testo di Deaexmachina
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